Paolo de Martino – Commento al Vangelo di domenica 26 Settembre 2021

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Il vangelo? Un bicchiere d’acqua

Domenica scorsa i discepoli sono usciti un po’ malconci con la loro smania da protagonisti. Questa Domenica le cose non vanno poi molto meglio.
Gesù sta andando verso Gerusalemme e camminando istruisce i discepoli. Alcuni studiosi definiscono questo brano un “piccolo catechismo della comunità”.
Ad un tratto qualcuno guarisce e scaccia i demoni nel nome di Gesù. I discepoli se ne accorgono e glielo impediscono, perché “non è dei nostri”.

Si, avete capito bene: perchè gli apostoli se la prendono con quell’uomo che scaccia i demoni nel nome di Gesù? E’ un pubblico peccatore? Vuole prendersi il merito? Non fa le cose secondo le indicazioni di Gesù? No, cari amici, niente di tutto questo. Marco riporta candidamente la pretesa dei dodici: “…perché non ci seguiva”. Domenica scorsa era emerso il loro protagonismo personale, oggi quello del gruppo.
Questo brano mette davvero in crisi il nostro modo di pensare.

Nei secoli la Chiesa si è sentita un come l’arca di Noè: fuori di lei nessuna di salvezza. Per secoli abbiamo ripetuto con orgoglio che: “Fuori dalla Chiesa non c’è salvezza”. Solo chi apparteneva alla Chiesa cattolica, chi era “dentro”, solo chi era battezzato aveva la possibilità di salvarsi. Non vi sembra che avessimo un po’ troppe manie di onnipotenza?

L’appartenenza, ci ricorda il vangelo, non è il criterio esclusivo. Dio non è questione di appartenenza, ma di amore, di spirito. Molte persone sono state allontanate dalla Chiesa nel corso dei secoli (Leonardo Boff; Theilard de Chardin ecc.) ma questo non significa che fossero lontane da Dio. Perché si è sbattuti fuori dalla chiesa non vuol dire che si è sbattuti fuori da Dio. Dio è più grande della Chiesa. La Chiesa ha Dio, ma non lo possiede completamente. Il Bene è presente anche fuori della Chiesa. Chiunque fa il bene viene da Dio. Ci si salva anche solo per un bicchiere d’acqua dato con amore: “Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome, non perderà la sua ricompensa” (9,41).

Così poco? Si amici, così poco. Gesù ha talmente abbassato l’asticella che chiunque può riuscirci perché Dio ci vuole eroi nelle piccole cose, quelle che sono alla portata di tutti. Non importa se non diventeremo mai “santi da calendario”, se il nostro nome non comparirà mai sui giornali, perché la nostra vita è salva, cioè felice, grazie all’amore con cui viviamo, a telecamere spente.
La chiesa ha vissuto, nei secoli, due grandi piaghe: il clericalismo e il trionfalismo. Il primo diceva: “Solo il clero possiede Dio”. Il secondo: “Solo la Chiesa detiene la verità”. Per fortuna Dio non può essere imprigionato e tutti gli uomini possono essere volto di Dio. Erasmo da Rotterdam diceva: “Ovunque tu incontri la verità, considerala cristiana”.

Gesù non è mai stato escludente, né ha mai obbligato nessuno a seguirlo e a far parte della sua comunità. Nessun proselitismo! Gesù è il Signore di tutta la chiesa e lui solo conosce i suoi: non spetta dunque ai suoi, o presunti tali, giudicare altri come zizzania, fino a tentare di estirparli.
Il gruppo dei dodici iniziava a sentirsi come una casta, credevano di avere l’esclusiva su alcune attività. Questo atteggiamento riflette il carattere irruente di Giovanni (lui e il fratello Giacomo erano stati soprannominati da Gesù “i figli del tuono”), oppure si tratta del riflesso di una difficoltà presente nella comunità di Marco.

Gesù, ancora una volta, ridimensiona le pretese di Giovanni e dei suoi discepoli e propone il superamento dello scandalo, cioè dell’inciampo, per essere suoi discepoli in pienezza.
La risposta di Gesù, segna una svolta della storia: tutti gli uomini sono “dei nostri”, come noi siamo di tutti. Prima di tutto l’uomo. Tutti sono dei nostri. Si può essere di Cristo anche senza appartenere alla sua istituzione, perché la Chiesa è strumento del Regno, ma non coincide con il Regno di Dio, che supera questi confini.

Gesù sottolinea tre cose su cui fare attenzione: la mano, il piede e l’occhio. Secondo la mentalità ebraica le parti del corpo sono la sede dei diversi istinti umani. Potremmo parafrasare dicendo: ciò che facciamo, dove andiamo e ciò che vediamo. Attraverso ciò che facciamo o non facciamo, attraverso dove scegliamo di andare o non andare e ciò che scegliamo di vedere o non vedere passa il nostro essere di ostacolo all’altro. Insomma, attraverso l’amore non dato passa il nostro essere di scandalo (lo scandalo era il sasso che entrava nella scarpa e impediva di camminare). “Scandalo” per il vangelo è tutto ciò che non fa vivere, che impedisce di proseguire il cammino.
Le parole di Gesù mettono l’accento su tre aspetti delle scelte:

  • Ciò che fa male va tagliato, lasciato. Perché voler continuare a stare male attraverso compromessi pericolosi? Noi ci salviamo, cioè viviamo felici, per la decisione con cui tagliamo ciò che ci fa male, ciò che nuoce alla nostra felicità. Se quella relazione nuoce alla serenità della tua famiglia, tagliala. Se quell’abitudine è pericolosa per la tua salute, tagliala. Se quell’ambiente provoca sofferenza ai tuoi pensieri, taglialo. E’ meglio soffrire qualche minuto ora per alcuni tagli, che vivere una vita sbagliata e rendere infelici anche gli altri.
  • Scegliere, tagliare, fa male. E’ inutile nascondercelo: scegliere provoca sempre una sofferenza perché significa perdere qualcosa. E’ come il parto: un dolore tremendo che però dà vita.
  • Nella vita ci sono scelte radicali. Alcune scelte hanno bisogno di fermezza, decisione, risolutezza.

Cari amici, le nostre mani siano aperte al dono, i nostri piedi imbocchino sentieri di speranza, i nostri occhi ardano dal desiderio di vedere il Suo Volto.
La bella notizia di questa Domenica? Si può essere di Cristo senza appartenere al gruppo dei Dodici, perché tutto il Vangelo sta in un bicchiere d’acqua.

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