Paolo de Martino – Commento al Vangelo del 27 Febbraio 2022

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Occhio alle guide

Nell’ultima parte del discorso della pianura, Luca ha raccolto diverse sentenze che definisce “parabole” e che riguardano soprattutto la vita dei credenti nelle comunità. Queste brevi sentenze sono espresse con delle coppie: due ciechi, discepolo e maestro, due fratelli, due alberi, due uomini, due case. Era una tecnica retorica per facilitare l’imprimersi delle parole nella mente degli ascoltatori.

Ciechi
La parabola del cieco che guida un altro cieco è la più breve delle parabole, occupa una sola riga.
Un’altra pagina provocante. Tutti seguiamo delle guide, più o meno consciamente. Tutti siamo vittime degli influencer siano essi politici, scrittori, cantanti, preti…ma «può forse un cieco guidare un altro cieco?». L’ammonimento è evidente, ma a chi è indirizzato? A ogni discepolo, tentato di non riconoscere le proprie incapacità, eppure abitato dalla pretesa di voler insegnare agli altri. Gesù si propone come unica guida, l’unico che sa dove condurci. Il problema, è quando pensiamo di diventare maestri degli altri.

Gesù non sta parlando solo dei “ciechi” di allora (farisei, scribi, sadducei ecc.), questo lo farà Matteo. Luca vuole scuotere la sua comunità, e quindi noi. Nella comunità ci dovevano essere dei problemi interni: qualcuno si riteneva superiore agli altri ed esprimeva giudizi come se la fede fosse qualcosa “per gli altri”, e non per se stessi in primo luogo.

E’ il rischio che corriamo (noi, non gli altri) quando siamo investiti di un ruolo di responsabilità, di un ministero. Il rischio è diventare giudici degli altri, insomma il problema è quando ci sostituiamo al Maestro e facciamo passare nostre convinzioni come fossero sue parole, pensando, in fondo, di possedere la verità. Voler guidare gli altri può sembrare un gesto di amore, ma quando si è ciechi e si pretende di essere guide, l’ amore può condurre le persone nella buca.

Ipocrisia
Il Maestro, con una buona dose di humor, parla dell’ipocrisia. Nella Grecia classica, l’ipocrita era l’attore di teatro, il quale saliva sul palcoscenico per recitare una parte. Contro gli ipocriti (che alla fine si rivelano per quello che sono), viene spontaneo dire: “Senti chi parla. Da che pulpito viene la predica!”. Lo hai notato amico lettore? E’ un’espressione che allude agli ambienti clericali, dove, spesso “si predica bene, ma si razzola male“. I proverbi ci ricordano che l’ambiente ecclesiastico non gode di ottima fama. L’ipocrita pretende di possedere capacità e virtù che ha solo in apparenza. Diceva Oscar Wilde: «Gli uomini sono sempre sinceri. Cambiano sincerità, ecco tutto».
Gesù è chiaro: non guardare alla pagliuzza nell’occhio dell’altro, tu che hai una trave nel tuo.
Questa immagine paradossale ricorda una favola antica. Esopo racconta che ogni uomo, entrando nel mondo, si trova due bisacce appese al collo: davanti, quella piena dei vizi altrui; dietro, quella dei vizi propri; ovviamente vede e stigmatizza quelli degli altri, e non vede invece i propri.

Immagino che siamo già pronti a giustificarci volgendo lo sguardo al peggio che c’è nel mondo: non uccido, non rubo, insomma sono certamente migliore di altri. Vado tutte le domeniche in chiesa, sono prete, diacono, non sarò certo peggiore degli altri. Eppure Gesù invita a leggere la vita puntando in alto, guardando al capolavoro che sono agli occhi di Dio.

Quanta fatica facciamo a riconoscere i nostri errori. Ciò che vediamo negli altri come “trave”, lo viviamo in noi come pagliuzza; ciò che condanniamo negli altri, lo perdoniamo a noi stessi. Benevoli con noi stessi, spietati con gli altri. Sappiamo che la critica gratuita corrode profondamente il tessuto di una comunità, di un gruppo, una famiglia, una parrocchia.

C’è però una tentazione da evitare: dire tutto, sempre e comunque, in nome della verità. Oggi sembra che la virtù della discrezione sia merce rara ma essere discreti non significa essere reticenti.

Giudizi
Lo so cosa stai pensando, amico lettore: allora devo evitare di giudicare qualsiasi cosa? Con il rischio di non dare nessun valore a nulla? No, Gesù ci offre un criterio: giudichiamo tutto e tutti con gli occhi di Dio. Il nostro agire è la conseguenza dell’incontro che abbiamo avuto con Lui. Non si tratta di non giudicare le situazioni ma di vederle con lo sguardo del Padre. Sincerità e ipocrisia sono gli argini dentro i quali scorrono le nostre relazioni. Una religiosità, che non è impregnata di misericordia, è semplice ipocrisia.

Frutti
Luca ricorda che dai frutti si riconoscono gli alberi. Frutto buono, albero buono: è così semplice. L’albero è simbolo della vita, perché prende ciò che non è vivo (la terra, l’acqua, l’aria e la luce) e li trasforma in vita. Ma è simbolo anche dell’uomo perché ha radici sotto terra, ma si erge in modo eretto sopra la terra, proteso verso il cielo. Gesù ci sta dicendo che ognuno agisce secondo la propria natura: un albero di mele produrrà necessariamente mele, non si deve sforzare. Come riesco a capire se vivo il mio essere “figlio di Dio”? Dai frutti. Se i miei frutti sono amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, mitezza, dominio di sé… allora vuol dire che l’albero della mia vita ha radici di misericordia. Non c’è da sforzarsi nel fare il bene perché se siamo buoni (cioè se ci facciamo raggiungere dal Suo amore) facciamo necessariamente il bene.

Cuore
Dove si trova il principio del bene e del male? Nel cuore. Tutte le cose sono buone. Non c’è una cosa cattiva al mondo perché ha fatto tutto Dio. È l’uso che noi ne facciamo che è buono o cattivo. «Un uomo vale quanto vale il suo cuore» (Gandhi). Il cuore buono produce il bene. Il cuore cattivo (letteralmente “putrido, marcio”) produce morte. Ma ecco la bella notizia: proprio nel male comprendo il bene che Dio mi vuole. Il male può diventare il luogo della misericordia.

Nel finale una sorpresa. Il primo frutto del cuore è la parola: «La sua bocca, infatti, esprime ciò che dal cuore sovrabbonda». Le azioni principali dell’uomo non sono opere ma parole perché tutti i nostri rapporti sono retti dalle parole. Gesù chiederà di continuare quel ministero della Parola che aveva formato la sua principale attività. Lo so cosa stai pensando amico lettore: è possibile cambiare il mondo con la parola? Per noi ammalati di efficientismo, sembra roba da ingenui, eppure non c’è nulla di più forte della parola perché si rivolge all’intelligenza e alla libertà dell’uomo. A noi, per quanto sgangherati, il Signore affida il vangelo, come tesoro custodito in fragili vasi di creta. Quando annunciamo il vangelo, diciamo parole infinitamente grandi perché hanno sapore d’eternità.
Un’ultima domanda amico lettore: e le tue scelte, il tuo lavoro, il servizio in parrocchia, che frutti danno?
La bella notizia di questo brano? Abbiamo tutti un tesoro buono custodito in vasi d’argilla.

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