AUTORE: Paolo di Martino FONTE: Sito web SITO WEB CANALE YOUTUBE PAGINA FACEBOOK
Riprendiamo il tempo ordinario in compagnia di Marco, il primo ad aver scritto un vangelo.
Gesù amava parlare di cose complesse con una semplicità disarmante. Apriva il libro della vita e raccontava Dio con la semplicità di un germoglio di grano o con la piccolezza di un granello di senape, più piccolo dei semi.
Il Regno di Dio è come un uomo che getta il suo seme. Il protagonista in questo caso è l’uomo, non il seme. L’uomo deve fare la sua parte ma non può fare tutto.
Tutte le cose hanno bisogno di un tempo di maturazione: nove mesi per un bambino, l’inverno prima della primavera. Anche l’educazione dei figli ha bisogno di tempo.
Spesso sembra non accadere nulla, tant’è vero che, a volte, ci si scoraggia.
E’ un miracolo al quale siamo purtroppo abituati: alla sera magari vediamo un bocciolo, e al mattino ecco un fiore. Che noi dormiamo o vegliamo, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Questo è pacificante.
Che bello sapere che le cose di Dio fioriscono per una misteriosa forza interna. Dio matura in tutte le persone nonostante le nostre perplessità.
Gesù di Nazareth ci libera dall’ansia della prestazione. Amici, facciamo la nostra parte fino in fondo sapendo che non tutto dipende da noi. Inutile angustiarci. A noi spetta solo il compito di seminare. Viviamo con serenità la nostra vita di fede sapendo che non siamo padroni della vita degli altri.
Dio realizza sempre e comunque il suo regno nonostante tutto. Nonostante buona parte del seme cada in terreni che fanno ben poco sperare (è la parabola precedente).
Il seme è gettato a larghe mani, dappertutto, quasi buttato via, senza preoccuparsi dove cada. Eppure il seme cresce: come, nemmeno il contadino lo sa, e comunque porta frutto abbondante.
Una volta gettato il buon seme, possiamo solo fidarci e attendere.
Il contadino sa che tutto avviene senza di lui e che quanto accade sottoterra non dipende da lui ma dalla potenza che abita il seme.
L’agricoltore anche se non vede nulla, sa che in modo nascosto, sta germogliando la vita.
Amici, il Regno di Dio non è un prodotto dell’uomo, non è un risultato di nostri sforzi, ma è opera Sua e non segue le logiche di efficienza e di visibilità che spesso condizionano la nostra frenesia pastorale. Tutti coloro che si adoperano per il regno (dal Papa al catechista) che vivono con il dubbio magari che i loro sforzi saranno inutili, sono chiamati a rafforzare la speranza.
Il seme porterà frutto. Non ci sono dubbi.
Il regno di Dio è come un granello di senape. A noi non dice nulla ma immagino la sorpresa di coloro che stavano ascoltando. Il profeta Ezechiele, immaginava il regno di Dio come un cedro, il re degli alberi. Insomma, l’idea che i profeti e le persone avevano del regno di Dio era di qualcosa di grandioso, potente. E invece l’immagine scelta da Gesù è il granello di senape che, come sapevano i palestinesi di allora, cresce dappertutto. E’ un seme piccolissimo che s’insinua tra le fessure delle case, sopra i tetti, per le strade. Gesù sta dicendo innanzitutto che il regno di Dio può arrivare dove meno te lo aspetti. E poi è un arbusto che non attira l’attenzione. Se non lo conosci neppure te ne accorgi mentre cammini.
Il regno di Dio non è spettacolare, può anche non essere visto.
E’ ancora una volta pacificante sapere che tutto ciò che riguarda Dio all’inizio è piccolo ma se gli dai spazio, se lo lasci crescere, è capace di infestare il mondo! Se guardiamo ciò che siamo ci verrebbe da deprimerci ma se vediamo la potenza che ci abita, allora possiamo infestare il mondo di amore.
Occhio! Non è il granello di senape a salvare il mondo. Il mondo è già salvo, tranquilli.
Mentre altri seminano morte, noi contadini del Regno, seminiamo buon grano: semi di verità, pace, giustizia sapendo che Dio stesso è all’opera.
Gesù, quando parla del granello di senape sta anche parlando di sé. Dietro la sua apparente piccolezza, si nasconde una grandezza inaudita. A noi il compito di accoglierla, di saper leggere in quell’ apparente debolezza la forza di Colui che per amore è venuto per servire e non per essere servito.
Curioso: le cose più insignificanti agli occhi degli uomini possano diventare talmente grandi da offrire ad ogni uomo segni evidenti dell’amore di Dio. Dodici ignoranti hanno iniziato a evangelizzare il mondo; una piccola contadina (Bernadette ) di uno sperduto villaggio dei Pirenei (Lourdes) è diventata ambasciatrice dell’amore misericordioso di Maria; una minuta suora albanese (Madre Teresa) si è fatta piccola matita nelle mani di Dio per scrivere storie d’amore fra le strade di Calcutta. A Betlemme, un insignificante villaggio della Giudea, Dio ha scelto di far nascere suo Figlio.
Se avessimo anche solo la capacità di lasciarci stupire e meravigliare dai misteri che Dio attua ogni giorno nella vita….
Tutta la nostra vita si racchiude in un unico gesto: “gettare il seme”. Il resto non compete a noi, non dipende da noi. Noi vogliamo controllare tutto, e stiamo male perché non ci riusciamo, forse perché siamo convinti che alla fine tutto dipende sempre da noi. Ma non è così. Da noi non dipende tutto. Una parte della vita accade, viene al di là delle nostre capacità e delle nostre forze.
Allora, come quel contadino, continuiamo a gettare il seme con fiducia e fidiamoci.
Non bisogna avere paura di rischiare in una scelta. C’è qualcosa di più brutto di sbagliare, e cioè il non provarci nemmeno. Anche perché dove non è stato seminato nulla, non verrà fuori nessun grano. Da quello seminato potrebbe venir fuori anche erbaccia insieme al grano. Ma è meglio correre questo rischio, che non raccogliere nulla per paura.
Amici, il Regno di Dio è un Regno che non si impone con la logica della forza, ma con la logica della debolezza; non costruisce palazzi, ma si costruisce su una pietra scartata dai costruttori; un Regno dove non c’è vendetta ma perdono; non urla, ma agisce nel silenzio. È inspiegabile eppure Dio è così.
La bella notizia di questa Domenica? E’ Dio che opera. Stiamo tranquilli, se piantiamo il buon seme, certamente porterà frutto.
Fonte: il blog di Paolo de Martino