Paolo de Martino – Commento al Vangelo di domenica 18 Luglio 2021

668

AUTORE: Paolo di Martino FONTE: Sito web SITO WEB CANALE YOUTUBE PAGINA FACEBOOK


Gesù aveva inviato gli apostoli, ora ritornano per riferirgli quello che hanno fatto.
Sono partiti da Gesù, e a Lui ritornano perché Lui è il loro centro. Tornano a colui che li aveva chiamati «perché stessero con lui», oltre che «per mandarli a predicare» (Mc 3,14). Marco non dice che gli inviati hanno fatto cose straordinarie, miracoli.
Ma perché tornano da Gesù? Innanzitutto per fare una revisione, un tagliando.
Ogni tanto nella nostra vita abbiamo bisogno di verificare le nostre direttrici: lavorare è importante ma ogni tanto mi devo chiedere: “Va bene questo lavoro? Mi realizza?”.

E’ importante amare ma ogni tanto mi devo chiedere: “Ma ciò che io chiamo “amore” è proprio amore?”. E’ importante vivere, ma ogni tanto c’è da chiedersi: “Ma sono davvero felice? Che senso ha la mia vita?”. E’ importante pregare ma ogni tanto bisogna chiedersi: “Ma la mia preghiera è solo un dire parole? E’ la lista della spesa che presento a Dio?”.

Sono domande da farsi. Certo alcune volte le risposte non ci piacciono per cui evitiamo preventivamente di farci queste domande illudendoci che tutto vada bene o che non ci siano problemi. E’ il motivo per cui molte persone non si fermano mai, non riflettono.
I Dodici tornano da Gesù per verificare il loro agire per vedere cosa ha funzionato e cosa c’è da cambiare, da modificare, da non rifare.
In fondo, però, tornano anche per condividere, per raccontare. Questo ci fa sentire uniti, intimi, nel cuore di un altro e l’altro nel mio cuore. Condividere non è la cronaca di ciò che è successo ma esprimere sentimenti, emozioni. Vuol dire esporsi e mostrarsi. Molti uomini parlano molto ma condividono poco.

«Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato». Gesù li ascolta, li lascia parlare. Qui forse c’è la definizione più bella di preghiera: è la consegna della nostra storia, il racconto di ciò che viviamo, proviamo e pensiamo. Dio sa già tutto, ovvio, ma ama sentire raccontare le cose che già sa di noi, da noi. Ognuno di noi sa di essere amato dall’amata o dall’amato ma com’è bello sentirselo dire! Ogni giorno dovremmo trovare il tempo per raccontare a Dio le nostre giornate, le nostre speranze, le nostre paure. Ci accorgeremmo che non siamo soli e che raccontando a qualcuno le nostre emozioni, spesso otteniamo la grazia di comprenderne il senso. La preghiera non cambia la nostra vita, cambia noi. La preghiera cambia il nostro cuore.

I discepoli sono stanchi e pieni di gioia e cosa fa Gesù? Li rincuora, li ascolta, li obbliga al riposo: «Venite in disparte voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po‘». Li invita a riposarsi, a non lasciarsi prendere dall’attivismo, dall’onnipotenza. Il mondo andrà avanti anche senza di loro.

Gesù coglie che i suoi sono stanchi, smarriti, affaticati. Per Lui prima di tutto veniva la persona, non i risultati ottenuti e quando scende dalla barca, il suo sguardo si posa sulla fatica degli uomini, sulla loro povertà non sulle loro azioni. A lui interessa ciò che sei non ciò che fai. A Lui non stanno a cuore i nostri impegni, i nostri risultati: a Lui stiamo a cuore noi.
E’ un gesto d’amore di uno che vuole semplicemente che l’uomo sia felice. Sant’Ambrogio scrisse: «se vuoi fare bene tutte le tue cose, ogni tanto smetti di farle», cioè ogni tanto riposati. E’ un atto di umiltà, è ricordarci che non siamo noi a salvare il mondo e che la nostre energie sono limitate, la nostra vita è fragile.

