Guardare oltre
Giovanni il battista è l’ultimo dei profeti. Fu l’iniziatore di Gesù e probabilmente anche un suo discepolo. E’ l’unico Santo, insieme alla Vergine Maria, di cui si celebra il giorno della nascita oltre a quello del martirio.
Luca, come i grandi scrittori del suo tempo, inquadra la storia del battista nella cornice della grande storia, elencando i nomi dei sovrani, politici e religiosi, del suo tempo. Tiberio Cesare, Ponzio Pilato, Erode, Filippo, Lisània, Anna e Caifa. Ancora una volta Luca ci tiene a ricordare che non andiamo dietro a favole. Con la sua consueta precisione, fa passare davanti agli occhi del lettore i potenti del tempo, sette nomi, a simboleggiare la pienezza del potere di ogni luogo e di ogni tempo. In questo elenco di nomi, ecco la svolta: Dio scende su chi è disponibile ad accoglierlo, non tra i famosi della storia. Scende su Giovanni.
Sappiamo poco lui: nasce ad Ain Karim (sette km a Ovest di Gerusalemme), figlio di Zaccaria, vive nel deserto, viaggia nella regione del Giordano e annuncia un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Alla geografia dei potenti sfugge un uomo, una voce, un deserto. Sul meccanismo oliato del potere, cade un granello di sabbia, un granello profetico.
Che bella questa contrapposizione costruita da Luca per esaltare l’investitura di Giovanni. La logica di Dio continua a svelare la sua sconcertante novità. Dio continua a evitare i potenti. Come per Maria, i criteri di scelta continuano a essere diversi da quelli del mondo. Un criterio misterioso guida le scelte di Dio, certamente non la fama o la gloria.
Scendere
La parola di Dio scende su Giovanni, nel deserto. Il verbo “scendere” in greco vuol dire anche “nascere, generare”. La Parola è un incontro che trasforma, genera, produce frutto. Infatti, se ne va per tutta la regione a predicare. «Non conosco nulla al mondo che abbia tanto potere quanto la parola. A volte ne scrivo una, poi la guardo fino a quando non comincia a splendere» (E. Dickinson). Dio quando scende, produce sempre un cambiamento, spinge a uscire. Ascoltiamo molte parole durante la giornata, anche religiose, ma la parola di Dio non è così. La Parola (con la “P” maiuscola) entra in profondità, nel cuore, destabilizza, sentiamo che ci riguarda, anche se non sappiamo bene il perché.
Deserto
Il deserto di Giuda diventa il centro del mondo. E’ un luogo più teologico che geografico. Geograficamente è una regione montuosa quasi disabitata e con pochissima vegetazione, ma nella Bibbia è soprattutto un luogo per cui si deve passare. Per giungere a una meta, in una qualsiasi terra promessa, bisogna avere il coraggio e la forza di affrontare il deserto, il proprio personale deserto. E’ stato un passaggio necessario per il popolo d’Israele, un luogo necessario per Mosè, per Elia, per Paolo e lo sarà anche per Gesù. Il deserto, più che un luogo fisico, è una dimensione della vita. «Mi è sempre piaciuto il deserto. Ci si siede su una duna di sabbia. Non si vede nulla. Non si sente nulla. Tuttavia qualcosa risplende nel silenzio» (A. de Saint-Exupéry). Nel deserto, un uomo vale quanto il suo cuore, è senza maschere e senza paure. Il deserto è il luogo in cui guardarsi allo specchio con franchezza, dove non si può fuggire a se stessi, non si possono più cercare risposte altrove. Nel deserto non c’è nessuno: siamo soli con noi stessi e questo ci fa paura (quante persone hanno il terrore di stare con sé).
Nel deserto, il battista predica un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Predicare, in greco, è “kerysso” derivante da “ker”, cioè cuore. Giovanni non fa lunghe omelie ma discorsi che partono dal cuore e che arrivano al cuore perché il messaggio non deve convincere, ma spingere ad aderire perché tocca il cuore.
Attesa
Nelle parole di Giovanni, che riprendono quelle di Isaia, troviamo una delle caratteristiche della vita spirituale: l’attesa. «Preparate la via del Signore…». E’ facile dire che attendiamo Gesù ma che vuol dire? Per Giovanni è un vero cantiere di lavoro, il più grande della storia. C’è bisogno di raddrizzare i sentieri, riempire ogni burrone, abbassare ogni monte e ogni colle. Amico lettore, sei pronto a rimboccarti le maniche e abbandonare le mezze misure? Smettila di rimandare o di far finta di nulla perché il problema non è quanto attendi, ma chi attendi.
Profeta
Giovanni è l’ultimo profeta dell’Antico Testamento e il primo Apostolo di Gesù, perché gli rese testimonianza ancora in vita. In cinque termini, «la Parola fu su Giovanni», è racchiusa la nostra vocazione. Siamo tutti chiamati a essere profeti. Chi è un profeta? Diciamolo subito: non è qualcuno che prevede il futuro. La parola “profeta” è di origine greca composta di due termini: “Pro” (al posto di) e il verbo “femì” (dire). Il profeta è chi “parla al posto di”, in nome di Dio, è la voce, la bocca di Dio.
I profeti esistono ancora? Certo, sono vivi e presenti in mezzo a noi, sono uomini e donne che vivono il vangelo con semplicità, diventando un segno di conversione per noi tutti. Non sono persone straordinarie ma uomini e donne che vivono la fede con passione: il volontario che nell’ospedale dona sorrisi e conforto a chi è provato dal dolore, la coppia che allarga la propria casa per prendere in affido un bimbo, il giovane che dedica il pomeriggio in oratorio per l’educazione dei ragazzi, il consacrato che consuma i suoi giorni per dare speranza ai disperati… Siamo circondati da testimoni silenziosi, da migliaia di profeti che danno testimonianza a Dio, anche se non vestono peli di cammello come Giovanni, il più grande tra i profeti. Stupiamoci allora per i tanti profeti che ancora incrociamo per strada, che ci aiutano a leggere il presente alla luce della fede. Ci stiamo abituando al pessimismo, invece, la profezia può aiutarci a cogliere i segnali di luce che squarciano il grigiore della quotidianità. Riconoscere e accogliere i profeti significa scrutare, interrogarsi, non dare per scontata la vita di fede. Tempi nuovi chiedono modi nuovi di essere “trasparenza di Dio”, perché questo è il solo compito di ogni uomo.
I profeti hanno faticato e tribolato per scrutare i segni dei tempi. È urgente che la Chiesa si riappropri del proprio ruolo profetico, anche se questa scelta può essere scomoda, guai a una Chiesa che è sempre dalla parte del più forte. Siamo chiamati a vivere e a proporre la conversione dei cuori, a denunciare le ingiustizie, con mitezza ma con decisione, dentro e fuori la Chiesa. Ciascuno di noi è chiamato a essere profeta, a essere segno laddove vive, a essere almeno un poco “trasparenza di Dio”, ma prima deve essere raggiunto, afferrato e conquistato da Cristo.
La bella notizia di questa domenica? Lo Spirito ci dona la possibilità di ripartire, di spianare le montagne delle nostre fragilità e riempire i burroni delle nostre paure.
Fonte: il blog di Paolo de Martino | CANALE YOUTUBE | PAGINA FACEBOOK