AUTORE: Paolo di Martino FONTE: Sito web SITO WEB CANALE YOUTUBE PAGINA FACEBOOK
L’immagine del buon pastore è senz’altro la più conosciuta e amata dai cristiani. Eppure un’immagine così romantica provocherà la reazione delle autorità giudee che cercheranno di lapidarlo. Perché? Perché Gesù afferma di essere non il “buon pastore” ma letteralmente, nell’originale greco, “il bel (kalós) pastore”, il pastore eccellente, quello atteso. La bellezza è emanazione dell’essere, la bontà è più dell’ambito del fare.
Prima dell’immagine del buon pastore (10,11-18) viene descritta l’immagine della porta (10,1-10). Il brano di oggi ci presenta solo la seconda immagine, ma vanno prese insieme. Dio veniva sperimentato così: come il buon pastore e come una porta.
Il vangelo invita anche noi ad essere porte e pastori.
La porta non si muove, rimane lì. Puoi entrarci o restare fuori. Tu puoi ritornare, entrarci, oppure, se vuoi, rimanere fuori. Quando, poi, ne hai bisogno ritorni e la porta ti protegge. La puoi chiudere o tenere aperta. E’ sempre lì. Noi abbiamo bisogno di trovare “persone-porte”, persone che ci siano, dalle quali sappiamo che saremo accolti, amati, ascoltati al di là di ciò che facciamo o siamo, persone verso le quali sappiamo di poter sempre ritornare. Gesù è la porta! Da Lui si può sempre ritornare, non ci lascerà mai fuori.
Il vangelo ci invita poi ad essere pastori, cioè “prenderci cura”. Significa aver cura di sé stessi, aver pazienza con sé, saper aspettare, non essere duri con sé stessi e fare tutto questo con gli altri. Tutto ciò che vive ha bisogna di cura, di amore, di protezione, di dedizione, ogni giorno.
Ecco a cosa siamo chiamati: ad essere porte e pastori delle persone, dei mariti, delle mogli, dei figli, degli amici. I primi cristiani vedevano nel Signore la porta (il loro punto di riferimento) e il pastore (che si prendeva cura di loro.)
In fondo tutti noi siamo pastori. Tutti abbiamo un qualche ruolo di responsabilità: il parroco guida i suoi fedeli; il genitore guida i suoi figli; il dirigente guida i suoi dipendenti; il docente guida i suoi alunni.
Essere “bel pastore” significa porre attenzione alle persone, non umiliare, non esigere di sapere sempre tutto, non “vomitare” addosso agli altri i nostri sbalzi d’umore. La fiducia si merita, non è un diritto.
Essere “bel pastore” significa credere nelle proprie pecore, valorizzarle, credere cioè che in ogni persona c’è una scintilla di Dio.
Essere “bel pastore” significa essere liberi. Se c’è da dire un “no” o da ri-prendere una pecora, il bel pastore lo fa perché non teme di deludere.
Essere “bel pastore” significa guidare.
Gesù si presenta come il bel pastore che conosce le sue pecore, le conosce personalmente. Il nostro nome sta scritto nel Suo cuore. Per Dio siamo tutti figli unici! Non ci ama in maniera indistinta, sa tutto di noi: le gioie e le fatiche, i sogni e i limiti. Il Signore è capace di adeguare il Suo passo ai nostri ritmi, ma sa anche essere esigente quando la nostra pigrizia lo richiedono. Gesù è l’unico che ci conosce veramente, e per questo può amare di noi quello che gli altri o noi stessi non riusciamo ad amare.
E’ giunto il momento di farci una domanda franca e onesta: chi è il pastore della nostra vita e dove la conduce? A chi andiamo dietro? Di chi siamo alla ricerca? Verso chi sono puntati i nostri passi? A chi affidiamo la nostra vita? Diamo un nome ai modelli, agli ideali che ispirano le nostre scelte. Così verifichiamo il nostro cammino di fede. Un’avvertenza: non cadiamo nel tranello di suppore che se non siamo dei delinquenti (non rubo, non uccido ecc…) possiamo stare con la coscienza tranquilla. Noi siamo maestri quando dobbiamo raccontarci delle bugie per giustificarci.
La logica del “bel pastore” in fondo è la logica dell’amore, del “mi importa”.
A Dio, l’uomo interessa, per Lui è importante. A Dio importa di me, della mia vita, sono importante per Lui. Anzi per il Signore l’uomo è più importante di se stesso, per questo dà la sua vita. A ciascuno ripete: ho a cuore i passeri del cielo ma voi valete molto di più. Ho a cuore i gigli del campo, ma voi valete molto di più.
La qualità dell’amore di qualcuno la capiamo quando le cose girano nel verso sbagliato. I veri amici, lo abbiamo sperimentato un po’ tutti, sono quelli che non se ne sono andati quando abbiamo sbagliato, quando non eravamo più utili, quando è finita la salute. I lupi aiutano sempre a capire chi ci ama davvero. Le esperienza negative sono utili non fosse altro perché ci aiutano a far emergere la qualità delle nostre relazioni.
Conviene seguire Lui perché siamo certi che Lui non chiederà mai nulla in cambio, perché siamo amati di un amore che ci dà il permesso di rimanere noi stessi. E il bel pastore offre la vita per questo.
E poi una bella notizia! Con Gesù sono finiti gli ovili, i recinti.
Purtroppo in passato la traduzione sbagliata («E diventeranno un solo ovile, un solo pastore») ha prodotto guerre di religione perché tutti entrassero nell’unico ovile.
Oggi abbiamo una chiara coscienza che Dio non fa preferenza di persone e l’amore non può essere rinchiuso in un recinto.
Gli amati non s’identificano con una parte.
Dinanzi a Dio non ci sono migliori o peggiori, preferiti o reietti.
Nessuna “salvezza” è riservata ai cristiani dentro la Chiesa Cattolica dunque, con buona pace dell’antico adagio: «Extra Ecclesiam nulla salus» (“fuori della Chiesa non c’è salvezza”). Oggi il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 847) afferma: «Quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, e tuttavia cercano sinceramente Dio, e sotto l’influsso della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di Dio, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna (Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 14)».
Gesù è venuto a liberare l’uomo da tutti i recinti, da tutte le leggi e tutte le proibizioni. Perché Dio è l’Amore che apre a “pascoli sconfinati” l’intera umanità, aldilà dei recinti di credo o di appartenenza. Gesù è venuto a spezzare le staccionate che separano, comprese quelle della morale e dell’integrità. È vero, Gesù è la porta, ma proprio per questo nel mondo di Dio le porte sono state tutte scardinate. Dio chiama all’unità, che è l’esatto opposto dell’uniformità, perché l’amore esalta le differenze.
La bella notizia di questa Domenica? A Dio importa di me, anche quando non capisco, anche quando sono turbato per il suo silenzio perché il bel pastore non può stare bene finché non sta bene ogni sua pecora, ogni suo figlio.
Fonte: il blog di Paolo de Martino