AUTORE: Paolo di Martino FONTE: Sito web SITO WEB CANALE YOUTUBE PAGINA FACEBOOK
Il miracolo della condivisione
Domenica scorsa la folla aveva sete di parole, oggi hanno fame di cibo. Questa Domenica, oltre che essere senza pastore, sono anche pecore affamate.
Il Vangelo è pieno di miracoli compiuti sui corpi perché in tutta la Bibbia, l’uomo non “ha” un corpo, “è” un corpo spirituale. Il Cristianesimo è la religione del corpo. Per secoli si è diviso materia e spirito. Tutto ciò che era corpo, era ritenuto sporco, negativo, dimenticando che il mio corpo è il luogo di Dio. Lo spirito esiste solo in un corpo. Nel corpo c’è tutto ciò che unisce una persona alle altre: parola, sguardo, gesto, ascolto, cuore. Ecco perché ci ha donato il Suo corpo. Ci ha dato tutta la sua storia.
E’ un miracolo raccontato sei volte gli evangelisti, certamente doveva aver lasciato il segno negli apostoli.
Ma in Giovanni al centro c’è Gesù, non i discepoli. E’ Lui che vede il bisogno della folla, che attira l’attenzione dei discepoli e che – addirittura! – distribuisce il cibo. E’ un maestro attento e concreto quello di Giovanni: vede la fame degli uomini e decide di intervenire.
La situazione iniziava a essere tesa, allora meglio ritirarsi in disparte. Gesù con i suoi si ritira a Betsaida, fuori dal territorio Giudeo ma quando arriva, vede che la folla lo aveva preceduto. Ne prova compassione, ne soffre insieme, perché Gesù non riusciva ad amare lo spirito di un uomo e non amare il corpo.
La gente ha fame. Tutti abbiamo fame…fame di senso, di felicità, di attenzioni, di affetto. In fondo tutta la nostra vita altro non è che una continua ricerca di felicità, che colmi quella fame di senso presente nei nostri cuori.
Giovanni ricorda una serie di numeri e sappiamo che nella Bibbia hanno sempre un significato simbolico. Cinque pani e due pesci, cioè sette, il numero della totalità, dei sacramenti: il poco, se condiviso, diventa sufficiente per tutti. Dodici, come le tribù di Israele: il nuovo popolo dev’essere fondato sulla condivisione. Cinquemila, perché la primitiva comunità cristiana, secondo gli Atti degli Apostoli, era composta di circa cinquemila persone: per Giovanni questa è l’azione che costituisce la comunità. Cinquanta è l’azione dello Spirito (Pentecoste è il cinquantesimo giorno).
Gesù insegna ai suoi a gestire l’emergenza: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Lo chiede Lui a Filippo perché sta per fargli capire che non c’è da temere, loro hanno già tutto: c’è Lui!
Ma ecco che entra in scena un ragazzo senza nome (cioè noi!) con cinque pani d’orzo – il pane dei poveri – e due pesci. Cinque pani per cinquemila persone. Impossibile! Sì, impossibile per chi non ha fede, per chi non ragiona con il cuore che è l’unico modo per condividere anche ciò che non si ha.
E’ poco certo, ma è il poco del granello di senape, il poco della vedova del tempio, il poco di età di Davide o di Giosuè, il poco di Maria. E’ il poco che contiene il tutto qualora accetti di lasciarlo nelle mani giuste perché ogni cosa dipende dalle mani in cui si trova.
Gesù non moltiplica (non c’è questo verbo) non compie un gesto magico, non cerca la spettacolarità. Il vero miracolo è la condivisione, è il pane spezzato che sazia la fame di chi ascolta la Parola.
Sono pochi, cinque pani e due pesci per cinquemila uomini. Ma non importa! Gesù non calcola secondo i nostri criteri.
Gesù li fa sedere, (letteralmente li fa sdraiare) come mangiavano i signori del tempo. Che bello: Gesù si fa servo perché i servi possano sentirsi signori.
Gesù distribuisce, condivide. A un pio israelita risalta immediatamente un’omissione: perché Gesù non chiede alla folla di purificarsi (rito importante nel pasto giudaico) per essere degna di mangiare questo pranzo? Giovanni sta già anticipando la grande novità di Gesù di Nazareth: la religione insegnava che l’uomo deve purificarsi per accogliere Dio, il Vangelo è la bella notizia che accogliendo il Signore si è purificati.
Gesù è chiaro: tutto inizia da poco. Fidati di te e della Vita perché tutto ciò che è grande, un giorno è stato piccolo. Non ti succede mai scoraggiarti per quello che dovresti fare? Il pericolo della nostra vita è guardare sempre ciò che abbiamo e non ciò che possiamo diventare. Guardati non solo per ciò che sei ma per ciò che puoi diventare.
Ecco il senso della moltiplicazione: più si condivide e più le cose si moltiplicano. E’ quello che deve essere successo: Gesù deve aver iniziato a condividere con i suoi discepoli quello che avevano, inducendo così la folla a fare altrettanto. Se ognuno fa la sua parte, l’impossibile diventa possibile. Penso a tutte le risorse che ci sono nelle nostre comunità: chi ha capacità organizzative, chi ha abilità canore, chi ha il dono della parola, chi sa usare il computer… Pensate cosa accadrebbe se mettessimo in circolo ciò che sappiamo fare. Se la società tende a isolare, il Vangelo spinge a condividere.
Gesù deciderà di rimanere in mezzo a noi, nel segno fragile e quotidiano del pane. Sarebbe potuto rimanere in mezzo a noi in mille modi, magari lasciandoci un segno potente e inequivocabile della sua presenza in modo da convincere tutti anche i più dubbiosi. Invece no. Non sarebbe stato nel suo stile… Tutto il Suo corpo, la Sua storia, la Sua vita appassionata d’amore sono lì, in quel fragile e insignificante pezzo di pane. Da mangiare. Da contemplare. Da custodire.
Il racconto di questo segno termina con un finale amaro, si risolve in un malinteso: «volevano impadronirsi di lui per farlo re» dice Giovanni, cioè volevano ridurlo a un oggetto, un idolo plasmato dai loro desideri, volevano un Messia con un programma umano. Nasce qui, il fraintendimento che condurrà Gesù al patibolo. La gente crede di aver trovato finalmente un Dio che sfama gratis, che risolve i problemi, che ci evita la sofferenza. E invece… «Lui da solo» si ritirò di nuovo sul monte. Perché da solo? Perché anche i discepoli condividono la mentalità della folla.
La bella notizia di questa Domenica? Se accettiamo ciò che siamo tutto si trasforma. Amare ciò che siamo, può essere l’inizio di un nuovo miracolo.
Fonte: il blog di Paolo de Martino