Cari fratelli, buongiorno!
Con gioia vi accolgo oggi alla conclusione del vostro pellegrinaggio di nuovi Vescovi alle sorgenti spirituali di questa antica e sempre nuova Roma di Pietro e di Paolo. Nell’abbracciarvi come nuovi Pastori della Chiesa, ancora attraversati forse dallo stupore di essere stati chiamati a questa missione mai proporzionata e conforme alle nostre forze, vorrei come prendervi in disparte, voi e ognuna delle vostre Chiese; vorrei accostarvi con il tocco di Cristo, Vangelo di Dio che riscalda il cuore, riapre gli orecchi e scioglie la lingua alla gioia che non si guasta e non tramonta, perché mai è comprata né meritata, anzi è pura grazia!
Nella prospettiva della gioia del Vangelo avete cercato di leggere il mistero della vostra identità appena ricevuta in dono da Dio. Avete scelto l’ottica giusta per addentrarvi nel ministero episcopale, per il quale nessun credito possiamo vantare e non ci sono titoli di proprietà o diritti acquisiti. Abbiamo quasi “per caso” trovato il tesoro della nostra vita e perciò siamo chiamati a vendere tutto per custodire il campo nel quale si nasconde questa inesauribile miniera (cfr Mt 13,44). È necessario quotidianamente riprendere in mano tale prezioso dono, nella sua luce cercare la luce (cfr Sal 35,10) e dal suo volto lasciarsi trasfigurare.
Vi parlo qui del più urgente dei vostri compiti di Pastori: quello della santità! Come si è espressa la preghiera della Chiesa su di voi, siete state eletti dal Padre, che conosce i segreti dei cuori, per servirlo notte e giorno, così da renderlo propizio alla vostra gente (cfr Pontificale Romano, Preghiera di Ordinazione dei Vescovi).
Non siete frutto di uno scrutinio meramente umano, ma di una scelta dall’Alto. Perciò da voi si richiede non una dedizione intermittente, una fedeltà a fase alterne, una obbedienza selettiva, no, ma siete chiamati a consumarvi notte e giorno.
Restare vigili anche quando sparisce la luce, o quando Dio stesso si cela nella tenebra, quando la tentazione di arretrare si insinua e il maligno, che è sempre in agguato, suggerisce sottilmente che ormai l’alba non verrà più. Proprio allora, di nuovo prostrarsi con il viso a terra (cfr Gen 17,3), per ascoltare Dio che parla e rinnova la sua promessa mai smentita. E poi rimanere fedeli anche quando, nel calore del giorno, vengono meno le forze della perseveranza e il risultato della fatica più non dipende delle risorse che abbiamo.
E tutto questo non per alimentare la narcisistica pretesa di essere essenziali, ma per rendere il Padre propizio al vostro Popolo. Dio è già a favore dell’uomo. Il suo divino essere, che poteva anche esistere senza di noi, nel suo Figlio Gesù si rivela per noi. In Lui, si offre la paternità di Dio che mai si rassegna; in Lui conosciamo il cuore divino che nulla e nessuno dà per perduto. È questo il messaggio che i fedeli hanno diritto di trovare sulle vostre labbra, nei vostri cuori e nella vostra vita.
All’inizio del vostro ministero, vi prego di mettere Dio al centro: Egli è Colui che chiede tutto ma in cambio offre la vita in pienezza. Non quella vita annacquata e mediocre, vuota di senso perché piena di solitudine e di superbia, ma la vita che sgorga dalla sua compagnia che mai viene meno, dalla forza umile della croce del suo Figlio, dalla sicurezza serena dell’amore vittorioso che ci abita.