Amici, facciamo le cose come se tutto dipendesse da noi (quindi con passione e impegno) ma facciamole come se tutto dipendesse da Dio (senza ansia, con fiducia).
Facciamo tutto ciò che sta in noi e poi lasciamo fare a Dio il suo mestiere.
Gesù li invita a stare in disparte… con Lui per poi ritornare alla folla.
E’ solo da Lui che possiamo imparare ad amare secondo la logica di Dio.
C’è sempre troppo da fare, troppo da lavorare, troppo da sistemare. Il rischio, di ieri e di oggi, è quello di disperdersi, di non avere più tempo per sé, tempo per pregare, per mangiare e per ricaricarsi.

Un modo intelligente per rendere al meglio nel proprio lavoro è smettere ogni tanto di farlo. Forse è anche questo il motivo che ha spinto l’uomo a ideare il riposo settimanale, le ferie. A volte siamo così carichi di cose da fare che non vediamo l’ora di arrivare a sera per andare a dormire. Gesù aveva coscienza dei suoi limiti e di quelli degli apostoli, sapeva che l’uomo ha bisogno di pause per ricaricarsi, ha bisogno di ricentrarsi pregando il Padre.
Perché Gesù aveva mandato i Dodici a predicare? Perché si rendeva conto che neppure lui poteva arrivare dappertutto, aveva bisogno di aiuto, di collaboratori.

Gesù quando era scarico, si proteggeva andando per conto suo.
Non si giustificava e non si sentiva in colpa: semplicemente prendeva e se ne andava.
E’ necessario per non esaurirsi. Dobbiamo imparare a rispettare i nostri limiti.
Per questo abbiamo bisogno ogni tanto di staccare la spina, riposarci, fermarci per gustare le cose belle che danno senso alla nostra vita (mia moglie, mio marito, i figli, gli amici…).

Recuperiamo un modo per restare umani nonostante le corse che la vita ci impone.
Ma ad un certo punto ecco un imprevisto: la folla che da giorni segue Gesù lo raggiunge, anzi giunge prima di lui su quella riva deserta del lago. Sceso dalla barca vide una grande folla e ne ebbe compassione. Sì, è gente incredula, che cerca Gesù con ambiguità, ma per Gesù merita compassione. Gesù si intenerisce e rivive la compassione di Mosè quando vede il suo popolo senza pastore. Non esiste la folla per Lui, per Dio siamo tutti figli unici! Si accorge che sono senza pastori, come a dire: ci sono i pastori, ma manca chi fa il pastore.
Non è che anche oggi, nella Chiesa, i pastori ci sono ma manca chi fa il pastore?
Non è che abbiamo tanti funzionari del sacro ma pochi con la passione del pastore?
l rischio è di avere nella Chiesa un gregge di pastori senza pecore.

Che bello vedere che Gesù cambia i suoi programmi, non quelli dei suoi amici. Sceglie di rinunciare al suo riposo non a quello degli apostoli. Aveva avuto misericordia degli apostoli ritornati stanchi e li aveva chiamati al riposo, e ora ha misericordia delle folle e interrompe il proprio riposo. Solo la misericordia lo guidava. Cosa offre alla folla? La sua compassione, prova dolore per il loro dolore. Prima di dare il pane Gesù dà la Parola, per saziare gli uomini e le donne che lo seguono. Lo sguardo di Gesù ero uno sguardo carico di tenerezza: amava prima con gli occhi e poi con i gesti. Guardava con amore e poi agiva. Sapeva che non è il dolore che paura all’uomo ma l’essere soli nel dolore, viverlo senza il conforto di un amico. Non priviamo il mondo della nostra compassione! «Ciò che possiamo fare è solo una goccia nell’oceano, ma è questa goccia che può dare significato a tutta la nostra vita» (Madre Teresa di Calcutta).
La bella notizia di questa Domenica? Quanto più siamo feriti dalla vita, tanto più Dio si commuove e ci avvicina per offrirci riposo, parlare al cuore e dare se stesso.

Fonte: il blog di Paolo de Martino