Paolo de Martino – Commento al Vangelo del 27 Marzo 2022

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Dio è fatto così

E’ stata definita “il cuore del vangelo” o “il vangelo nel vangelo”. L’obiettivo di questa parabola? Far cambiare idea su Dio. Gesù sarà messo a morte proprio perché ha presentato un volto di Dio diverso da quello sempre creduto. Vi è presente anche una preoccupazione pastorale: l’accoglienza dei peccatori.

Figli
Un padre aveva due figli. Se ne va, un giorno, il più giovane, ma pretende l’eredità, come se il padre fosse già morto per lui. Non doveva avere una grande opinione del padre. E così, il padre della parabola, divide tra i due figli l’eredità (in greco c’è “la sua vita”), e lascia partire il figlio minore.
Il fratello maggiore continua la sua vita tutta casa e lavoro. Anche lui non doveva avere una bella opinione del padre: un padre padrone, al quale si deve ubbidire, ma che non si può amare. Il maggiore si sottomette per dovere, rinuncia alla sua vita per “amore” del padre. La diversità tra i due è solo sul modo con il quale si rapportano con il padre.
I due fratelli non s’incontreranno mai. Il maggiore non lo chiamerà mai “fratello” ma si rivolgerà al padre dicendogli: «Questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute». Non sentite la rabbia? E poi chi glielo ha detto che ha sperperato l’eredità con le prostitute?
E’ la parabola del non detto, dove all’inizio nessuno parla. Per metà parabola nessuno dice niente, nessuno parla a qualcun altro (eccetto la frase iniziale del minore). La parabola cambia verso quando i personaggi iniziano a parlarsi.

Minore
Entrambi hanno una pessima idea del padre, come mediamente noi abbiamo una pessima idea di Dio.
Il primo figlio pensa che la vita sia puro divertimento ma comprende a sue spese che non è così. Tocca davvero il fondo: si unisce a un pagano e fa uno dei mestieri più disprezzati in Israele, il guardiano di porci, bestie immonde. Allora «ritornò in sé», (prima era “fuori di sé”, viveva di realtà esterne) e decide di tornare. Un proverbio rabbinico dice: «Quando gli Israeliti sono costretti a mangiare carrube, si convertono». Si è pentito? No, ritorna semplicemente perché gli conviene e si prepara il discorsino per essere accolto. Non ha capito che il padre (cioè Dio) lascia andare il figlio (che gli augura la morte) anche se sa che si farà male. Il figlio minore non sa che a casa non lo aspetterà una punizione, ma farà l’esperienza imprevedibile del perdono gratuito.

Maggiore
L’altro figlio si offende per la festa in onore di suo fratello e come dargli torto. Il padre non è giusto nei suoi confronti. Lavora per lui da sempre senza avere mai nulla in cambio. Il figlio maggiore (che siamo noi) pensa che un giorno finalmente ci sarà il premio per tutto il lavoro che sta facendo. Insomma, Dio si ricorderà un giorno di tutte le Messe e le catechesi alle quali abbiamo partecipato.
Se ne sta dunque fuori, ed è il padre a uscire ancora una volta, andando incontro anche a lui.
Lo prega di entrare per partecipare alla gioia di suo fratello che ora è un uomo nuovo. Inutile: com’è possibile festeggiare suo fratello? Quando mai è stato festeggiato lui, rimasto fedelmente a casa?
A questo punto Luca si ferma, la parabola non ha un finale. Il primo figlio ha cambiato idea? Il secondo è entrato a far festa? Non lo sappiamo. C’è speranza per chi ha sbagliato, ma anche per chi ha tentato di stare alle regole e si è accorto che non bastava per essere felici. A te la risposta amico lettore, Dio ti considera adulto, sta a te decidere se entrare o no, se andare o no.

Padre
E adesso guardiamo al padre e a quei cinque verbi da gustare al rallentatore.
«Lo vide»: il figlio ha ancora la testa bassa per la vergogna ma non importa, il padre già lo vede. Gli occhi di Dio cercano, piangono.
«Ebbe compassione»: Dio accarezza, consola, nutre, incoraggia.
«Gli corse incontro»: l’amore ha fretta di abbracciare l’amato. Il padre non bada alla formalità, e corre perché non vede l’ora di accorciare la distanza che lo separa da suo figlio.
«Gli si gettò al collo»: non si appoggia, si getta, sa che l’uomo ha bisogno di coccole, di qualcuno che lo abbracci, che lo stringa e gli dica “ti voglio bene”.
«Lo baciò»: abbracciare è già molto ma baciare è di più. Dio punta in alto anche nelle affettuosità. Dio bacia l’uomo perché il bacio esprime tutto l’amore possibile, «è la parte più importante dell’amore, perché nel bacio c’è il sospiro divino» (A. Merini).
Il figlio comincia a pronunciare la confessione che aveva preparato, ma non riesce a portarla a termine. Non c’è tempo per indignarsi, perché sprecare minuti a rimproverarlo? Il padre non si preoccupa se il figlio si sia pentito, non lo lascia parlare, lo abbraccia stretto, gli impedisce gesti penitenziali ed espiatori, e così gli dona il suo perdono gratuito. Proprio come aveva profetizzato Osea: «Dio continua ad amare il suo popolo mentre questi si prostituisce, e, appena può, lo riabbraccia e lo riprende» (Os 1,2; 11,8-9).

Festa
Ecco chi è Dio, un padre che ama la libertà del figlio, la provoca, la attende. Non lo lascia arrivare ma gli corre incontro, perché ha fretta di abbracciarlo. Per Dio smarrire anche un solo figlio è una perdita infinita, non ha figli da perdere, Dio. E’ un padre che non rinfaccia, ma abbraccia; non sa che farsene delle nostre scuse, perché il suo sguardo non vede il peccato del figlio, guarda oltre. Nessun rimprovero, nessun rimpianto, nessun rimorso: è tempo di festa! Bisogna reintegrarlo in tutta la sua dignità: «Mettetegli l’anello al dito!». E infine esce a pregare il figlio maggiore, che ha un cuore di servo e non di figlio, e tenta di spiegare e farsi capire, e alla fine non si sa se ci sia riuscito. Dio non è giusto, è di più: è esclusivamente amore, è misericordia.
C’è da impallidire davanti a un Dio così. Arrivati a questo punto domandati amico lettore: è questo il Dio in cui credi?
La bella notizia di questa domenica? Dio è un padre che si è già messo sulle nostre tracce, scruta l’orizzonte, spera di vederci sui passi del ritorno e non vede l’ora di correrci incontro, di abbracciarci e di baciarci.

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