Paolo Curtaz – Commento al Vangelo di domenica 8 Gennaio 2023

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Lasciati fare

Tu vieni da me?, si chiede stupito Giovanni il profeta. 

È lui che deve essere battezzato, purificato dal Messia, è lui che cerca, lui che, inquieto, ha consumato la sua vita cercando la salvezza. 

Ed invece è il Messia che viene a farsi battezzare.

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È lui, il salvatore, a venirgli incontro. A venirci incontro.

Tu vieni da me?, non si capacita il più grande fra i profeti, il più grande fra i nati da donna.

Ha imparato dal vento rovente del deserto che la vita interiore è ricerca di Dio, la più straordinaria e complessa caccia al tesoro che possiamo intraprendere.

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Ha lasciato crescere dentro di sé il desiderio.

Ha imparato a cercarlo, il Dio dei Padri.

A rifiutare le lusinghe del tempio, prima. E della folla che lo considera un guru, poi.

Ha tagliato i ponti con tutto, con tutti. È andato fino all’essenziale di sé, scarnificato, libero.

Sulla scia di migliaia di asceti di tutte le religioni e di tutti i tempi, ha imparato a fare a meno di quasi tutto, di quasi tutti, a ridurre a nulla le esigenze perché l’anima, libera, potesse esprimersi.

Ha pregato, digiunato, dormito nel freddo del deserto, taciuto.

Tutto per potere avere un qualche contatto con Dio.

Tutto per intercettare il suo sguardo.

Lo ha cercato fin nell’arido deserto di Giuda, sulle sponde del Giordano.

Ed ora è lui, Dio, a venirgli incontro.

Tu vieni da me?

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Stupori

Tu vieni da me?, si è chiesta Maria guardando il suo ventre che, giorno dopo giorno, cresceva, prima lievemente, poi sempre di più.

Tu vieni da me?, si è chiesto il giovane Giuseppe, nella notte tormentata in cui Dio gli ha rubato la ragazza e gli ha chiesto, gentilmente, di prendersi in casa una sposa e un figlio non suoi.

Tu vieni da me?, si sono chiesti i pastori, i marginali, i dimenticati, svegliandosi di soprassalto storditi dalla luce di mille angeli.

Tu vieni da me?, si sono chiesti i facoltosi curiosi d’oriente, uscendo dal palazzo del folle Erode e seguendo la stella fino a Betlemme.

Tu vieni da me?, mi sono chiesto cento, mille volte, in questa mia luminosa ed inquieta vita, quando ho visto Dio raggiungere i dimenticati, saltare gli steccati, sfinirsi nel cercare ogni perduto, ogni sconfitto, ogni perdente. Nel cercare me. 

Lascia fare

Lascia fare, dice il Nazareno al battezzatore, sorridendo.

Lasciati fare, dice il Signore a me, oggi, qui, alla fine di questo breve ed intenso tempo di Natale.

Smettila di tenerti in mano, di decidere, di pensare di tenere sotto controllo, di lamentarti, di arrabbiarti. Smettila, lascia fare, Dio sa. Dio sa. Dio agisce, se lo lasci fare. Se la smetti di essere dio di te stesso.

Mischiato fra i peccatori, il capo chino, uguale agli uguali, confuso fra la folla, mentre calpesta il fango da cui tutti proveniamo, avanza il falegname di Nazareth. Giovanni continua ad immergere le persone nell’acqua per poi farle riemergere, nuove. Lo vede, infine, e si ferma. 

Tu vieni da me?: com’è possibile? Non è l’uomo a dover cercare Dio? 

No, Giovanni, ti sbagli. 

Dio è diverso, anche da ciò che ti aspettavi, tu, il più grande tra i credenti.

Solidale

È già tutto qui il Vangelo, è già tutto evidente e palese il volto di Dio, è già detto e mostrato l’essenziale, è già chiuso il discorso. Giovanni tentenna, e noi con lui. I ragionamenti, le distinzioni, la meritocrazia religiosa, peggio – se possibile – di quella sociale, le devozioni, tutto è spazzato via da quel gesto umile e devastante di Dio.

Egli è il totalmente altro, l’assoluto, il realizzato, la perfezione, la pienezza.

E l’abbandona, per farsi solidale, per venire incontro, per conoscere, per redimere, per salvare.

Senza condizioni, senza ricatti, senza attese. 

Dio ama, perciò si spoglia di sé, perciò avanza nel fango.

Per farmi sentire amato.

Segni dell’anima

Si apre il cielo. Isaia aveva profetizzato un cielo chiuso, inaccessibile agli uomini. Ora è per sempre spalancato.

Scende una colomba: non il fuoco che brucia Sodoma e Gomorra, non l’acqua del diluvio che annega i peccatori. Ma la mite colomba perché con la dolcezza Cristo convertirà i nostri cuori.

È il figlio, colui che viene, perché assomiglia al Padre.

È il prediletto, termine usato per indicare il sacrificio di Isacco, già si staglia all’orizzonte la croce, determinazione del folle amore di Dio.

Primo gesto di una lunga serie che in tre anni porterà il Rabbì a pendere dalla croce, Gesù svela il volto di un Dio che esce a cercare la pecora persa, che attende il ritorno del figlio spendaccione; che si ferma nella casa di Zaccheo, che banchetta con i peccatori, che non giudica la peccatrice pubblica, che porge l’altra guancia, che non spegne il lucignolo fumigante, né spezza la canna incrinata, che fa festa per ogni peccatore che si converte, che muore – infine – pronunciando parole di perdono.

Gesù è l’amato, racconta Matteo, il pubblicano scopertosi amato.

Io sono amato, tu sei amato, perciò, nel battesimo, Dio ti ha reso figlio prediletto.

Siamo figli del gran Re, sappiamoci amati.

Così iniziamo il nostro anno.

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