Paolo de Martino – Commento al Vangelo del 30 Aprile 2023

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La visione centrale di questa domenica è il Buon Pastore che dà la propria vita per le sue pecore. Letteralmente è il pastore bello.
Il termine kalòs, bello, viene usato più di cento volte nel Nuovo Testamento.
La bellezza è far vedere l’altro, far emergere l’altro, non esaurire una realtà in sé stessa ma attraverso la relazione d’amore far emergere l’altro.

Gesù, per spiegare le grandi verità di Dio, usa le semplici immagini del suo tempo.
L’immagine del pastore a noi dice poco, perché noi non viviamo in una civiltà di pastorizia e di agricoltura.
Tutti noi abbiamo un pastore, qualcuno che ci guida: scegliamocelo bene.
Subito, credo, ci viene da rispondere: “Io non ho pastori, me la cavo da solo, sono libero e adulto…”. Andiamo! Pastore può essere la mia carriera professionale, il giudizio degli altri, i miei appetiti, i miei sentimenti… se guardiamo bene scopriamo che dietro ogni nostra azione esiste qualcosa o qualcuno che ci ispira.

Spesso, troppo spesso, siamo condotti dai bisogni suscitati dal mercato: cerco di apparire più piacevole, di essere più alla moda, di farmi accettare. È normale, in parte giusto. Ma ai discepoli, a coloro che sulla loro strada hanno incontrato il Risorto, a coloro che hanno superato la tristezza, il Signore chiede di non seguire i falsi profeti, di saper distinguere le voci suadenti di chi la felicità la vende, di chi ti chiede adesione ad un sogno improbabile da chi la vita vera – in abbondanza – te la dona.
Viviamo in un mondo in cui per essere felici basta poco, e sembra che tutti ne conoscano la via: bellezza, fisicità, intelligenza, salute, lavoro, soldi tanti soldi. Pensate che c’è gente che addirittura ci crede! Gente che passa la vita a dire che la ragione ultima della propria infelicità è il fatto di non essere sufficientemente magro, o alto, o di guadagnare poco…

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Ne siete sicuri? Gesù pretende di essere l’unico in grado di colmare il nostro cuore!
A chi sto veramente a cuore?
Per chi sono veramente prezioso? Istintivamente cerchiamo qualcuno che sia disposto ad accoglierci, a valorizzarci, ad amarci al di là e al di dentro delle nostre inevitabili povertà.
Ecco la novità sconcertante. L’inattesa rivelazione: a Dio sto a cuore.
l buon pastore chiama le sue pecore, ciascuna per nome.

Non l’anonimato del gregge, ma nella sua bocca il mio nome proprio, il nome dell’affetto, dell’unicità, dell’intimità, pronunciato come nessun altro sa fare.
Chi di noi ha più di un figlio lo sa’…non ama i suoi figli indistintamente. Ma uno per uno.
L’immagine centrale del vangelo di oggi è la porta: “Io sono la porta! “(10,7.9).
La porta è un simbolo del passaggio da una sfera, da un luogo, da una situazione ad un’altra. Gesù è la porta di entrata verso se stessi. Gesù ti porta verso di te.

Ma Gesù ti porta anche fuori di te (“entrerà ed uscirà” 10,9).
Chi è in contatto con sé…. è in contatto anche con gli altri. Chi va verso di sé… va anche verso gli altri.
Incontrare Gesù è incontrarsi.
Ci sono delle porte della nostra vita chiuse a chiave, serrate con tutti i lucchetti possibili e che mai vorremmo aprire.
Ma viene un momento in cui è necessario aprire quelle porte, anche se ci fa paura, anche se siamo terrorizzati da ciò che incontreremo, anche se faremmo di tutto pur di non aprirle.

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Ci sono dei passaggi che bisogna fare costi quel che costi: ne va della nostra vita.
La vita ci mette di fronte a certe porte: se vuoi andare avanti “devi” passare per di qui.
Io vorrei evitarla, entrare da un’altra parte, trovare una soluzione alternativa, ma non si può. Se vuoi progredire devi passare di qui. Altrimenti ti fermi.

