Paolo de Martino – Commento al Vangelo del 22 Maggio 2022

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Dio abita l’uomo

Siamo nell’ultima cena dopo la lavanda dei piedi, dopo che Giuda se n’è andato per compiere il suo tradimento. Gesù fa un lungo discorso e prepara i suoi amici alla sua partenza. L’Amico Gesù, colui con il quale condividevano le giornate, le gioie e gli entusiasmi, le incomprensioni del mondo e l’odio, l’amore e i miracoli, le fatiche e le preghiere, se ne sta per andare.

Gesù con queste parole aiuta i suoi amici a passare dal cenacolo, dal santuario esteriore, al cenacolo e al santuario interno. Lì, in quel cenacolo, non lo troveranno più. Se lo vorranno trovare dovranno cercare in un altro cenacolo: nel proprio cuore, nella propria anima.
Gesù fisicamente non ci sarà più: questo causa turbamento, angoscia, terrore: “Che faremo senza di lui? Come potrà andare avanti la vita senza la nostra Vita? Chi ci aiuterà?”. Sono domande inquietanti che si pongono gli apostoli dal profondo della tempesta che si agita nel loro animo.

In fondo in fondo gli apostoli nutrivano l’illusione che Gesù avrebbe instaurato il regno dei cieli qui sulla terra. E invece no! La terra ha iniziato a crollargli sotto i piedi e tutto è crollato. “Ma cosa rimane?”. Sembrava tutto finito.
E’ ciò che sperimentarono gli apostoli e i primi cristiani. Anche loro persero la persona più cara, quella che più amavano. Sembrava veramente una tragedia senza fine. Avevano perso la loro Vita.

Ma poi successe l’incredibile: anche se fuori non c’era più, anche se fisicamente non lo toccavano più, adesso ce l’avevano dentro; adesso era un fuoco che li riscaldava ogni giorno; adesso era una luce che brillava splendente dentro di loro; adesso era una passione che riscaldava il loro cuore. Insomma: adesso era più vivo di prima. Adesso lo sentivano più di prima.
Questa esperienza di avere il Signore vivo dentro di loro la chiamarono lo Spirito, l’Amore, il Risorto. Tutto può vivere e rimanere dentro di te anche se non c’è più fuori. Tutto può esistere anche se fuori se ne è andato o è morto. Dal punto di vista dell’anima, allora, non si perde mai nulla e non si muore mai.

Gesù non ci chiama tanto a venerarlo, a pregarlo, ad adorarlo. Gesù ci chiama ad essere noi stessi degli altri Gesù.
Noi dobbiamo prendere sul serio il fatto che Dio ci abita, che lo Spirito è dentro di noi.
Sentirsi Dio dentro è farsi carico di una responsabilità che pochi sono disposti ad accettare. La gente che chiede troppe risposte agli altri è perché non vuole prendersi la responsabilità e il carico di vivere la propria vita e la propria fede in prima persona.
La chiesa deve insegnare che il primo valore è la coscienza: solo a lei dobbiamo rendere conto. Lo Spirito ci ricorda una verità enorme: Dio è dentro di te. Tu lo devi conoscere, tu lo devi cercare, tu devi darti le tue risposte e ti devi prendere le tue responsabilità.
Il vangelo dice: “Chi mi ama osserva la mie parole; chi non mi ama non osserva le mie parole“.
Tereo “osservare”, vuol dire custodire, osservare, guardare, aver cura, stare in guardia, conservare. Osservare vuol dire non perdere mai di vista.

Non si parla di osservanza nel senso di fare giusto o sbagliato. Bisogna proteggere ciò che è prezioso. Proteggi i tuoi tesori o ti verranno rubati. Le parole di Gesù avevano riscaldato il cuore e l’anima degli apostoli; quelle parole li avevano fatti vivere. Per questo, se lo amano, le osserveranno, le custodiranno come tesori preziosi e unici.
Poi Gesù dice: “Io me ne vado ma vi lascio il Consolatore, lo Spirito Santo“.

