Paolo Curtaz – Commento al Vangelo di giovedì 8 Dicembre 2022

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La nuova Eva

La colpa è sempre degli altri, ovvio.

Perché una vita bella io la volevo sul serio. Ma ho dovuto fare i conti con mille difficoltà.

Il mio carattere, in primis, troppo timido o troppo irruento, troppo ingenuo o troppo vendicativo.

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E la salute. E le opportunità della vita, ingenerosa nei miei confronti. E il paese allo sfascio in cui mi trovo a vivere. E non parliamo dei politici, tutti ladri o incompetenti. E anche la Chiesa, ormai ridotta a sopravvivere alla modernità.

Vivo male, sono a disagio, sono pieno di rabbia repressa. E mi lamento. E mi sento a credito con la vita, con i miei famigliari, con Dio, finanche.

E se anche ho una parte di responsabilità in ciò che (mi) accade è nulla rispetto alle gravi responsabilità di chi ho intorno, o di chi mi ha preceduto.

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I miei fratelli, ad esempio, con cui non ho mai veramente legato e che, da adulti, non mancano di rinfacciarmi questo o quell’episodio del passato.

Per non parlare dei miei genitori, inadeguati quando non dannosi.

E poi prima di loro.

Sfortune o madornali errori commessi nella mia famiglia, fra i miei ascendenti.

Su su, ripercorrendo in passato a ritroso, una somma di disgrazie infinite. E colpe inconfessabili.

Su, su, fino a ritrovarmi ad Adamo ed Eva.

Letteralmente.

In origine

La colpa è della donna che tu hai messo accanto, dice Adamo (insomma la colpa è anche un po’ tua, Dio imprevidente, sai come sono le femmine…).

La colpa è del serpente, dice Eva.

Insomma, la colpa è di qualcun altro, sempre. 

Dove sei?, chiede Dio a ciascuno di noi. 

Dove sei?, mi chiede in questo avvento.

Tutti intenti ad accusare gli altri. A trovare qualcuno su cui scaricare le responsabilità, per indossare i panni delle vittime, per nasconderci a noi stessi. E poi, insomma, forse è Dio stesso che ha sbagliato a crearci liberi. Così tanto liberi. Insopportabilmente liberi. Condannati ad essere liberi.

D’altronde l’albero della conoscenza del bene e del male, l’albero che ci rende come Dio, che ci dona sapienza assoluta, è così allettante. Invece di guardare tutti gli altri alberi del giardino – tutti! – siamo attratti dalla vertigine della possibilità (falsa) di diventare bastanti a noi stessi, senza limiti, infiniti. Non ci basta l’Eden, vogliamo strafare.

Di Dio siamo immagine, la somiglianza la dobbiamo creare noi.

Intessendo relazioni, assumendoci la gioia di diventare i giardinieri del Creato.

Si, figurati.

Forse anche Dio, per un istante, ha avuto un dubbio (mi perdonino i teologi seri).

Ma lo ha scacciato subito. 

La prima volta è andata male, decisamente. Questa coppia che nella parabola della Genesi avrebbe dovuto esprimere la genialità del progetto divino sulla Creazione deve ancora imparare tanto.

Dio, però, pensa che l’umanità che da loro discenderà avrà in sé la forza di trovare lo spazio perfetto in tutto questo. 

Esatto.

Quindi

Sono passati gli anni, le generazioni, le promesse, le alleanze.

È ostinato Dio. Cocciuto. Allora, nel sottile gioco della libertà e dell’amore, ha intessuto con un popolo, il più piccolo, il più disgraziato, una relazione d’amore, affidandogli il compito di raccontare all’umanità in ricerca di senso il suo vero volto.

Ma non sono bastati gli eroi, i santi, i profeti, i padri nobili.

Non i richiami continui alla conversione.

Alla fine Dio ha deciso, forzando il suo progetto, cambiando la sua mission.

Poiché l’uomo, anche se consigliato, indirizzato, corteggiato, non riesce ad avere un’idea precisa di sé e della Storia, non riesce ad evitare di rubare, ancora e ancora, il frutto della conoscenza del Tutto, non sa gestire il suo delirio di onnipotenza, non accetta il limite come spazio certo in cui abitare, Dio ha deciso di venire lui, in persona, a raccontarsi.

Ma, per farlo, come la prima volta, ha bisogno di una coppia. Di una casa. Di un corpo.

Di qualcuno con cui collaborare.

Di un uomo e di una donna. 

L’ennesimo rischio.

Maria

È spiazzato, il principe degli angeli.

Non capisce del tutto l’inguaribile ottimismo di Dio nei confronti di queste creature volubili e scostanti che sono gli esseri umani. Ma ha obbedito e assolto il suo ruolo.

Solo che quella ragazzina lo ha stupito.

Ha avuto paura inizialmente, come tutti coloro che incontrano l’epifania luminosa del divino.

Ma poi.

Ha chiesto, interrogato, argomentato.

Come avverrà, ha domandato, essendo illibata.

Gabriele sorride. Le ha appena comunicato che l’Eterno le chiede ospitalità nel suo piccolo utero. E lei si chiede come farà col suo amato promesso sposo. Tenera.

Invita alla fiducia, l’angelo. E attende una risposta.

Tu cosa avresti detto?

Ripassa. Devo confrontarmi col mio parroco, col mio terapeuta. Ho mangiato troppo, vedo angeli.

E se Maria avesse fatto come Adamo ed Eva, delegando ad altri la responsabilità?

Attende, l’Universo. Pende dalle labbra di una acerba adolescente, il Creato.

Sì, risponde. Si.

Per quel sì siamo qui, oggi. 

A fare spazio a Dio, come Maria ha fatto spazio nel suo grembo, senza delegare, diventando partecipe della salvezza. 

Per quel si siamo salvi. Sono salvo.

Ecco, dai, facciamo come Maria.

Facciamo della nostra vita un si.

***

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