Paolo Curtaz – Commento al Vangelo di domenica 8 Ottobre 2023

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Cosa farà?

Che ve ne pare? Chiedeva Gesù alla folla riguardo al racconto dei due figli di domenica scorsa.

Cosa farà il padrone? Chiede, oggi, a coloro che in cuor loro hanno già deciso di uccidere il figlio del padrone della vigna che hanno affittato.

Ci tiene, Dio, al nostro giudizio. Ci coinvolge, vuole il nostro parere. 

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Spera sempre di condividere la sua prospettiva, il suo giudizio, il suo sentimento profondo.

Spera di convertire i nostri cuori, argomentando, usando metafore e parabole per non essere troppo diretto.

Tenero.

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Toni cupi

È una parabola cupa, dolente, sanguinante, aspra, violenta quella di oggi. Forse la più cupa di tutte.

Quasi insostenibile.

Il cuore del racconto è centrato sul figlio, non sulla punizione dei vignaioli omicidi: Gesù sta dicendo al suo uditorio che se i servi sono la prefigurazione, il figlio è il compimento. E che è lui il figlio inviato da Dio a riscuotere quanto dovuto.

Il finale non è un abbandono, ma un nuovo inizio.

Quella morte che tutto sembra distruggere non è che il trampolino per una nuova vita, per un inatteso riscatto.

È ormai evidente a tutti che il destino del profeta di Nazareth è segnato: i suoi gesti plateali e le sue parole troppo sincere e dirette hanno suscitato l’ira dei capi dei sacerdoti. Come tutti gli idealisti, questa testa calda di galileo va fatto tacere ad ogni costo, prima che crei dei disordini e che i romani si riprendano, irritati, la relativa autonomia concessa alla capitale.

Lo sa Gesù, non è un idiota. Sa bene che ha firmato la sua condanna a morte. Ma vuole andare fino in fondo: per nulla al mondo cambierà la sua idea di Dio.

E sta dicendo ai suoi assassini che la sua morte, la morte del figlio, si pone in continuità con la morte dei profeti, spesso uccisi proprio dagli uomini religiosi del loro tempo (Mt 23,29).

Gesù non mette fine alle contraddizioni della storia. Si pone nel mezzo di esse. 

Le assume. Ne è travolto. Le redime e le riscatta. Le feconda di vita.

Di questo parla la difficile parabola dei vignaioli omicidi.

Follie

L’idea di godere dei frutti della vigna senza pagare pegno mi sembra una bella costante della nostra inquieta e talvolta incomprensibile umanità.

Così è il nostro mondo: vuole l’eredità senza avere a che fare nulla con il Padre.

Gode dei frutti della vigna e non riconosce al proprietario ciò che gli è dovuto. 

Nemmeno il fatto di non essere noi i padroni del Creato.

Anzi: vorremmo poter gestire la vigna senza rendere conto a nessuno.

È l’impressione che ho quando vedo il nostro mondo occidentale, quello europeo, in specie, che ha fatto accomodare Dio alla porta, ma pretende di mantenere l’ordine sociale che da esso deriva. Follia, come già aveva notato il filosofo Niestche.

Immagine dell’umanità che non riconosce il proprio Creatore, il proprio limite, questa tragica parabola è la sintesi della storia fra Dio e Israele, fra Dio e l’umanità. L’uomo non riconosce il suo Creatore, si sostituisce a lui: ecco il peccato di fondo, la tragica fragilità dell’essere umano, credere di essere autosufficiente, non nel senso nobile e vero di essere autonomo, ma di quello malato di non dover rendere conto, misconoscendo il proprio limite. 

Vogliamo un mondo equilibrato, fraterno, significativo e interessante, ma senza coinvolgere chi questo mondo l’ha voluto, ideato e creato. Idioti.

Il mondo non ci appartiene e nemmeno la vita ci appartiene, ma ci è donata e possiamo farla fiorire.

Ancora

Vorrei dire ancora qualche parola sulla pazienza di Dio che, ad un certo punto, finisce.

Perché il suo intervento punitivo, storicamente, è stato spesso usato da noi cristiani e dai predicatori, in dettaglio, come corpo contundente, come minaccia velata.

Della serie: Dio è tanto caro e tanto buono ma se esageri ti manda una disgrazia che te la ricordi nei secoli! Ovviamente la Parola non dice proprio niente del genere.

Dio ci ama ed è paziente, certo, vero. Ma, come abbiamo già visto, se ci ostiniamo ad andare all’opposto rispetto alla strada che egli ci indica, è altamente probabile che precipitiamo in un dirupo!

Quindi, davanti alla brevità della vita e alla superficialità con cui rischiamo di affrontarla, meglio prenderla simpaticamente sul serio.

Secondo Matteo

Eppure, davanti all’evidenza, Gesù ancora prova a far cambiare idea al suo uditorio.

L’entusiasmo della folla in Galilea ha lasciato spazio all’indifferenza e all’ostilità.

Ma chi si crede di essere questo falegname improvvisatosi profeta?

È Gesù che chiede all’uditorio, ignaro, cosa mai avrebbe dovuto fare il proprietario della vigna dopo l’omicidio del figlio. 

Chiede alla folla di esprimere un giudizio. 

La scena è raggelante, perché l’uditorio non ha ancora capito che si sta parlando di loro. Stanno decretando la loro atroce punizione. 

Gesù parla come a se stesso, indeciso sul da farsi, la voce rotta dall’emozione: che fare? 

All’umano un Dio così proprio non importa, non lo vuole: preferisce un Dio scostante e impettito, onnipotente e freddo da placare o convincere. Da manipolare e usare.

Che fare? 

Vendetta

Si accalora, l’uditorio. Sbraita, ora: Morte! Vendetta! Sangue! I vignaioli vanno uccisi!

Già. Assurdo. Non sanno che Gesù sta parlando proprio di loro.

È vero: non ha senso che il padrone subisca l’uccisione del proprio figlio.

Sospira, ora, il Signore, e li guarda, lungamente.

No, non farà così.

Non ci sarà nessuna vendetta, né sangue, né morte. Se non la sua.

Forse gli affittuari, vedendo la misura dell’amore del padrone, vedendo la sua ostinata volontà di salvezza, capiranno e cambieranno.

Forse anche noi, vedendo la misura dell’amore di Dio, che non soltanto ci ha donato una splendida vigna da coltivare, ma dona ogni cosa per l’uomo, sapremo portare frutto nelle nostre scelte, sapremo fiorire e vendemmiare il vino nuovo della vita bella del Vangelo.

Forse.

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Mt 21, 33-43 | Paolo Curtaz 17 kB 14 downloads

Ventisettesima domenica durante l’anno Is 5,1-7/ Fil 4,6-9/ Mt 21,33-43 …

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