Certi passaggi sono le “forche caudine”: non c’è alternativa bisogna affrontarli.
Certe porte ci fanno una paura enorme: eppure dobbiamo incontrare proprio ciò che ci fa paura. Non c’è alternativa, dobbiamo passare di lì, entrare in quella stanza che magari da anni abbiamo tenuto chiuso a chiave, e fidarci che proprio lì dove non crederemmo, troveremo la vita piena e abbondante.

Dio è porta. Cioè: se incontro Dio, Dio mi manda fuori, mi fa diverso, mi trasforma, mi cambia, e mi manda là dove neppure immagino; mi apre porte sconosciute; apre tutte le stanze della mia anima, e orizzonti e incontri neppure immaginati prima.
“Ho altre pecore che non provengono da questo recinto” (v.16).
Dio non fa preferenza di persone (cfr. Rm 2, 11).

L’amore non può essere rinchiuso in un recinto. Gli amati non s’identificano con una parte.
Dinanzi a Dio non ci sono migliori o peggiori, preferiti o reietti.
C’è un particolare di questo testo che attira sempre la mia attenzione.
Il buon pastore ripete per due volte che conduce le pecore “fuori” dal recinto. Strano…
Istintivamente mi verrebbe da pensare che il pastore voglia soprattutto chiudere al sicuro le sue pecore dentro un recinto ben protetto. Invece no. Gesù ci conduce “fuori”.

Fuori dalla chiusura del peccato….Fuori dai pettegolezzi e dalle piccolezze dei nostri giudizi.
Fuori dai nostri egoismi e dalle nostre presunzioni.
Fuori dalle secche di una religiosità fatta di pratiche sterili.
Gesù ci conduce “fuori” e si mette davanti a noi.
Questo ci fa capire che l’esperienza cristiana autentica non si fonda su un intruppamento dentro i recinti dell’osservanza, ma su un cammino serio e sereno sui passi di Gesù.

Il cristianesimo è troppo spesso ridotto ad un ricettario di comportamenti morali e la stragrande maggioranza dei cristiani vive la sua fede come una «cosa da fare», come un adempimento di precetti. La Parola di oggi dice una cosa ben diversa (per fortuna!): il cristiano è chi segue Gesù, è chi sceglie Lui come suo unico pastore!
La fede allora non è semplicemente fare o non fare qualcosa, rispettare una regola in più o in meno, ma è incontrare Qualcuno che ti ribalta la vita e te la riempie di gioia!

E poi la conclusione: Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza .
Non solo la vita necessaria, la vita indispensabile, quel minimo senza il quale la vita non è vita, ma la vita esuberante, magnifica, eccessiva.
Così è nella Bibbia: manna non per un giorno ma per quarant’anni nel deserto, pane per cinquemila persone, carezza per i bambini, pelle di primavera per dieci lebbrosi, pietra roto-lata via per Lazzaro, cento fratelli per chi ha lasciato la casa, perdono per settanta volte sette, vaso di nardo per 300 denari sui piedi di Gesù.
In una piccola parola è sintetizzato ciò che oppone Gesù, il pastore vero, a tutti gli altri, ciò che rende incompatibili il pastore e il ladro. La parola immensa e breve è «vita»!!!!!
«Non ci interessa un divino che non faccia anche fiorire l’umano. Un Dio cui non corrisponda il rigoglio dell’umano non merita che ad esso ci dedichiamo
» (Bonhoeffer).

Allora urge cambiare il riferimento di fondo della nostra fede: non è il peccato dell’uomo il movente della storia di Dio con noi, ma l’offerta di più vita.

La bella notizia di questa domenica? Anche io sono chiamato a diventare pastore di vita per il mio piccolo, gregge (la mia famiglia, la mia comunità, gli amici) che Lui ha affidato alle mie cure. Vocazione di Cristo e dell’uomo è di essere nella vita datori di vita.

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