Paolo de Martino – Commento al Vangelo di domenica 6 Settembre 2020

La scorsa settimana ci siamo lasciati sulle parole esigenti del Rabbì di Nazareth che invitavano Pietro, e tutti noi suoi discepoli, a prendere la croce e seguirlo.
Oggi la Parola ci mostra concretamente come incarnare questo invito di Gesù.
Siamo al capitolo diciottesimo di Matteo, quello che racchiude il discorso sulla comunità.
Matteo in questo discorso parla alla sua comunità dando norme, consigli.
Non vanno presi alla lettera perché è il tentativo di “tradurre” lo spirito di Gesù in comportamenti, regole, per uomini che hanno vissuto duemila anni fa in un ambiente e in una cultura molto diversa dalla nostra.
Non dobbiamo rimanere fedeli alle regole, che mutano nel tempo, ma allo spirito di Gesù: perché mentre le regole cambiano secondo i secoli e i tempi, lo spirito rimane per sempre.
Va colto, allora, il senso profondo: l’umiltà, la sollecitudine e l’attenzione verso gli altri.
Se Dio abita nel tuo cuore non si vede tanto da quanto preghi o da quanto lo nomini, ma soprattutto nelle tue relazioni, nei rapporti con le persone e da come stai con gli altri.
Insomma…in ogni cosa, tu ama!

L’Antico Testamento (Dt 19, 15) invitava, in caso di una mancanza da parte di qualcuno, di ammonirlo pubblicamente. Gesù invita invece a farlo «fra te e lui solo».
Dinanzi alla fragilità dell’altro ci vuole molta delicatezza, perché chi ha sbagliato, chi è caduto, possa essere recuperato nella sua piena dignità, impedendo che si trasformi in cibo dato in pasto alla critica e alla curiosità morbosa della comunità.
La rabbia, la durezza del giudizio, l’intransigenza non provocherà altro che la chiusura di quell’uomo, condannandolo ulteriormente dentro il guscio della propria colpa.
Gesù dinanzi all’uomo segnato dal male e dalla colpa commessa è sempre stato intransigente nei confronti del male, condannandolo, ma perdonando, recuperando e amando chi l’ha commesso.
Perdono che, nella miope prospettiva odierna, è visto come una debolezza.
Quanto è difficile perdonare!
Ci vuole del tempo, una forte fede, per perdonare chi mi ha fatto del male!
Quanto, in televisione, vedo un giornalista (idiota) che si avvicina al famigliare di una vittima chiedendo se perdona l’assassino del figlio mi sento salire la rabbia.
E’ una cosa seria il perdono! Ci vuole tempo e pazienza per costruirlo, non è un’emozione buonista, ma una adulta scelta sanguinante!
È possibile perdonare, dice il Vangelo…ecco la bella notizia!

Interessante: Gesù dice che quando l’altro commetterà una colpa contro di te, devi essere tu ad andare verso lui. Fai tu il primo passo, come Dio l’ha fatto (e continua a farlo ogni istante) nei tuoi confronti, venendoti a cercare quando ti trovi smarrito.
Questo movimento dell’amore Gesù lo ha già ricordato in un altro grande discorso, il primo, detto della montagna: «Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5, 23s.): se l’altro ti ferisce, non accostarti all’altare pensando di trovarvi Dio, ma va’ a cercare quel tuo fratello che ti ha fatto del male, ristabilisci con lui la fraternità infranta e in quel momento incontrerai anche il tuo Dio.
Se non si vive la comunione col fratello, non ci s’illuda di viverla in una chiesa.
Nella Chiesa i rapporti tra i discepoli sono vissuti in questa liberante logica d’amore.
Il vangelo ci illustra il modo di gestire i nascenti conflitti nella comunità primitiva: passato l’entusiasmo dell’adesione al Rabbì, allora come oggi sorgevano i problemi di dialogo e di comprensione col rischio di gesti estremi (magari in nome del vangelo!).
La prassi proposta da Gesù è piena zeppa di buon senso: discrezione, umiltà, delicatezza.
Quanto siamo lontano da questa prassi evangelica!
Ci incontriamo ogni domenica (quando va bene), spesso indifferenti gli uni gli altri, pronti a notare quello che non va nella comunità, un po’ scocciati di dover sottostare a questo rito settimanale che è la Messa.
Non solo non ci interessano gli affari degli altri, ma mai e poi mai ci verrebbe in mente di occuparci della perdita delle fede di chi ci sta accanto!
Il criterio del Vangelo è pieno di amorevole buon senso: ti voglio bene al punto che, dopo aver pregato, ti chiedo di interrogarti sui tuoi atteggiamenti.
La franchezza evangelica è un modo concreto di amare, di essere solidali, anche con durezza, come ha fatto Gesù con la Cananea e con Pietro.

Nelle nostre comunità abbiamo bisogno di scoprire questo modo concreto di intervenire, di prendere a cuore il destino dei fratelli, senza nasconderci dietro un ipotetico rispetto che non ci interpella e lascia il fratello nella propria inquietudine.
Gesù sogna una comunità di fratelli e sorelle che intrecciano rapporti autentici, seri, esigenti, appassionati, fondati sul Vangelo e non solo persone che condividono uno spazio o un ideale di vita.
Il Vangelo di oggi ci mette in guardia dal rischio di chiamare comunità ciò che in realtà è solo una convivenza…
«E se non ascolterà neanche la comunità, sia per te»”, quindi non per la comunità, ma per te, “«come il pagano e il pubblicano»”. Cosa significa?
Non significa che quest’individuo, causa del dissidio, vada escluso dall’amore della comunità, e neanche dal tuo amore, ma significa che questo amore sarà a senso unico.

Mentre nella comunità l’amore donato viene anche ricevuto, perché i fratelli si scambiano
vicendevolmente questo amore, verso la persona che è causa del dissidio, l’amore va dato come quello verso i nemici.
Gesù dirà di amare i nemici, dirà di pregare per i persecutori.
Quindi non significa escludere questa persona dal tuo amore, ma amarlo in perdita, a senso unico.
Gesù dice che dove due o tre sono riuniti nel suo nome Lui è in mezzo a loro.
Questo ci fa stare tranquilli, perché non dice “dove due o tre santi...” o “dove due o tre perfetti”.
La presenza palpitante del Signore è offerta a tutti, non è questione di numero o di merito. L’unica condizione è essere riuniti nel Suo nome.
Allora mi viene spontaneo chiedermi: le nostre comunità nel nome di chi si raccolgono?
In nome dell’abitudine? Della tradizione? Della visibilità? O nel nome di Cristo e della sua Parola infuocata di passione per la fraternità?
La bella notizia di questa Domenica? Ciò che scioglieremo avrà libertà per sempre, ciò che legheremo avrà comunione per sempre perché Dio dona eternità a tutto ciò che di più bello abbiamo seminato nel mondo.


AUTORE: Paolo di Martino
FONTE: Sito web
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