Piccole Suore della Sacra Famiglia – Commento al Vangelo del 15 Ottobre 2023

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FESTA DI NOZZE

In quel tempo, 1. Gesù riprese a parlare con parabole, ai capi dei sacerdoti e ai farisei e disse:

La liturgia di oggi ci invita a meditare sulla terza delle tre parabole pronunciate da Gesù al Tempio di Gerusalemme dopo il suo ingresso trionfale la Domenica delle Palme.

I suoi interlocutori sono sacerdoti e farisei, che cercano di coglierlo in flagrante e che complottano per ucciderlo.

  • «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio.

Il Vangelo di Matteo riporta la stessa parabola di Gesù che si trova in Luca 14,15-24, riguardante una grande festa indetta da un personaggio illustre; tuttavia diversi particolari la differenziano.

In questo brano il protagonista è un re che prepara una festa, non una qualunque, ma quella di nozze per suo figlio, l’erede al trono.

Nei profeti antichi il banchetto è il simbolo di quanto di più bello e di più grande ci possa essere nella vita in Dio (cfr. Isaia 25,6-10).

  • Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. 4. Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono stati già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”.

Gli invitati alle nozze sono chiamati, ma non rispondono all’invito. Nell’intento di Matteo sembra che i servi inviati per primi simboleggino i profeti, mentre quelli inviati la seconda volta si riferiscano agli apostoli e ai cristiani che, dopo la risurrezione di Cristo, hanno il mandato di evangelizzare tutte le genti.

Siamo chiamati ad essere convincenti nell’invitare altri ad entrare nella comunione dei figli di Dio. Siamo tutti missionari, cioè inviati ad annunciare la salvezza al mondo intero. La risposta delle persone, rimane, però, individuale, non dipende dal missionario.

5. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 6. altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero.

La reazione degli invitati alle nozze è veramente deludente. Rovinano la festa di nozze: chi è indifferente, chi diventa addirittura violento e uccide i servi.

È il fallimento del re: non ricevere risposta dai suoi sudditi è segno che il re non viene riconosciuto nel suo desiderio di condivisione di un evento importante (le nozze del figlio), non c’è interesse per ricevere il suo dono, non c’è desiderio di relazione con lui. Gli invitati sono concentrati tutti sui propri interessi, cercano la felicità nelle cose materiali che hanno accumulato, non nella relazione con il loro sovrano.

Il sovrano, però, non si scoraggia e allarga l’invito oltre ogni misura. I beneficiari sono gli scartati che hanno la disponibilità di accogliere l’invito. Quanto più uno è povero, tanto più è disponibile a Dio.

Come cristiani non possiamo permettere che le cose del mondo schiaccino la ricerca dell’eterna comunione d’amore con Dio. Prima di tutto siamo cittadini del Cielo, di passaggio su questa terra. Le preoccupazioni non devono affievolire la dimensione contemplativa dell’esistenza. Ricordiamo che la salvezza non verrà dal nostro conto in banca, dalle cose materiali che abbiamo accumulato: nulla abbiamo portato sulla terra e nulla porteremo via.

Utilizziamo la nostra “astuzia” per il bene, per costruire il Regno: la pace, l’amore, la giustizia, così che il mondo sia più pieno di Dio.

  • Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.

Il re fa giustizia, rispondendo con la morte e la distruzione al rifiuto ricevuto.

Matteo scrive dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme ad opera dei Romani nel 70 d. C. Interpreta questo evento drammatico per la storia del popolo di Israele come un castigo capitato proprio a causa del rifiuto dell’azione di Dio, attraverso i suoi inviati: i profeti prima, i missionari di Cristo successivamente alla risurrezione.

  • Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni”.

Matteo condanna il popolo di Israele, perché non ha accolto e non ha ricambiato l’amore di predilezione di Dio. La conseguenza è l’affidamento della sua eredità ad un altro popolo, più degno.

