Paolo de Martino – Commento al Vangelo del 15 Ottobre 2023

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L’ incontro con Dio è festa, gioia, danza.

Eccoci davanti alla terza parabola di quel trittico che Matteo ha abilmente disposto nel suo racconto, pochi versetti dopo l’entrata trionfale di Gesù in Gerusalemme. Il tema è lo stesso delle due parabole precedenti: l’accoglienza o il rifiuto di Gesù.

Il testo di questa domenica si presenta ricco di particolari e di colpi di scena. Al centro di tutto c’è il re. L’occasione del banchetto è il matrimonio del figlio, di cui però non si dice nulla. E’ il re che parla, ordina, giudica.

Tutto comincia con un invito. Non un obbligo o un dovere, ma un invito: che dichiara la tua libertà immensa e drammatica. Drammatica per te, ma anche per Dio. L’uomo è il rischio di Dio: il Dio dalla sala vuota, dalle chiese vuote e tristi, il Dio del pane e del vino che nessuno vuole, nessuno cerca, nessuno gusta, è debole di fronte al cuore dell’uomo. Eppure invita: non alla fatica della vigna, ma a nozze, ad un’esperienza di pienezza, al piacere di vivere. Questo testimonia il vangelo: il suo dono e il suo segreto sono una vita bella; e Dio non è più un dovere, ma un desiderio.

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Passiamo la vita a cercare segni incontrovertibili sull’esistenza di Dio e non prendiamo sul serio le costanti proposte latenti che Egli ci fa nel nostro quotidiano.

Se Dio si mostrasse attraverso la Sua Onnipotenza noi non avremmo più nessuna scelta. Ecco perché manda “servi” ad invitare, a provocare, a stimolare, a coinvolgere ciascuno di noi, perché l’andare da Lui sia una nostra scelta e non l’unica scelta possibile.
Il primo colpo di scena sta nel rifiuto degli invitati alle nozze.
Ma come? S’è mai visto qualcuno rifiutare un invito a un banchetto regale?

E la cosa che lascia ancora più stupiti sono le motivazioni: uno va nel campo e quell’altro a badare ai propri affari. E se non bastasse, qualcuno se la prende pure con i servi, li bastona e li uccide. Chi non sente il bisogno di Dio non può incontrare Dio. Chi non sente il bisogno dell’anima non può trovare l’anima. Non si può trovare ciò di cui non si ha bisogno.

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Mi sembra di sentire le scuse più diffuse tra la gente: “non vengo a messa la domenica perché è l’unico giorno che non lavoro e mi voglio riposare”. Oppure “il lavoro è importante”; “non posso perdere tempo, il Signore capirà”. Rimane un piccolo dettaglio: Dio muore dalla voglia di incontrarci e noi preferiamo altro. Fosse anche una cosa lecita ma pur sempre altro. Preferiamo la pancia piena alla felicità. Preferiamo le nostre priorità a ciò che invece sono le vere priorità. Ma il vero cortocircuito sta fondamentalmente in due cose: pensare che la fede sia un dovere, e pensare che la fede sia un piacere. La fede se fosse un dovere faremmo bene a sbarazzarcene, infatti ne abbiamo fin troppi di doveri. Essa invece è una scelta, non un dovere. È la scelta di chi si lascia amare, e comprende che non può esistere amore per forza. Allo stesso tempo la fede non è un piacere, cioè non è una cosa sentimentale. La fede è gioia, non emozione. E la gioia lungi dall’essere un’emozione, per noi cristiani è un fatto.

E’ chiaro che, come la scorsa settimana, Gesù sta rileggendo la storia di rifiuto e di violenza toccata ai profeti e a Giovanni Battista, questa forse è la ragione del ricorrente doppio invio dei servi. Ma questo rifiuto appare provvidenziale perché apre all’accoglienza di quelli che non erano preparati e che vengono raccattati per le strade.
Buoni o cattivi, belli o brutti non fa problema. E la sala si riempie di invitati. Evvai con la festa!

Fino a qui tutto sembra chiaro e lineare: c’è chi rifiuta e chi accoglie l’invito.
Ma d’improvviso scatta un nuovo colpo di scena: il re passa tra gli invitati, ne trova uno senza abito nuziale, lo fa legare e dopo averlo rimproverato, lo fa buttare fuori dalla festa.
Ma come? Certo che non ha l’abito nuziale – verrebbe da dire – è stato raccattato per strada!

Ovviamente la parabola non vuole mettere in luce la folle pretesa del re, quanto piuttosto sottolineare il rischio dei commensali di sentirsi “garantiti” per il semplice fatto di trovarsi lì.
Ancora una volta il Rabbì di Nazareth ci scuote e ci obbliga a guardarci allo specchio per dirci la verità sulla nostra vita e sulla nostra fede. Nessuno può credersi garantito e arrivato. Nessuno può dirsi certificato per il Regno.

La parabola inizia con una reggia senza canti, con una sala vuota, e termina con un dramma: gettatelo fuori. È possibile fallire la vita! Ad ognuno di noi è posta una condizione: il vestito di nozze. L’uomo senza veste nuziale non è peggiore degli altri; egli non ha creduto alla festa, non ha portato il suo contributo di bellezza alla liturgia delle nozze. Non pensava possibile che il re invitasse a palazzo straccioni e poveracci; che si trattasse davvero del banchetto di nozze del figlio del re. Un re non fa così, pensava; un re pretende, prende e non dona. Si è sbagliato su Dio. Sbagliarsi su Dio è un dramma, è la cosa peggiore che possa capitarci, perché poi ci sbagliamo sul mondo, sulla storia, sull’uomo, su noi stessi. Sbagliamo la vita (David M. Turoldo). L’abito da indossare per non fallire la vita è Gesù Cristo (Ef 4,24). Nel battesimo ho ricevuto, con la veste bianca, il compito di passare la vita a rivestirmi di Cristo. Ad avere i suoi sentimenti, ad essere eco delle sue parole, a preferire coloro che lui preferiva, seminare i suoi gesti nel mondo.
La Sua Parola ci vuole svestire da quella religiosità fatta di abitudini vuote, di riti che non celebrano più nulla, di quella religiosità triste e moralistica di cui spesso – troppo spesso! – siamo imbevuti.

La Sua Parola ci vuole mettere a nudo, o forse farci capire che nudi già lo siamo e che lo Spirito è pronto a rivestirci dell’abito di nozze.
E penso a chi non trova più una ragione per ricominciare.
A chi per un errore è stato allontanato dalla famiglia.
A chi non sa più sperare.
A chi la malattia sta portando via tutto.
A chi per amore sta dicendo un “sì” importante.
A chi cerca di fare del quotidiano un canto di lode a Dio.
A chi dopo tanti sacrifici si ritrova a mani vuote.
Per tutti risuoni ancora l’invito al banchetto del Figlio e il Signore ci trovi rivestiti con l’abito di nozze!

Ancora dentro questo nostro tempo dolente e splendido Dio ripropone i suoi inviti, a dirci che l’eternità non è altrove, in un altro orologio, ma che questo tempo è già un frammento di eterno colmo di inviti, già ora con Dio la vita celebra la sua festa se appena abbiamo un cuore che accoglie e che sa condividere. L’invito alla convivialità è anche invito a passare dall’economia delle cose all’economia delle persone, a prenderci del tempo per l’incontro, per gli amici, per Dio, per la vita interiore.

La bella notizia di questa domenica? Dio viene come uno Sposo, intimo come un amante, esperto di feste e che si fa festa in cielo per ogni mendicante d’amore che trova e restituisce un sorso d’amore.

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