Commento a cura di:
Piotr Zygulski, nato a Genova nel 1993, dopo gli studi in Economia all’Università di Genova ha ottenuto la Laurea Magistrale in Filosofia ed Etica delle Relazioni all’Università di Perugia e in Ontologia Trinitaria all’Istituto Universitario Sophia di Loppiano (FI), dove attualmente è dottorando in studi teologici interreligiosi. Dirige la rivista di dibattito ecclesiale “Nipoti di Maritain” (sito).
Tra le pubblicazioni: Il Battesimo di Gesù. Un’immersione nella storicità dei Vangeli, Postfazione di Gérard Rossé, EDB 2019.
LECTIO SULLE PARABOLE DEI SEMI
XI DOMENICA T.O. (B) – Mc 4,26-34
CONTESTO E STRUTTURA
Dopo la parabola del seminatore – cioè la generosa offerta del Regno che incontra risposte differenti, ma fruttando comunque un abbondante risultato – l’evangelista Marco ne offre altre due, con la medesima metafora. Abbiamo quindi la parabola “del seme che cresce da solo”, presente solo in Marco (Mc 4,26-29) e quella del “granello di senape” (Mc 4,30-32), riformulata anche da Luca e Matteo; il passo si conclude con un sommario sull’uso delle parabole, che per Marco velerebbero il mistero di Dio, comprensibile con una frequentazione più intima con Gesù che ne offre la soluzione nel legame tra le parabole e il suo agire.
Nella parabola del seme che cresce da solo, la centralità del Regno può essere spiegata in quel “tra” che intercorre tra la semina e la mietitura, in un processo già attivo e guidato – in modo nascosto e con naturale gradualità – da Dio verso la pienezza definitiva. Perciò sono da evitarsi gli opposti atteggiamenti di scoraggiamento o di impazienza (v. 27: «dorma o vegli»); l’apprensione umana non può favorire la crescita, che dipende dall’attività del terreno. Il seminatore, per quanto preoccupato, «non sa» cosa stia davvero avvenendo: poi prenderà atto della sicura mietitura che in futuro dovrà prontamente compiere. In questo contesto non occorre attribuire un significato allegorico a ciascun elemento della parabola (come se il seminatore fosse Gesù, ecc.): il Regno è piuttosto il processo in atto nella sua integralità.
Facendo il suo corso da sé, inevitabilmente conduce dal nascondimento alla manifestazione gloriosa. Lo stesso si può dire per la parabola del granello di senape, in cui si evidenzia maggiormente la sproporzione tra la piccolezza iniziale e la maestosità finale, in un contrasto assoluto tra l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande, pur in una relazione di continuità. Secondo alcuni, l’immenso arbusto è la condizione finale in cui troveranno riparo le moltitudini bisognose, pagani inclusi, che ne prendono parte mentre cresce.
PAROLE
Regno di Dio: Esso non riguarda esclusivamente la vita dopo la morte, né una pace interiore individuale, né una “teocrazia” retta da un clero. Nelle attese messianiche del giudaismo, anche Gesù attendeva l’imminente restaurazione anche politica del Regno di Israele: l’avvento del quinto Regno, prefigurato dal libro di Daniele nel capitolo 7, governato definitivamente da Dio per porre fine alle potenze diaboliche, sulla terra come nei cieli. Questo spodestamento definitivo dei malvagi – al centro della predicazione di Gesù – cresce irresistibilmente nella presenza di Dio nelle relazioni, a partire da quella che Lui ha già con il Padre. Quando viene accolta la logica dell’amore in modo radicale, tutti i rapporti e le pratiche umane vengono liberate da ogni tirannia ingiusta e, nella libertà, si conformano a Dio.
Seme: dal verbo sperno (spargere) derivano due termini, di fatto sinonimi: sporos (spora, seme dal punto di vista botanico, qui ai vv. 26-27) e sperma (seme, inteso come semente, nel v. 31). L’evangelista usa anche la parola kokkos (chicco, granellino) nel versetto 31.
Spontaneamente: in greco automatos – da autós (da solo) + maō (essere pronto) – è un aggettivo riferito alla terra, che qui assume un significato avverbiale. Spesso lo si applicava alla vegetazione spontanea, ma è anche una caratteristica tipica del Giardino piantato in Eden.