Se rifiutiamo gli inviati che Dio ci indirizza per il nostro bene, rifiutiamo il datore della salvezza, cioè Lui stesso. Egli, infatti, si identifica con i suoi missionari: “Chi accoglie voi accoglie me, chi disprezza voi, disprezza me!”.

Come il re della parabola, che non si arrende e manda i servi in cerca di altri invitati, il nostro Dio non si ferma al rifiuto di alcuni, ma apre a tutti la possibilità di entrare in comunione con Lui e di ricevere in dono la possibilità di accedere al banchetto.

  • “Andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”.

Il re desidera che tutti possano godere della sua festa. La sua gioia non è piena fino a quando la sala non sia riempita.

Non cerca persone perfette, ma cuori pulsanti d’amore e di riconoscenza per il suo perdono e per la sua misericordia.

I “crocicchi delle strade” consistono nei luoghi dove confluiscono le vie e dove è più facile che le persone si incontrino, si scambino opinioni, merci, ma anche dove si fermano a mendicare tutti coloro che sono sfortunati nella vita: malati, poveri, disoccupati, in attesa che qualcuno elargisca qualcosa.

Gesù conosceva bene, nel suo pellegrinaggio per le strade della Palestina, quanta umanità sofferente si accasciava senza speranza in questi luoghi di degrado e di marginalità.

Per papa Francesco, quei “crocicchi” sono le “periferie geografiche ed esistenziali” dell’umanità, quei luoghi “ai margini”, quelle situazioni in cui si trovano accampati e vivono uomini e donne senza speranza.

Ecco che in queste situazioni di sofferenza avviene un capovolgimento. Proprio a chi è ai margini viene offerta l’opportunità della salvezza, l’invito alla festa.

Il nostro Dio è colui che trasforma in bene anche il male. Il rifiuto da parte del popolo di Israele consente l’espansione missionaria verso i pagani e l’universalità dell’annuncio.

Come Chiesa in uscita dobbiamo continuare l’opera di Cristo, venuto per i poveri, per i peccatori, per gli esclusi, per gli ultimi, per l’umanità “ai crocicchi delle strade”.

  • Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.

Il versetto ci fa notare che prima sono chiamati i cattivi e poi i buoni: Dio vuole fare diventare tutti buoni, anche i cattivi, per questo li chiama per primi, e offre loro una vita bella, buona e felice.

L’invito di Dio è rivolto a tutti senza distinzione: cattivi e buoni, malati e sani, peccatori e giusti.

La sala delle nozze si riempie, perché i poveri che sono per strada vivono abitualmente nella necessità e apprezzano l’invito. Non hanno nulla da lasciare, sono liberi di rispondere subito.

Così è la Chiesa: popolo in cammino, costituito dalla mescolanza di ogni sorta di umanità, senza distinzioni, perché la scelta di Dio è gratuita, non è meritata. Tutti possiamo entrare, ricevere la nuova dignità che nasce dall’essere invitati da Dio. Tutti siamo chiamati alla festa, alla gioia del Padre che ci riconosce come figli, deboli, bisognosi, ma sempre figli suoi.

Per tutti i popoli oppressi dalla guerra, dalla tirannia e dalla fame questo è un annuncio di speranza.

Per noi, a cui non manca nulla, è un invito a condividere quanto abbiamo, a somiglianza del Padre dei Cieli.

  • Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. 12. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì.

Sembra che tutto si volga per il meglio: la sala allestita per le nozze, i commensali riuniti. All’improvviso c’è un cambio di scena: il re passa e scorge un invitato non pronto, senza l’abito nuziale, che veniva indossato come identificativo dell’appartenenza al gruppo dei partecipanti alla festa.

Chi entra senza rispetto per il momento in cui vive, viene redarguito, perché non ha dato segno di apprezzare l’offerta, non si è preparato ad un evento unico e raro, non ha capito l’importanza dell’opportunità che ha ricevuto. L’abito è segno di ciò che uno è, definisce ciò che uno è e fa. È segno di comportamento, di abitudine, costume; disposizione, inclinazione; distintivo di una professione, di uno stato religioso.

