L’Amore cerca casa
Nel I secolo l’eucarestia era un pasto comune, dove ciascuno portava qualcosa, era una condivisione di cibo vero e mangiando e stando insieme si ricordava la cena del Signore.
Ancora oggi in queste cene dove ognuno porta qualcosa, lo sappiamo, se ne avanza sempre e tutti mangiano un sacco di cose.
Con il passare degli anni si ritualizzò fino a diventare l’eucarestia di oggi ma il concetto è lo stesso. Più si condivide e più ce n’è: è la logica dell’amore.
Gesù condivideva il cibo e mangiava con tutti (con gli esattori delle tasse, i pubblicani, i peccatori, i farisei, i lebbrosi). Accolse persino una donna di cattiva fama durante uno di questi pasti e si invitava dai peccatori. Fu accusato per questo. Perché? Perché apriva la mensa a tutti. I suoi pranzi non erano per i perfetti, ma per quelli che tutti rifiutavano e che nessuno amava.
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La Messa non è un club esclusivo di persone in grazia di Dio. Per Gesù è l’assemblea dei non salvati. Nel corso dei secoli l’abbiamo fatta diventare il pranzo dei puri.
L’Eucarestia è per chi si sente bisognoso, sofferente.
Vado a Messa perché ho bisogno del suo amore non perché sono in regola.
Nell’Eucarestia accogliamo il Signore con le nostre mani sporche e impure. E Lui viene lo stesso, si posa sulle mie mani non perché lo meriti ma perché ne ho bisogno perché Lui è più grande dei miei errori.
Ecco perché l’Eucarestia è festa, festa degli uomini amati non dei giusti.
Chi celebra l’eucaristia sa di non meritarla (“O Signore, non son degno di partecipare alla tua mensa…”) ma conosce quell’abbraccio che fa ripartire, che rimette in cammino, che traduce la debolezza in una potenza inaudita.
Allora il Corpo di Cristo è il pane consacrato, ma sono soprattutto le persone, gli uomini, le donne, io, il mio corpo.
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Amare un pezzo di pane, è facile. Siamo sinceri, credere che lì c’è Dio non ci cambia poi così tanto la vita. Ma amare le persone è un’altra cosa. Credere, che dietro certi volti ci sia Dio è più impegnativo.
Madre Teresa diceva: “Mi è difficile credere che la gente possa vedere il Corpo di Cristo in un pezzo di pane e non lo possa vedere nelle persone, negli uomini e nei volti”. In fondo non è più facile vedere Dio nel volto di tua moglie, tuo marito che in un pezzo di pane? Non è più facile vedere Dio nel volto di tuo figlio che non in un pezzo di pane? Non è più facile vedere Dio in un tramonto, in uno sguardo, in un dialogo intimo, in una mano che ti aiuta, che non in un po’ di vino?
Amici, è possibile amare Dio senza amare l’uomo ma chi ama l’uomo certamente amerà anche Dio.
Dio si è fatto carne: ecco è il grande mistero che la chiesa professa.
La peculiarità del cristianesimo è credere che Dio si è incarnato. Dio ha preso corpo, non è rimasto lassù.
Il cristianesimo è la religione della mediazione.
Arriviamo a Dio attraverso il pane della Domenica, attraverso l’amore per una persona, attraverso un paesaggio, il pianto di un bambino, le lacrime di gioia ma la più grande mediazione è il corpo.
Il cristianesimo è la religione del corpo. Per secoli si è diviso materia e spirito.
Tutto ciò che era corpo era sporco, negativo, apparteneva al diavolo dimenticando che il mio corpo è il luogo di Dio. Lo spirito esiste solo in un corpo.
Quando faccio la comunione il Corpo di Cristo viene ad abitare in casa mia.
Allora se lo fa Dio, lo posso fare anch’io.
Se lui non si vergogna di venire qui dentro, se lui si degna di abitare nella mia casa, allora devo amare e accogliere questo mio copro, devo provare a volergli bene.
La domenica non solo ci viene detto: “Corpo di Cristo” e noi diciamo: “Sì”; ma anche: “Corpo di Paolo (ciascuno metta il suo nome)” e Cristo dice: “Sì”.
Dio è onorato di venire nel mio corpo. E il mio corpo è onorato di riceverlo.
E’ bello sperimentare ad ogni eucarestia Dio che mi cerca, Dio che arriva per avvolgere i dubbi del mio cuore. Anche Lui non può stare da solo. Ha bisogno di compagnia, una compagnia spesso fatta di silenzi perché ci mancano le parole.
Sembra incredibile eppure a Lui andiamo bene così, un intreccio di ombre e luce.
Di per sé noi non abbiamo nulla da offrire, solo una storia accidentata che ha bisogno di cure. A noi spetta solo accoglierlo.
A volte, durante la Messa, mi viene da sorridere pensando alla fantasia di Gesù.
Avrebbe potuto rimanere in mezzo a noi in mille modi, magari lasciandoci un segno potente e inequivocabile della sua presenza in modo da convincere tutti anche i più dubbiosi.
Invece no. Non sarebbe stato nel suo stile…
Gesù decide di rimanere in mezzo a noi, nel segno fragile e quotidiano del pane e del vino.
Tutto il Suo corpo, la Sua storia, la Sua vita appassionata d’amore sono lì, in quel fragile e insignificante pezzo di pane. Da mangiare. Da contemplare. Da custodire.
«Ecco il mio corpo», ha detto. Ci saremmo aspettati: «ecco la mia mente, la mia divinità» ma mai il povero corpo.
Nel corpo c’è tutto ciò che unisce una persona alle altre: parola, sguardo, gesto, ascolto, cuore. Ecco perché ci ha donato il Suo corpo. Ci ha dato tutta la sua storia.
Neppure il suo corpo ha tenuto per sé, neppure il suo sangue ha conservato.
Chissà cosa compresero gli apostoli quella sera. Gesù era al centro della tavola e per la prima volta li ha chiamati “figlioli” pur essendo uomini rudi.
Mai aveva parlato loro come in quella notte.
Peccato che a questo pane ci siamo abituati: a volte non dice più nulla. Spesso camminiamo distratti verso l’altare. Eppure Cristo non si nega. Siamo magari inaffidabili. Eppure Cristo non si nega.
La bella notizia di questa domenica? L’Amore cerca casa. La comunione, più che un mio bisogno, è un bisogno di Dio. Con l’Eucarestia divento colmo di Dio.
E’ appena uscito il mio nuovo libro: “Dio è felicità” (Ed. Paoline)
Fonte: il blog di Paolo de Martino | CANALE YOUTUBE | PAGINA FACEBOOK