Pasqua è il Perché
fuori di sé.
Non si appartiene,
né si trattiene:
Dio si abbandona.

L’uomo è sua icona:
morti io e tu,
morto Gesù,
Cristo è Risorto;
stesso trasporto.
Sì, d’improvviso:
Noi condiviso.

Nel Triduo di Pasqua non viviamo tre distinti episodi dell’esistenza storica di Gesù, ma l’unico evento del Dio che – sempre ed eternamente – si coinvolge tra noi sino a darsi tutto: si fa Nulla per Amore. La Sua Parola è corpo che si lascia da noi masticare, squarciare – fino alla fine – e trasfigurare. Dona sé stesso – tutto tutto – in balìa della nostra umanità, sino alla possibilità del rifiuto più lacerante, sino a lasciarsi privare di Dio stesso, ma non della forza di gridare quaggiù il Cielo nel suo corpo che si spinge – e ci spinge – agli estremi più impensabili. Gesù Abbandonato, «Dio del nostro tempo» (Chiara Lubich), è spoglio di tutto: è senza-Dio, e proprio per questo ce lo spiega, gridandone l’Abbandono. Nel suo grido c’è il grido di tutti, a partire dagli atei. Tutto è accolto e ricapitolato, nel Dio che va sempre oltre, «più in là» (direbbe Montale), pur di farsi «tutto per tutti» (1Cor 9,22).

L’Essere, che può tutto, si lascia non-essere, buio, vuoto, crocifisso: nulla. Non è subìto, ma accolto; non è sconfitta, ma vittoria imperitura, seppur lontana da mondani trionfalismi. Proprio questa terra è del Cielo non tanto la periferia, quanto il suo cuore, che straborda di passione. Un corpo, un solo corpo chiarisce lo sguardo di chi vi accede dalla Croce: «È in te la sorgente della vita, alla tua luce vediamo la luce» (Sal 35,10).

Ora infatti ritroviamo, nel non-essere, l’Essere: nell’oscurità, Luce; nell’assenza, Presenza; nella morte, Vita. Quel corpo esanime senza-Dio, nel suo silenzio eloquente, grida l’Amore che, Abbandonato, si abbandona: talmente estremo che è riconoscibilmente Dio! La più fragile umanità, a Pasqua come a Natale, invita al divino abbraccio, accessibile a chiunque e ovunque, con «quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte» (Lc 1,79). Infatti, «Dove andare lontano dal tuo spirito, dove fuggire dalla tua presenza? Se salgo in cielo, là tu sei, se scendo negli inferi, eccoti. […] Se dico: “Almeno l’oscurità mi copra e intorno a me sia la notte”; nemmeno le tenebre per te sono oscure, e la notte è chiara come il giorno; per te le tenebre sono come luce» (Sal 138,7-8.11-12).

L’Onnipotente, morto mortale, è davvero Onnipresente: definitiva condizione di possibilità per la novità della vita, in quest’ora che squarcia la storia, la dilata, permette di varcarla al di là di ogni suo istante. Affida a noi la responsabilità: rinnova in pienezza la libertà, innanzitutto di accoglierla e riconoscerla, vivendola tra noi, come Lui. Scopriamo che la volontà di Dio è abbandonata alle nostre mani. E solo chi osa l’Abbandono accoglie la Resurrezione. Morto è Gesù, Cristo è Risorto: crocifisse le individualità mortali, ci ritroviamo incorporati proprio lì, nel Risorto, realtà comunitaria che svela pienamente la vita vera nascosta nelle nostre esistenze capaci di affidarsi, abbandonarsi, accogliersi e accogliere. Questo nostro corpo definitivo – pronto a tutto, a tutte e a tutti, nell’accogliente attesa di ogni suo membro passato, presente e futuro – è Luce nell’intimo di tutti i sepolcri dell’umanità: «Guardate a Lui e sarete raggianti» (Sal 34,6).

A cura di Piotr Zygulski

Foto di Raheel Shakeel da Pixabay