Non lasciatevi tentare da racconti di catastrofi o profezie di sciagure, perché quello che conta veramente è perseverare impedendo che si raffreddi l’amore (cfr Mt 24,12) e tenere alto e levato il capo verso il Signore (cfr Lc 21,28), perché la Chiesa non è nostra, è di Dio! Lui c’era prima di noi e ci sarà dopo di noi! Il destino della Chiesa, del piccolo gregge, è vittoriosamente nascosto nella croce del Figlio di Dio. I nostri nomi sono scolpiti nel suo cuore – scolpiti nel suo cuore! –; la nostra sorte è nelle sue mani. Pertanto, non spendete le vostre migliori energie per contabilizzare fallimenti e rinfacciare amarezze, lasciandovi rimpiccolire il cuore e rattrappire gli orizzonti. Cristo sia la vostra gioia, il Vangelo sia il vostro nutrimento. Tenete fisso il vostro sguardo solo sul Signore Gesù e, abituandovi alla sua luce, sappiate cercarla incessantemente anche dove essa si rifrange, sia pure attraverso umili bagliori.
Là, nelle famiglie delle vostre comunità, dove, nella pazienza tenace e nella generosità anonima, il dono della vita viene cullato e nutrito.
Là, dove sussiste nei cuori la fragile ma indistruttibile certezza che la verità prevale, che amare non è vano, che il perdono ha il potere di cambiare e di riconciliare, che l’unità vince sempre la divisione, che il coraggio di dimenticare sé stessi per il bene dell’altro è più appagante del primato intangibile dell’io.
Là, dove tanti consacrati e ministri di Dio, nella silenziosa dedizione di sé, perseverano incuranti del fatto che il bene spesso non fa rumore, non è tema dei blog né arriva sulle prime pagine. Essi continuano a credere e a predicare con coraggio il Vangelo della grazia e della misericordia a uomini assetati di ragioni per vivere, per sperare e per amare. Non si spaventano davanti alle ferite della carne di Cristo, sempre inferte dal peccato e non di rado dai figli della Chiesa.
So bene quanto nel nostro tempo imperversano solitudine e abbandono, dilaga l’individualismo e cresce l’indifferenza al destino degli altri. Milioni di uomini e donne, bambini, giovani sono smarriti in una realtà che ha oscurato i punti di riferimento, sono destabilizzati dall’angoscia di appartenere a nulla. La loro sorte non interpella la coscienza di tutti e spesso, purtroppo, coloro che avrebbero le maggiori responsabilità, colpevolmente si scansano. Ma a noi non è consentito ignorare la carne di Cristo, che ci è stata affidata non soltanto nel Sacramento che spezziamo, ma anche nel Popolo che abbiamo ereditato.
Anche le sue ferite ci appartengono. È doveroso toccarle non per farne manifesti programmatici di pur comprensibili rabbie, ma luoghi in cui la Sposa di Cristo impara fino a che punto può sfigurarsi quando si sbiadiscono nel suo volto i tratti dello Sposo. Ma impara anche da dove ripartire, in umile e scrupolosa fedeltà alla voce del suo Signore. Solo Lui può garantire che, nei tralci della sua vigna, gli uomini non trovino appena uva selvatica (cfr Is 5,4), ma il vino buono (cfr Gv 2,11), quello della vera vite, senza la quale nulla possiamo fare (cfr Gv 15,5).
Questo è l’obiettivo della Chiesa: distribuire nel mondo questo vino nuovo che è Cristo. Niente ci può distogliere da questa missione. Abbiamo continuo bisogno di otri nuovi (cfr Mc 2,22), e tutto ciò che facciamo non è mai abbastanza per renderli degni del vino nuovo che sono chiamati a contenere e a versare. Ma, proprio per questo, occorre che i contenitori sappiano che senza il vino nuovo saranno comunque giare di pietra fredda, capaci di ricordare la mancanza ma non di donare la pienezza. Per favore, nulla vi distolga da questa meta: donare la pienezza!
La vostra santità non sia frutto dell’isolamento, ma fiorisca e fruttifichi nel corpo vivo della Chiesa affidatavi dal Signore, così come ai piedi della croce consegnò la propria Madre al discepolo amato. Accoglietela come sposa da amare, vergine da custodire, madre da rendere feconda. Il vostro cuore non si invaghisca di altri amori; vigilate perché il terreno delle vostre Chiese sia fertile per il seme del Verbo e mai calpestato dai cinghiali (cfr Sal 80,14).