Parakaleo (da cui lo Spirito Paraclito) significa “consolare, dire una buona parola”. Il dolore degli apostoli è grande, ma Gesù dice: “Tranquilli, amici miei, perché sentirete dopo la mia morte una presenza dentro di voi che vi sosterrà e che vi darà forza. Voi adesso soffrite ma la vostra sofferenza sarà cambiata in una gioia indicibile”.

Con-solare deriva da cum-solus, stare con chi è solo. A volte non c’è niente da dire. A volte non c’è niente da fare. A volte si tratta solo di esserci. Il dolore, la fatica, l’angoscia, le separazioni, fanno parte della vita. Non si può toglierle.
Consolare non è minimizzare, non è far finta di niente. Consolare non è dire qualcosa, è esserci, stare.
Nessuno di noi è solo. C’è sempre una parte di noi che ci può consolare, che ci può stare vicino, che ci può dare una mano, che ci sarà per noi qualunque cosa capiterà o dovremo vivere.

Il vangelo di oggi ci ributta dentro di noi. La tua forza è dentro: lì c’è lo Spirito, il Dio in te.
La forza di un albero non sta in quello che si vede, nelle foglie, nei rami o nel tronco. La sua forza sta nelle sue radici, in ciò che non si vede, in ciò che ha dentro. Nessun albero è più alto delle sue radici. La forza di un uomo è in ciò che ha dentro.
Gesù, come sempre, è molto chiaro: non basta dirsi cristiani, non basta fare delle pratiche religiose, ritagliarsi qualche minuto di preghiera al giorno o farci mettere una buona parola dalla zia suora. Gesù ci chiede di essere amato. Lui ci prende sul serio, vuole discepoli innamorati, liberi, maturi!

Gesù vuole essere amato, niente di meno. E’ su questo che si misura la statura umana e spirituale del discepolo.
L’amore è sempre una faccenda concreta. Amare a parole non solo conta poco ma risulta anche offensivo. L’amore è sempre una questione di fatti e non di apparenze.
Ok, tutto bello. Ma come faccio a sapere se davvero lo amo o se “me la suono e me la canto”? Quale criterio può accompagnarmi per misurare la temperatura del mio amore per Lui?

E’ Gesù stesso che ce lo dice: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola“.
Accogliere e osservare diventano così due verbi indivisibili. Chi accoglie e non osserva è simile a uno che s’innamora di una donna ma poi non fa nulla per conquistarla, così quell’amore si trasforma in un dolore incandescente che gli brucia dentro. La fede funziona alla stessa maniera: non si può rimanere a guardare alla finestra quello che Dio fa, dobbiamo con la nostra libertà cercare di aggrapparci a Lui mettendo in atto un effetto domino dell’amore che Gesù descrive così: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. L’amore diventa così una “casa”, e non una casa qualunque, ma una “casa abitata”. Quando ti senti amato ti senti a casa, la persona che ti ama diventa la tua vera casa. Il suo abbraccio è meglio di un castello. La sua presenza vale più di un giardino con piscina. I suoi occhi meglio di un panorama mozzafiato.

Lui conosce come nessun altro il nostro cuore, sa che abbiamo bisogno di Parole che non ci marciscano addosso, che ci nutrano, che illuminino i passi più bui della nostra vita e che facciano risuonare a lungo le ore più bella della nostra storia.
La Parola di Gesù è un invito, sta a me raccoglierlo. Il Rabbì di Nazareth non si è mai imposto, anzi, ha aperto possibilità, ha offerto un senso, ha dischiuso un cammino, ha acceso una luce, ha indicato una possibile direzione.
La bella notizia di questa domenica? Dio ama la vicinanza, abbrevia instancabilmente le distanze. Mi chiede di essere un frammento di cosmo ospitale. Dio non si merita, si ospita.

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