Papa Francesco – Udienza Generale del 13 Febbraio 2019 – testo, video e audio

503

PAPA FRANCESCO

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 13 Febbraio 2019

https://youtu.be/uDv_zFZtXNs

Catechesi sul “Padre nostro”: 6. Padre di tutti noi

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Continuiamo il nostro percorso per imparare sempre meglio a pregare come Gesù ci ha insegnato. Dobbiamo pregare come Lui ci ha insegnato a farlo.

Lui ha detto: quando preghi, entra nel silenzio della tua camera, ritirati dal mondo e rivolgiti a Dio chiamandolo “Padre!”. Gesù vuole che i suoi discepoli non siano come gli ipocriti che pregano stando dritti in piedi nelle piazze per essere ammirati dalla gente (cfr Mt 6,5). Gesù non vuole ipocrisia. La vera preghiera è quella che si compie nel segreto della coscienza, del cuore: imperscrutabile, visibile solo a Dio. Io e Dio. Essa rifugge dalla falsità: con Dio è impossibile fingere. E’ impossibile, davanti a Dio non c’è trucco che abbia potere, Dio ci conosce così, nudi nella coscienza, e fingere non si può. Alla radice del dialogo con Dio c’è un dialogo silenzioso, come l’incrocio di sguardi tra due persone che si amano: l’uomo e Dio incrociano gli sguardi, e questa è preghiera. Guardare Dio e lasciarsi guardare da Dio: questo è pregare. “Ma, padre, io non dico parole…”. Guarda Dio e lasciati guardare da Lui: è una preghiera, una bella preghiera!

Eppure, nonostante la preghiera del discepolo sia tutta confidenziale, non scade mai nell’intimismo. Nel segreto della coscienza, il cristiano non lascia il mondo fuori dalla porta della sua camera, ma porta nel cuore le persone e le situazioni, i problemi, tante cose, tutte le porto nella preghiera.

C’è un’assenza impressionante nel testo del “Padre nostro”. Se io domandassi a voi qual è l’assenza impressionante nel testo del “Padre nostro”? Non sarà facile rispondere. Manca una parola. Pensate tutti: che cosa manca nel “Padre nostro”? Pensate, che cosa manca? Una parola. Una parola che ai nostri tempi – ma forse sempre – tutti tengono in grande considerazione. Qual è la parola che manca nel “Padre nostro” che preghiamo tutti i giorni? Per risparmiare tempo la dirò io: manca la parola “io”. Mai si dice “io”. Gesù insegna a pregare avendo sulle labbra anzitutto il “Tu”, perché la preghiera cristiana è dialogo: “sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà”. Non il mio nome, il mio regno, la mia volontà. Io no, non va. E poi passa al “noi”. Tutta la seconda parte del “Padre nostro” è declinata alla prima persona plurale: “dacci il nostro pane quotidiano, rimetti a noi i nostri debiti, non abbandonarci alla tentazione, liberaci dal male”. Perfino le domande più elementari dell’uomo – come quella di avere del cibo per spegnere la fame – sono tutte al plurale. Nella preghiera cristiana, nessuno chiede il pane per sé: dammi il pane di oggi, no, dacci, lo supplica per tutti, per tutti i poveri del mondo. Non bisogna dimenticare questo, manca la parola “io”. Si prega con il tu e con il noi. È un buon insegnamento di Gesù, non dimenticatelo.

Perché? Perché non c’è spazio per l’individualismo nel dialogo con Dio. Non c’è ostentazione dei propri problemi come se noi fossimo gli unici al mondo a soffrire. Non c’è preghiera elevata a Dio che non sia la preghiera di una comunità di fratelli e sorelle, il noi: siamo in comunità, siamo fratelli e sorelle, siamo un popolo che prega, “noi”. Una volta il cappellano di un carcere mi ha fatto una domanda: “Mi dica, padre, qual è la parola contraria a ‘io’?”. E io, ingenuo, ho detto: “Tu”. “Questo è l’inizio della guerra. La parola opposta a ‘io’ è ‘noi’, dove c’è la pace, tutti insieme”. È un bell’insegnamento che ho ricevuto da quel prete.

Nella preghiera, un cristiano porta tutte le difficoltà delle persone che gli vivono accanto: quando scende la sera, racconta a Dio i dolori che ha incrociato in quel giorno; pone davanti a Lui tanti volti, amici e anche ostili; non li scaccia come distrazioni pericolose. Se uno non si accorge che attorno a sé c’è tanta gente che soffre, se non si impietosisce per le lacrime dei poveri, se è assuefatto a tutto, allora significa che il suo cuore… com’è? Appassito? No, peggio: è di pietra. In questo caso è bene supplicare il Signore che ci tocchi con il suo Spirito e intenerisca il nostro cuore: “Intenerisci, Signore, il mio cuore”. È una bella preghiera: “Signore, intenerisci il mio cuore, perché possa capire e farsi carico di tutti i problemi, tutti i dolori altrui”. Il Cristo non è passato indenne accanto alle miserie del mondo: ogni volta che percepiva una solitudine, un dolore del corpo o dello spirito, provava un senso forte di compassione, come le viscere di una madre. Questo “sentire compassione” – non dimentichiamo questa parola tanto cristiana: sentire compassione – è uno dei verbi-chiave del Vangelo: è ciò che spinge il buon samaritano ad avvicinarsi all’uomo ferito sul bordo della strada, al contrario degli altri che hanno il cuore duro.