Come potrete farlo? Ricordandovi che non siamo noi all’origine della nostra “porzione di santità”, ma è sempre Dio. È una santità piccina, che si nutre dell’abbandono nelle sue mani come un bimbo svezzato che non ha bisogno di chiedere la dimostrazione della prossimità materna (cfr Sal 131,2). È una santità consapevole che nulla di più efficace, più grande, più prezioso, più necessario potete offrire al mondo della paternità che è in voi. Incontrandovi, ogni persona possa almeno sfiorare la bellezza di Dio, la sicurezza della sua compagnia e la pienezza della sua vicinanza. È una santità che cresce mentre si scopre che Dio non è addomesticabile, non ha bisogno di recinti per difendere la sua libertà, e non si contamina mentre si avvicina, anzi, santifica ciò che tocca.
Non serve la contabilità delle nostre virtù, né un programma di ascesi, una palestra di sforzi personali o una dieta che si rinnova da un lunedì all’altro, come se la santità fosse frutto della sola volontà. La sorgente della santità è la grazia di accostarci alla gioia del Vangelo e lasciare che sia questa a invadere la nostra vita, in modo tale che non si potrà più vivere diversamente.
Prima ancora che noi esistessimo, Dio c’era e ci amava. La santità è toccare questa carne di Dio che ci precede. È entrare in contatto con la sua bontà. Guardate i pastori chiamati nella notte di Betlemme: hanno trovato in quel Bambino la bontà di Dio! È una gioia di cui nessuno potrà derubarli. Guardate la gente che da lontano osservava il Calvario: è tornata a casa battendosi il petto perché aveva visto il corpo sanguinante del Verbo di Dio. La visione della carne di Dio scava nel cuore e prepara il posto dove a poco a poco prende dimora la divina pienezza.
Perciò vi raccomando di non vergognarvi della carne delle vostre Chiese. Entrate in dialogo con le loro domande. Vi raccomando una particolare attenzione al clero e ai seminari. Non possiamo rispondere alle sfide che abbiamo nei loro confronti senza aggiornare i nostri processi di selezione, accompagnamento, valutazione. Ma le nostre risposte saranno prive di futuro se non raggiungeranno la voragine spirituale che, in non pochi casi, ha permesso scandalose debolezze, se non metteranno a nudo il vuoto esistenziale che esse hanno alimentato, se non riveleranno perché mai Dio è stato così reso muto, così messo a tacere, così rimosso da un certo modo di vivere, come se non ci fosse.
E qui, ognuno di noi deve umilmente entrare nel profondo di sé e domandarsi che cosa può fare per rendere più santo il volto della Chiesa che governiamo in nome del Supremo Pastore. Non serve puntare solo il dito sugli altri, fabbricare capri espiatori, stracciarsi le vesti, scavare nella debolezza altrui come amano fare i figli che hanno vissuto in casa come fossero servi (cfr Lc 15,30-31). Qui è necessario lavorare insieme e in comunione, certi però che l’autentica santità è quella che Dio compie in noi, quando docili al suo Spirito ritorniamo alla gioia semplice del Vangelo, così che la sua beatitudine si renda carne per gli altri nelle nostre scelte e nelle nostre vite.
Vi invito pertanto ad andare avanti gioiosi e non amareggiati, sereni e non angosciati, consolati e non desolati – cercate la consolazione del Signore – conservando il cuore di agnelli che, anche se circondati da lupi, sanno che vinceranno perché contano sull’aiuto del pastore (cfr S. Giov. Cris., Om. 33,1: PG 57,389).
Maria, Colei che ci porta in braccio senza giudicarci, sia la stella luminosa che guida il vostro camino.
Mentre ringrazio il Cardinale Marc Ouellet e il Cardinale Leonardo Sandri e le loro rispettive Congregazioni per il generoso lavoro svolto, imparto la Benedizione Apostolica su ognuno di voi e sulle Chiese che siete stati chiamati a servire.
Grazie!