Paolo de Martino – Commento al Vangelo del 9 Luglio 2023

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E’ una delle più belle pagine del vangelo di Matteo. Gesù pensava di poter cambiare la religione del suo tempo, ma…
Il momento che Gesù vive non è facile. Dagli scribi è considerato un bestemmiatore (Mt 9,3) e meritevole della pena di morte. I farisei hanno iniziato una campagna denigratoria nei suoi confronti. Non possono negare ciò che compie (miracoli, guarigioni) e così lo accusano di stregoneria (scaccia demoni in nome di Beelzebul); attaccano inoltre la sua reputazione («è un mangione e beone»). Non è tutto. Le principali città della Galilea non sembrano minimamente sfiorate dal suo insegnamento. Insomma la delusione di Gesù è evidente.

Piccoli

Nei vangeli incontriamo Gesù che prega, quasi mai però conosciamo il contenuto della sua preghiera.
«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza». Innanzi tutto lo benedice. La preghiera è fondamentalmente benedizione, essere contenti di Dio e questo Dio è un Padre. La parola “padre”, in ebraico “Abbà”, è il centro di tutta la rivelazione cristiana. “Abbà” è il primo balbettare del bambino. Che cosa è venuto a portarci Gesù? Un rapporto diverso con Dio. Gesù è venuto a restituirci ciò che siamo, ovvero la dignità di figli.

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Gesù è scoraggiato e cosa fa? Innalza un inno alla vita e si lascia stupire da ciò che Dio fa. Gesù vede il male, ma sa vedere il bene e la meraviglia che c’è nel mondo. Amico lettore, tutto dipende dai tuoi occhi, da cosa cerchi perché troverai ciò che vuoi trovare. Non permettere che i fatti della vita induriscano il tuo cuore; tienilo vivo!

Il cristiano è un mistico (in greco significa: “Non ci sono parole”) in grado di poter vedere la forza e la bellezza della vita al di là di ciò che succede o di ciò che sembra. Lo stupore è questione di fede. Bisogna essere aperti all’imprevisto per incontrare Dio. Il cuore della fede non è un’idea, ma un’esperienza da accogliere e solo chi la vive, lo sa.
La chiamata di Dio non è mai frutto di logica. E’ frutto d’amore, è lo slancio di fronte a qualcosa che ti “ha preso l’anima”, chi incontra Dio non è mai più lo stesso.

Lo stupore è fare l’esperienza che c’è un di più che ci supera, è lasciarsi coinvolgere con il cuore. Il bambino vive di questo. Il bambino non sa che la mamma lo ama, lo sente. Un giorno chiesero a Einstein quale fosse la forza che lo aiutasse nel suo continuo studio. Rispose: «Lo stupore. La meraviglia della vita è l’unica forza che mi spinge nella mia vita e nel mio lavoro».

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Una tradizione araba dice che «finché ci sarà anche un solo uomo che si alzerà al mattino e guardando il sole loderà Dio, il mondo non finirà».

Gesù ha l’intima certezza che la sua “opera” non è stata vana, e perciò benedice il Padre. Non è che i sapienti non abbiano visto le opere del Messia, ma è sfuggita a essi la loro reale importanza, il loro significato più profondo.
Al centro dell’attenzione di Gesù ci sono i piccoli (“nepios”, l’infante, quello che non parla). Abbà, papà, è l’unica parola che conosce e attraverso questa parola ottiene tutto. Questa è la novità del vangelo.

Che bello vedere che il Dio di Gesù di Nazareth non va alla ricerca dei primi della classe. Ai piccoli consegna il privilegio dell’intimità. Attenzione, però. I piccoli non sono i bambini, né semplicemente gli ultimi, i poveri.
Non confondiamo i piccoli con gli ingenui. La piccolezza del vangelo non è una forma di romanticismo, ma l’atteggiamento attraverso cui Dio parla.

Piccoli sono coloro che riconoscono di avere bisogno di Lui, che fanno esperienza della loro fragilità e sperimentano il bisogno di fondare la propria vita sulla sua Parola. Vivono disarmati e leggeri perché si fidano della Sua promessa e sanno che c’è un Padre che si prende cura di loro. Sono coloro che sanno di non bastare a se stessi, sanno che non possono avere tutto e tutti sotto controllo, sono coscienti della propria debolezza. Insomma, sono coloro che si lasciano amare, che si mettono a nudo davanti a Dio e agli altri, che non vogliono possedere Dio, ma si abbandonano fiduciosamente a ciò che Egli fa nella loro vita e così riesce a parlare con loro in modo chiaro. La verità non è sapere tante cose, ma sapere il “sapore” delle cose, intuirne il senso. I piccoli godono della verità, i dotti invece vogliono possederla. Ecco perché le cose di Dio si capiscono amando.

Ristoro

Gesù si rivolge a chi è stanco a causa dei pesi inutili imposti loro dai sapienti.
«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro». Gesù non invita solo chi se lo merita, invita tutti. Non dovremmo mai dimenticare che nessuno è mai escluso dalla proposta che Gesù fa all’uomo. Affaticati e oppressi erano i poveri che non riuscivano a sostenere il culto oppressivo della legge ebraica con tutte le sue prescrizioni. A loro vuole dare sollievo. Riposo (“anapausis”) è un termine tecnico, è il riposo spirituale che si può ottenere grazie all’acquisizione della sapienza.

Come trovare ristoro? Imparando dal Suo cuore, dal suo modo di amare: «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore». A vivere s’impara, imparando il cuore di Dio. Amico lettore, impara dal suo modo di amare: umile, mite. Il cristiano è un discepolo del cuore. Occhio a diventare funzionari delle regole e analfabeti del cuore. Dio non si riduce a un sapere, non è una regola, è il cuore della vita.

Il giogo è un attrezzo che permette all’animale di canalizzare le sue energie affinché raggiunga un obiettivo, come ad esempio arare la terra. Nel linguaggio biblico «giogo» indica la legge di Mosè che Gesù ha riassunto nel comandamento dell’amore. Occorre prestare attenzione: anche ebrei e musulmani amano Dio con tutto il cuore. Anche scribi e farisei amano il prossimo come se stessi. Amico lettore, tu puoi amare Dio come figlio, puoi amare l’altro come Gesù lo ama.
Gesù si definisce «mite e umile di cuore».

Umile viene dal latino “humus”, terra, da cui la parola “uomo”. Essere umile non significa dire sempre sì, piegare il capo. Chi è umile confida, si lascia condurre, non fa resistenza. Essere umile è avere il coraggio di vedersi per quello che si è senza mentirsi. Mite non è chi non si arrabbia mai. Dal latino “mitis” (tenero, maturo, dolce) indica un punto di equilibrio, l’istante di perfezione del frutto, dolce, né acerbo né molle. Il termine lascia intuire che miti non si nasce, ma si diventa. Il mite sa usare la forza senza farla diventare violenza, tenendola in un atteggiamento di dolcezza. E’ chi si è sempre rialzato e in questo suo cadere e rialzarsi ora conosce la vita. Non si lascia prendere dai facili entusiasmi e non cade in depressione di fronte alle difficoltà perché nel suo vivere ha trovato una fiducia più profonda.
La bella notizia di questa domenica? Gesù non viene con obblighi e divieti, viene portando un calice di pace; non porta precetti nuovi, ma una promessa.

Fonte: il blog di Paolo de Martino | CANALE YOUTUBE | PAGINA FACEBOOK