Paolo de Martino – Commento al Vangelo di domenica 23 Agosto 2020

È una delle pagine più famose del Vangelo, quella di Pietro che scopre di essere papa.
In realtà è molto di più: è la manifestazione dell’immenso rispetto che Dio ha per ciascuno di noi. E che noi, troppe volte, non abbiamo di lui.
“La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?”
Facile: Giovanni Battista, Elia, Geremia o qualcuno dei profeti…
Certo, tutti hanno capito la grandezza di Gesù, ma la riducono a qualcosa di già noto e conosciuto, non riescono a cogliere la sua novità.
Ho l’impressione che questo non sia solo un “difetto” dei contemporanei di Gesù…
Anche noi corriamo il pericolo di dare per scontato, di pretendere di sapere già, di vivere la fede in modo stanco e ripetitivo.
Ma Gesù non si accontenta di smascherare “la gente”, ora vuole arrivare anche a loro, ai discepoli. “Voi chi dite che io sia?”.

Una volta all’anno ci capita si sentirci chiedere da Gesù: «Chi sono io, per te?».
Oggi, non dieci anni fa, o un anno fa. Oggi siamo chiamati a fissare il nostro sguardo su quello del Nazareno, per scoprire se vogliamo ancora essere discepoli del Maestro.
Noi siamo molto abili a questionare su Dio, a condurre alti discorsi su di lui (fare teologia), porgli domande, interrogativi e chiedere lumi sul Mistero.
Il Vangelo oggi ci ricorda che l’essenziale è piuttosto ascoltare la domanda che lui ha per me, e rispondere di conseguenza.
L’essenziale è lasciarsi mettere in questione da Dio, più che questionare su di lui.
È lasciarsi raggiungere, piuttosto che raggiungerlo con definizioni sulla sua essenza.
Gesù domanda: Chi sono io per te? Cosa c’entro io con la tua vita?
Le risposte possibili son due, da sempre. Una religiosa e una mossa dalla fede.
Quella religiosa si ferma al contenuto, ad un’affermazione dogmatica, imparata magari a catechismo. Risposta che incasella, definisce, sistema Dio in una griglia concettuale predefinita. E pensiamo di conoscere Dio in proporzione a ciò che sappiamo su di lui, alle informazioni in nostro possesso. È come presumere di dissetarsi conoscendo la formula dell’acqua.
Gesù però vuol farci fare un passo oltre, dalla religione alla fede.
Nella tua vita concreta, cosa ha che fare il Dio di Gesù Cristo?
La relazione che hai con la persona di Gesù Cristo, tocca le scelte che fai, il tuo modo di pensare, di vedere le cose, di incontrare la persona che ami, gli amici che frequenti, il lavoro che svolgi, il denaro che gestisci, il vestito che indossi, il cibo che mangi?

«Chi sono io, per te?». Simone il pescatore osa, si schiera.
Gesù è uomo pieno di fascino e di mistero. Di più. È un profeta. Di più. È il Messia.
Facile dirlo, per noi. Ma per chi stava lì con lui, con il falegname di Nazareth, è un’affermazione sconcertante. Gesù non era un uomo di cultura, e neppure religioso. E non era neanche tanto devoto, permettendosi di interpretare liberamente la Legge (riportandola all’essenziale, in verità).
Simone dice a Gesù: “Tu sei il Cristo”, che significa: “Tu sei il Messia che aspettavamo”, una professione di fede bella e buona e, decisamente, ardita.
Pietro, riconoscendo nel falegname l’inviato di Dio, fa un salto di qualità determinante nella sua storia, un riconoscimento che gli cambierà la vita.
Per Simone, dire che Gesù è il Cristo è un salto mortale. E Gesù gli restituisce il favore.
Gesù gli risponde: “Tu sei Pietro”.
Simone non sa di essere Pietro. Sa di essere cocciuto e irruente ma, riconoscendo in Gesù il Cristo, scopre il suo nuovo volto, una dimensione a lui sconosciuta, che lo porterà a garantire la saldezza della fede dei suoi fratelli.
Sapeva di essere un testone, scopre di essere una roccia.
Sapeva di essere un irruento, un sangue caldo; il Signore gli svela che su questo difetto potrà costruire un ruolo, aiutare i fratelli.
Pietro rivela che Gesù è il Cristo. Gesù rivela a Simone che egli è Pietro.
Quando ci avviciniamo al mistero di Dio, scopriamo il nostro volto. Quando ci accostiamo alla Verità di Dio riceviamo in contraccambio la verità su noi stessi.

Il Dio di Gesù non è un concorrente alla mia umanità.
Alcuni sono persuasi che aprendosi alla misericordia di Dio, quasi venga a mancare una parte della propria umanità.
Molti hanno la comica immagine del cattolico come mezzo-uomo, animale da sacrestia (immagine talora confermata da certi nostri devoti!). Niente di più fasullo: se il Dio in cui crediamo ci fa decrescere in umanità, non è il Dio di Gesù Cristo.
Quanti, avendo seguito con più decisione la presenza del Signore Gesù, giungono a dire che hanno imparato a diventare veramente uomini! Non abbiamo paura, quindi, a fidarci di questo Dio che davvero ci può rivelare a noi stessi, con semplicità e verità.

Per questo coraggio, per il suo ardire, per la sua generosità imbarazzante, per la sua irruenza Pietro è scelto per confermare la fede dei fratelli, per custodire e dire il Vangelo insieme agli altri apostoli.
Ma occorre non dire a nessuno che egli era il Cristo. Almeno sino a quando Gesù non sarà elevato da terra.
L’unica vera immagine di Dio ci deriva dalla croce.
È sul patibolo infame che Dio rivela il suo vero volto: amore sino alla fine.
Per questo, ogni conoscenza di Dio che non passa dal crogiuolo della croce, sarà sempre un’immagine impura, ancora piena di scorie, non oggettiva appunto.
Solo dinanzi all’amore crocifisso abbandoneremo tutte le nostre immagini distorte che ci portiamo dentro di Dio, e impareremo finalmente a riconoscerlo in tutti i crocifissi che chiedono di essere accolti. Smetteremo così di fare domande su Dio, e impareremo a rispondere alle invocazioni dei fratelli che ci chiedono, imploranti, di amarli così come sono e non come vorremo che fossero.
La bella notizia di questa Domenica? Il cristianesimo non è né una dottrina, né una morale, ma è il mio rapporto con Gesù, il mio Signore e il mio Dio.


AUTORE: Paolo di Martino
FONTE: Sito web
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