Paolo de Martino – Commento al Vangelo del 2 Ottobre 2022

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Il servizio prima dei risultati.

Durante il viaggio verso Gerusalemme, gli apostoli chiedono a Gesù: «Accresci in noi la fede!». Ogni evangelista ha applicato questa richiesta a una situazione diversa. Tre evangelisti, tre applicazioni diverse dello stesso detto. I vangeli, lo ricordiamo, non sono la cronaca della vita di Gesù ma teologia (ecco perché il vangelo andrebbe gustato con calma, studiato e approfondito).

Granello

La richiesta degli apostoli potrebbe essere ambigua, e proprio per questo Gesù la purifica con l’esempio del granello di senape. Una fede così piccola potrebbe sradicare un gelso. Ciò che conta non è la quantità, ma la qualità. Il contrario della fede è il pensiero granitico, quando cioè abbiamo stabilito un’idea e non vogliamo cambiarla.

Il gelso era reputato difficilmente sradicabile (capace di rimanere piantato per 600 anni), per il fatto di avere radici che penetrano profondamente nella terra. Sono io quel gelso del brano quando sono fermo sulle mie regole indiscutibili, sui miei dogmi. Modello di fede invece è Maria. Pensateci: era impossibile da accettare quello che Dio le proponeva ma ebbe fede. Luca sta dicendo: fidatevi di Dio e nulla sarà impossibile. La fede è particolarmente richiesta ai responsabili delle comunità, ai quali Luca, in modo speciale, rivolge una parabola.

Rassegnazione

«La fede nella possibilità che l’uomo ha di liberarsi del suo male è una qualità straordinaria. La fede nell’uomo è la fede nell’impossibile, è la fede, per esempio per chi lotta perché il mondo sia fatto da uomini eguali fra loro e senza violenza» (E. Balducci).

In molti uomini religiosi c’è la convinzione che da soli possiamo fare poco, che senza l’aiuto di Dio possiamo fare quasi nulla. Luca ricorda che solo «quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato» potrete dire «siamo servi inutili». Per chi ha fede, c’è tutto da fare, tutto resta sempre da fare perché Dio ha fiducia nell’uomo. E’ questa la fede che siamo chiamati a mettere in campo: fiducia nella nostra capacità di fare il bene, di amare, di spostare le montagne dell’ingiustizia, della violenza. Che strano: aspettiamo i miracoli dal Signore dimenticandoci che li compiva quando vedeva la fede. Noi, invece, aspettiamo i miracoli per aver fede.

Inutili

Qual è la misura della fede? Essere “servo inutile”. Attenzione: inutili siamo noi non il servizio.

La forza è nella Parola, nel seme. Il predicatore, il seminatore è solo uno strumento.
“In-utile”, in origine significa “senza un utile”, “senza pretese”. Il nostro servizio è inutile nel senso di essere senza pretese. Amico lettore, il tuo servizio ha bisogno di gratificazioni, successi, applausi? Se è così, sei ancora alla ricerca di una ricompensa. E sai perché dobbiamo servire senza attenderci nulla? Perché Dio è il grande servo e servire ci rende somigliante a Lui.

Essere “servi inutili” è liberante, non trovate? Riconoscere la gratuità del nostro agire ci libera dall’ansia perché se tutto dipendesse da noi, ci distruggeremmo con i sensi di colpa e vivremmo da frustrati. Essere “servi inutili” vuol dire fare la propria parte fino in fondo sapendo di non essere Dio, vuol dire sapere che ci sono forze più grandi di noi e che non possiamo cambiare la testa degli altri, significa metterci tutta la passione che possiamo nelle cose che facciamo lasciando le proprie responsabilità alle persone che incontriamo.

Pretese

La parabola si riferisce a una certa mentalità del tempo (molto diffusa ancora oggi) che accampava pretese verso Dio. Per molti, ieri come oggi, le opere buone e la fedeltà alle regole costituivano un merito, un motivo per accampare diritti dinanzi a Dio: “Io sono bravo, vado in chiesa tutte le settimane, quindi merito il Paradiso”. Questa mentalità è ancora oggi molto diffusa.

Non rischiamo forse di “comprare” Dio quando preghiamo o facciamo qualche sacrificio perché Dio esaudisca qualche nostro desiderio? Nella preghiera, non dimentichiamolo, chiediamo a Dio di cambiare il nostro cuore, di darci la forza per affrontare le necessità della vita. Insomma, posso dire di credere tantissimo, passare ore in preghiera, moltiplicare le mie devozioni, ma se vivo la fede come un rapporto di sudditanza, allora tutto questo serve a poco.

Ansia

Ai giovani spesso ripeto: “Dio esiste ma non sei tu, rilassati”. Dobbiamo tutti, non solo i giovani, liberarci da una convinzione: credere di essere indispensabili. Facciamo cose importanti, fondamentali, utilissime, ma dobbiamo prendere coscienza che senza di noi il mondo va comunque avanti, pensare questo significa ridimensionarci.

Questa non è falsa umiltà, non significa sminuire il nostro servizio ma liberarci dall’ansia da prestazione che molto spesso logora la nostra esistenza. E’ un modo per ricordarci che Dio non siamo noi, Dio è più grande del bene che possiamo fare. Un marito, una moglie deve aver cura della persona amata ma devono sempre ricordare che ciò che di essenziale ha bisogno l’altro è nelle capacità di Dio. I genitori sono chiamati a fare il possibile per i figli ma devono ricordare che Dio ha mani più grandi delle loro. Un prete, una suora deve amare senza riserve le persone affidate alla loro cura pastorale, ma non devono dimenticare che solo Dio salva. Siamo tutti inutili, ecco perché possiamo vivere più sereni, «come bimbo svezzato in braccio a sua madre» (Sal 131).

Gratuità

La pandemia ha fatto riscoprire quest’aspetto essenziale del cristianesimo. A molti, la parrocchia e la comunità sono apparse inutili, non essenziali. Ed è vero: il cristianesimo è nell’ordine dell’inutile, del “non necessario”.

Si vive la vita cristiana non perché “serva” a qualcosa, ma per vivere qualcosa di gratuito. Abbiamo alle spalle secoli di cultura religiosa del precetto domenicale. Vediamo ancora le tracce lasciate da una catechesi del dovere. Siamo ancora figli di un cristianesimo inteso come dovere da assolvere. Questo tempo ci ha aiutato a renderci conto che siamo servi inutili. Senza di noi le cose sono andate avanti lo stesso. Ciò che siamo e facciamo non servono per meritarci qualcosa. E’ questa la bellezza del cristianesimo: possiamo offrire al mondo qualcosa nell’ordine della gratuità, non nell’ordine del necessario. Se siamo comunità cristiana, lo siamo solo per desiderio e per passione. La nostra vita comunitaria “non serve a niente”: è scelta solo per vivere un’esperienza di gratuità, di fraternità, di amore, di libertà. Per tutto il resto c’è chi è molto più utile di noi e ai quali dobbiamo molta gratitudine. Offriamo al mondo spazi di libertà, d’incontri gioiosi e gratuiti: è un compito non necessario e proprio per questo essenziale.

La bella notizia di questo brano? Il servizio viene prima dei risultati, è più importante del premio e degli apprezzamenti. Per il resto, lasciamo fare a Dio.

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