“Il re entrò per vedere i commensali”: per Dio ogni invitato è importante. Non aspetta che siano i commensali ad avvicinarsi a Lui, ma è Lui che si avvicina a loro. Il nostro Dio non attende incenso e onori. Scende per primo a farsi incontro a noi, sue creature, suoi figli di adozione nel Figlio Amato. Si prende cura di ciascuno, ci invita a far festa, non disdegna di scendere in mezzo a gente misera.

“Abito nuziale”: anche i più poveri sono riusciti a cambiarsi d’abito, per indicare che avevano accolto l’invito, avevano compreso che si trattava di una festa. Un uomo non si è preparato per condividere il momento di gioia con gli altri. Forse era incredulo, forse non si sentiva parte del gruppo.

Matteo vuole significare nell’abito nuziale la corrispondenza alla chiamata di Dio.

Per San Paolo l’abito nuziale è Cristo. Chi vuole abitare in eterno nella casa di Dio, deve presentarsi vestito di Cristo Signore, che deve essere la sua stessa vita.

I Padri della Chiesa vedono nella veste nuziale la veste battesimale, a cui corrispondono la fede e le opere di carità: “la veste di lino sono le opere giuste dei santi” (Apocalisse 19,8).

L’abito nuziale è quello della Donna dell’Apocalisse: vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di stelle, che indossa l’abito da festa che Dio le ha dato.

I rabbini parlano della veste bianca, dell’abito pulito, come di un segno di penitenza e di opere buone.

Per Papa Francesco “la veste nuziale, … è la carità, l’amore… Tutti noi siamo invitati ad essere commensali del Signore, ad entrare con la fede al suo banchetto, ma dobbiamo indossare e custodire l’abito nuziale, la carità, vivere un profondo amore a Dio e al prossimo”.

Anche altri esegeti affermano che indossare l’abito nuziale è testimoniare la carità verso Dio e verso il prossimo.

Come cristiani, non possiamo presumere di salvarci senza l’adesione convinta all’amore di Dio. Chi entra nel Regno gratuitamente, deve scegliere di restarci, cambiando vita rispetto al suo passato peccaminoso.

Troviamo in questo versetto la parola “amico”. Nel momento in cui il re rimprovera, chiama amico l’interlocutore, modalità tipica in Matteo. In altro contesto Gesù chiama “amico” Giuda, che lo tradisce con un bacio. Il nostro Dio ci tratta da amici, ma noi dobbiamo corrispondere alla sua amicizia, non possiamo tradire la fiducia che Egli pone in noi, non possiamo deludere le sue attese nei nostri confronti.

  • Allora il re disse ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.

La parabola ha un finale triste: non rispondere alla chiamata comporta il “pianto” per essersi pentiti troppo tardi e non aver ammesso i propri errori. Lo “stridore di denti” è l’invidia di vedere gli altri salvati e la rabbia di sentirsi esclusi a causa delle proprie scelte sbagliate di cui siamo responsabili in prima persona.

  • Poiché molti sono i chiamati, ma pochi eletti».

Essere chiamati non vuol dire che possiamo automaticamente entrare alle nozze: occorre la nostra personale cooperazione alla grazia di Dio, certi che tutto possiamo in Lui che ci dà la forza (cfr. S. Paolo).

Impariamo a riconoscere il nostro Dio non come un sovrano che ci tratta da servi, ma come Colui che viene a servirci, che ci invita alla sua gioia, che ci rende partecipi di una festa senza fine, nella luce, nella pace.

Imploriamo dallo Spirito Santo il dono di accogliere sempre l’invito della grazia e di corrispondere all’Amore con tutta la gioia di sentirci appartenenti al Dio della festa e della vita!

Suor Emanuela Biasiolo

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