Siamo al cuore del Vangelo, il racconto di un Dio appassionato che soffre e muore per amore.
Matteo racconta la morte di Gesù a partire dal Vangelo di Marco, accentuando alcuni elementi particolari. Come suo solito Matteo insiste sull’adempimento delle Scritture. Il buio in pieno giorno è la realizzazione delle profezie di Amos sul giorno del Signore. L’aceto riporta al salmo 69. Tutta la vicenda presenta in filigrana il salmo 22. La resurrezione dei giusti nel momento della morte di Gesù realizza la promessa di Ezechiele 37.
Attenzione: il compimento delle Scritture non va inteso nel senso di un espediente letterario o, peggio, di un destino ineluttabile voluto da Dio, al quale Gesù sarebbe stato costretto a piegarsi. No, nella passione Gesù è più che mai signore degli eventi, domina tutto ciò che accade con una straordinaria libertà e consapevolezza. Gesù capisce che il cerchio si sta stringendo intorno a lui, perché il suo modo di narrare Dio è insopportabile per il potere religioso e politico.
Re
Per scrivere questo capitolo sono andato in Chiesa, davanti al crocefisso e ho notato: un re con le mani forate invece di uno scettro, in testa dei chiodi invece di una corona d’oro e per trono, una croce! Verrebbe quasi da dire: “Ma che razza di re ci siamo scelti”.
Amico lettore, questo è il nostro Re e non a caso è questo il simbolo dei cristiani.
Parafrasando una pubblicità di qualche tempo fa’, possiamo dire che…il nostro Re è differente. E’ un Re talmente potente da lavare i piedi ai suoi discepoli, e dare un boccone a chi lo stava per consegnare nelle mani dei suoi assassini.
Siamo sinceri: facciamo fatica a essere discepoli di un Dio così, perché siamo tutti a caccia di vittorie, piccole o grandi che siano; perché sogniamo di essere visti, di essere riconosciuti, perché, siamo onesti, desideriamo consenso e attenzioni. Invece, il nostro re, si alimenta di un’altra logica. «Il mio regno non è di questo mondo», dice Gesù. Facciamo fatica a seguire un Dio che rivela la sua regalità nell’amore, nel servire e non nella pretesa d’essere servito. Facciamo fatica… Facciamo fatica, in fondo, perché l’idea di un Dio onnipotente, che amministra in maniera autoritaria la sua giustizia, è una distorsione mentale che continuiamo a portarci dentro.
Siamo sinceri: abbiamo tutti un po’ paura di Dio.
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La bella notizia è che Dio è onnipotente solo nell’amore! Non dobbiamo aver paura di lui perché Dio non può che giudicarci amandoci.
Dio mi ama fino a morirne: questa è la bella notizia del cristianesimo. Un Dio che mi ama, anche se lo rinnego, anche se lo tradisco, anche se lo rifiuto. Insomma il nostro Re non pretende nulla ma semplicemente mi ama di un amore folle perché lui è il Re dei perdenti, dei malati, degli ultimi, dei sofferenti. Il nostro Re è differente dagli altri re perché sa che l’amore o va fino all’estremo o non è amore! L’amore non si ferma prima.
Allora, amico lettore, fissa lo sguardo sulla croce, lascia spazio allo stupore e chiediti: davvero lo vuoi un Dio così? Sei proprio sicuro? Prima di rispondere frettolosamente osservalo bene: è un Dio senza bacchetta magica, che si china sui piedi maleodoranti dei suoi discepoli e li lava con cura, che non toglie il dolore, ma lo condivide, che non ci salva dalla morte ma nella morte, che perdona i suoi assassini, che sceglie come primo santo da canonizzare un delinquente crocefisso come lui, che muore solo come un cane perché abbandonato da tutti i suoi amici. Sicuro di volerlo un Dio così?
«Scendi dalla croce», gridavano. Se fosse sceso, avrebbe vinto la logica del modo, avrebbe dimostrato di essere onnipotente, invece Dio è Amore onnipotente. Solo il Dio di Gesù di Nazareth, non scende dalla croce e si consegna alla morte.
Ogni nostro grido, ogni abbandono, può sembrare una sconfitta ma se è gridato al Padre, ha il potere, senza che sappiamo come, di far tremare la pietra di ogni nostro sepolcro.
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Segni
Matteo colloca al cuore di questa regalità rovesciata, l’intervento di Dio. Il Vangelo racconta che il sole, la terra, le rocce, il tempio, i sepolcri, i morti e i vivi, tutto è scosso e messo in discussione. Matteo sa che l’ora che sommuove le profondità della storia e del cosmo è questa. All’ora nona è terminato un mondo e ne è nato un altro. Questa è l’ora del buio in pieno giorno, com’era stato profetizzato da Amos: «In quel giorno farò tramontare il sole a mezzodì e oscurerò la terra in pieno giorno» (Am 8,9).
La morte di Gesù è l’evento escatologico per eccellenza, l’ora finale della storia. Matteo lo sottolinea con termini apocalittici che gli sono propri, con una serie di sconvolgimenti dell’ordine naturale che sono elencati con delle semplici congiunzioni “e”.
Il velo del santuario segnava la distinzione tra la stanza più interna e più sacra del santuario (detta “santo dei santi”), dal resto del tempio. Il fatto che si sia squarciato in due indica che è ormai caduta la separazione tra Dio e i pagani. Il velo cade. Dio non è più irraggiungibile o nascosto. Dio non è più misterioso e invisibile, ma è visibile in quell’uomo crocefisso.
Centurione
Matteo anticipa nell’evento della Croce la potenza della resurrezione. Come Marco anche lui ricorda che i soldati pagani riconoscono che il crocefisso è il Figlio di Dio.
Dio è lì, appeso per amore alla Croce e in questa infinita distanza tra la sua rivelazione e la nostra attesa, avviene il riconoscimento.
Non i discepoli o la folla dei seguaci, nemmeno le donne, ma un centurione e quelli che con lui facevano la guardia alla Croce, riconoscono in Gesù Crocefisso il Figlio di Dio.
Amore
Per troppo tempo, forse, abbiamo frainteso la croce come il gusto macabro di amare la sofferenza. La croce cristiana non l’amore per il dolore ma l’amore per l’amore stesso, portato fino alle estreme conseguenze. La croce non serve a farci venire i sensi di colpa, ma a ricordarci quanto valiamo davanti al Signore. La croce è il segno distintivo per noi cristiani perché è il segno di un amore senza condizioni, un amore folle, un amore disposto a dare la propria vita per chi si ama.
I giorni della passione sono un grande esercizio di discepolato. Gesù di Nazareth ci ha mostrato il giusto modo di vivere ciò che noi sappiamo vivere solo con angoscia. Gesù non ci ha dato la spiegazione del dolore, ci ha chiesto di afferrargli la mano. Solo uniti in quella stretta sperimentiamo davvero il significato della Pasqua: “Passare da una situazione di morte a una situazione di vita”.
La bella notizia di questa domenica? Dio sperimenta la morte perché là va ogni suo figlio. Pende nudo e infamato per dirti fino a che punto ti ama.
Fonte: il blog di Paolo de Martino | CANALE YOUTUBE | PAGINA FACEBOOK