Un lungo brano sulla legge, segue quello delle beatitudini, e non è un caso. La logica delle beatitudini, precede l’esplicitazione della legge, quasi a dire prima il Vangelo e poi la legge, prima la rivelazione e poi la morale. Amico lettore, se perdi di vista questa gerarchia rischi di leggere questa Parola solo come una nuova serie di norme da osservare, un’altra casistica cui fare riferimento. Matteo ti sta dicendo: prima c’è il dono di Dio e poi la risposta dell’uomo.
Compimento
In filigrana possiamo leggere i problemi che la comunità di Matteo doveva affrontare nel suo passaggio dall’ebraismo al cristianesimo. Matteo indica l’incompletezza della Legge invitando a cogliere i valori che in essa erano racchiusi. Per Gesù “cambiare” non significa disprezzare il passato ma amarlo così alla follia da far emergere il bene che già c’era.
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Gesù non contrappone alla Legge una super-legge migliore, ma svela l’anima della legge. Come ha splendidamente detto padre Vannucci: «Il suo vangelo non è una morale ma una sconvolgente liberazione».
Gesù non è più accondiscendente: semplicemente porta la norm avanti, la porta a pienezza. Amico lettore, il cristianesimo è la religione dell’interiorità, del cuore.
Occhio a far passare leggi degli uomini per leggi di Dio. Gesù distingue fra le tradizioni degli uomini e quelle di Dio.
Il Vangelo non è un manuale d’istruzioni, con norme e leggi già definite nei particolari e solo da applicare. La bellezza ma anche la difficoltà del vangelo è che ci invita a pensare con la nostra testa, stimola la nostra coscienza, ci chiama alla responsabilità del nostro vivere senza delegare a un legislatore esterno. Gesù di Nazareth ritorna al cuore che è la sede dove si forma il nostro pensiero e il nostro agire. Se il cuore guarisce, anche la vita guarisce.
Gesù fa una cosa semplicissima: riprende a uno a uno i precetti e ne svela il senso profondo, eliminando ciò che le tradizioni umane avevano aggiunto. Gesù libera l’uomo (e Dio!) dalla gabbia nella quale l’uomo li aveva rinchiusi.
Vuole portare a compimento la Legge e i Profeti, le prime due grandi parti della Bibbia ebraica: le leggi di Dio e le parole dei suoi servi (i profeti appunto) ricordavano al popolo di Israele questi precetti nei momenti bui.
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Gesù invita a non trasgredire «uno solo di questi minimi precetti»: quali sono? I comandamenti? No, Gesù non li aveva nominati: sono le beatitudini. Chi ignora le beatitudini sarà considerato niente, nel regno dei cieli (non il “regno nei cieli”) cioè il regno di Dio, una nuova società, dove Dio governa gli uomini comunicando loro la sua stessa vita. Scribi e farisei avevano una fedeltà formale, legata alla lettera ma non allo spirito. Amico lettore, c’è una religione, un modo di pregare, di andare in chiesa, che impedisce di avvicinarsi a Dio!
Gesù non sta invitando a rispettare più norme e precetti. Il mondo giudaico aveva già una casistica articolatissima, fatta da ben 613 precetti della legge (248 come le ossa del corpo umano, più 365 come i giorni dell’anno). Impossibile fare di più in senso quantitativo. Il “di più” che Gesù chiede è nella qualità del nostro modo di metterci davanti alle Sue leggi. E’ sulla qualità della nostra fede che dobbiamo misurarci.
Antitesi
Entriamo nel vivo del discorso. Gesù va alla sorgente: ritorna al cuore, la sorgente della vita.
Lo fa attraverso sei antitesi. Se ci pensi amico lettore, c’è sempre un “però” a rovinare una frase: “Bravo/a però… in gamba però… capace però… “. Anche Gesù non si è sottratto a questa legge dell’umano: «Avete inteso che fu detto (…) Ma io vi dico». Come a dire: finora si è fatto così, però d’ora in poi non sarà più sufficiente.
Eppure tra il “però” dell’uomo e quello di Dio c’è un’enorme differenza. L’uomo lo utilizza di solito per diminuire. Dio, con il suo “però” annuncia sempre qualcosa di più grande rispetto ciò che l’ha anticipato.
Dio, come un restauratore di mobili antichi, non getta un vecchio comodino, ma lo prende e con passione lo riporta all’antico splendore per rimetterlo sul mercato, più preziose di prima.
La prima antitesi riguarda l’omicidio, cioè la soppressione ingiusta della vita di qualcuno. Gesù va alla radice dell’omicidio, cioè a ogni atteggiamento che può condurre a un gesto estremo.
La seconda antitesi riguarda l’adulterio. Per adulterio si considerava quello tra una donna sposata o promessa sposa e un uomo che non fosse suo marito. L’offesa era fatta al marito legittimo e doveva essere punita con la morte di entrambi i colpevoli (Dt 22,22-24).
La terza antitesi riguarda ancora il matrimonio. Gesù ammette il ripudio solo in caso di unione illegittima. Il termine greco originale, “porneia”, è riportato solo da Matteo e la sua interpretazione è ancora controversa. Si tratta forse di un’unione illecita (come nel caso di consanguinei, cfr. Lv 18,6-18; Mt 19,3-9) che altre culture invece ammettevano.
La quarta antitesi riprende il testo di Levitico 19,12 che vietava esplicitamente di giurare il falso utilizzando il nome di Dio.
Parole
Abbiamo bisogno di un’igiene delle parole: «Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”, “No, no».
Dio spesso è tirato in mezzo per cose e situazioni che non centrano molto con Lui, e le nostre idee diventano teologie che travestiamo di devozione. Il parlare del credente deve essere chiaro e asciutto senza la preoccupazione di tenere contenti tutti: «Scegli con cura le parole da non dire» (A. Merini). Il cristiano sa dire Sì e No davanti alla verità o alla menzogna, misura le parole perché sa il suo potere distruttivo. Il cristiano parla poco, e quando lo fa, è solo per dire il bene. E se è costretto a dire il male? Lo fa con misericordia, se necessario anche con il silenzio. Amico lettore, chi parla poco e bene rende più efficace ciò che dice. Non giustificarti perché non hai ucciso. Chiediti piuttosto quanta vita è passata nei tuoi gesti, nelle tue parole, nelle tue scelte quotidiane.
Quanto amore si è moltiplicato e condiviso tra le tue mani. Esistono molti modi di uccidere. Certe parole e certi silenzi sono più affilati della spada. Certe distanze sono più letali di un proiettile. Non sentirti con la coscienza a posto perché non hai rubato. Chiediti piuttosto quanto hai saputo donare, come ti sei messo in gioco nelle relazioni, quanto amore hai investito negli incontri che la vita ti ha offerto. Chiediti che ne hai fatto dell’amore di cui sei capace: l’hai moltiplicato nel dono o l’hai fatto marcire nel possesso? Non sentirti tranquillo se non hai bestemmiato il nome di Dio. Chiediti piuttosto quanto la tua vita e le tue parole sono state un inno di lode al Suo amore. Ci sono bestemmie silenziose, cresciute nel rancore e alimentate da delusioni verso un Dio che è solo la proiezione dei nostri bisogni.
La bella notizia di questa domenica? La legge è per l’uomo, non l’uomo per la legge. Quello che Gesù è venuto a donarti, in altre parole la bella notizia, non è una legge. Dio non ti obbliga, ti dona e ciò che ti comanda, prima te l’ha concesso.
Fonte: il blog di Paolo de Martino | CANALE YOUTUBE | PAGINA FACEBOOK