Ci possiamo chiedere: quando prego, mi apro al grido di tante persone vicine e lontane? Oppure penso alla preghiera come a una specie di anestesia, per poter stare più tranquillo? Butto lì la domanda, ognuno si risponda. In questo caso sarei vittima di un terribile equivoco. Certo, la mia non sarebbe più una preghiera cristiana. Perché quel “noi”, che Gesù ci ha insegnato, mi impedisce di stare in pace da solo, e mi fa sentire responsabile dei miei fratelli e sorelle.

Ci sono uomini che apparentemente non cercano Dio, ma Gesù ci fa pregare anche per loro, perché Dio cerca queste persone più di tutti. Gesù non è venuto per i sani, ma per i malati, per i peccatori (cfr Lc 5,31) – cioè per tutti, perché chi pensa di essere sano, in realtà non lo è. Se lavoriamo per la giustizia, non sentiamoci migliori degli altri: il Padre fa sorgere il suo sole sopra i buoni e sopra i cattivi (cfr Mt 5,45). Ama tutti il Padre! Impariamo da Dio che è sempre buono con tutti, al contrario di noi che riusciamo ad essere buoni solo con qualcuno, con qualcuno che mi piace.

Fratelli e sorelle, santi e peccatori, siamo tutti fratelli amati dallo stesso Padre. E, alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore, su come abbiamo amato. Non un amore solo sentimentale, ma compassionevole e concreto, secondo la regola evangelica – non dimenticatela! –: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Così dice il Signore. Grazie.

Saluti:

[Saluto i pellegrini provenienti dalla Francia e dal Belgio, in particolare i seminaristi della Lorena con il loro Vescovo, monsignore Jean-Christophe Lagleize, e i giovani qui presenti. Vi invito a spendere un po’ di tempo ogni giorno per pregare al fine di aprire il vostro cuore a Dio e agli altri: aprire il cuore. Possa Gesù essere la vostra guida sulla via della preghiera! Buon pellegrinaggio a tutti.]

[Saluto i pellegrini di lingua inglese presenti all’Udienza odierna, specialmente quelli provenienti da Svezia, Australia, Hong Kong, Corea, Filippine e gli Stati Uniti d’America. Su tutti voi, e sulle vostre famiglie, invoco la gioia e la pace del Signore. Dio vi benedica!]

[Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua tedesca. Chi crede non è mai solo! Questo si sperimenta particolarmente nella preghiera. Ricordiamoci che davanti al Padre siamo sempre in comunione con i nostri fratelli e sorelle. Dio protegga voi e tutte le persone con le quali siete uniti nella preghiera!]

[Saluto i pellegrini di lingua portoghese, in particolare i gruppi venuti dal Portogallo e dal Brasile. Cari amici, auguro che il vostro pellegrinaggio a Roma fortifichi in tutti la speranza e rafforzi, nell’amore divino, l’impegno di ciascuno a sentirsi sempre più responsabile dei fratelli e delle sorelle più bisognosi. La Madonna vi accompagni e vi protegga.]

[Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua araba, in particolare a quelli provenienti dalla Siria, dal Libano e dal Medio Oriente. Dio è il Padre di tutti e ci ha resi fratelli in un’unica umanità. Oggi ci sono molti dei nostri fratelli che nel mondo soffrono, essi hanno bisogno che lavoriamo per loro e che li ricordiamo nelle nostre preghiere. Siamo un lievito d’amore nel mondo, perché nell’ultimo giorno porteremo con noi solo l’amore che abbiamo offerto nella nostra vita. Il Signore vi benedica e vi protegga dal maligno!]

[Saluto cordialmente i polacchi. Considerando il messaggio dell’odierna catechesi, recitate spesso il Padre Nostro e godete della vicinanza di Dio. Chiedendo il pane quotidiano ricordate non solo voi stessi e i vostri cari ma anche le persone sconosciute, traviate, dimenticate, che vivono lontano, i quali forse più di voi hanno bisogno del bene, della pace dell’anima, della giustizia, del pane, della comprensione. Dio vi benedica.]

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

Sono lieto di accogliere i partecipanti al Corso per i Responsabili della formazione permanente del Clero in America Latina, promosso dalla Congregazione per il Clero e le Suore Apostole del Sacro Cuore di Gesù.

Saluto le parrocchie, in particolare quelle di Lanciano e di San Giorgio in Sannio; il gruppo dei Giornalisti di Askanews, che attraversano un momento di difficoltà; l’Istituto Nazionale Tumori; l’Istituto penale minorile di Airola; le Scolaresche, specialmente l’Istituto Impastato di Roma e la Scuola Calcio di Polla-Vallo di Diano.

Un pensiero particolare rivolgo ai giovani, agli anziani, agli ammalati e agli sposi novelli.

Domani celebreremo la festa dei Santi Cirillo e Metodio, evangelizzatori dei popoli slavi e compatroni d’Europa. Il loro esempio aiuti tutti noi a diventare in ogni ambiente di vita, discepoli e missionari, per la conversione dei lontani, come dei più vicini. Il loro amore per il Signore ci dia la forza per sostenere ogni sacrificio, affinché il Vangelo diventi regola fondamentale della nostra vita. Grazie.

Per dare la benedizione vorrei indossare questa stola portatami dal gruppo valdocco ieri e fatta da donne del popolo Wichis, popolo originario di una grande cultura.

© Copyright 2019 – Libreria Editrice Vaticana