Paolo Curtaz – Commento al Vangelo di domenica 8 Maggio 2022

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Quarta domenica di Pasqua, anno di Luca

At 13,14.43-52/ Ap 7,9.14-17/ Gv 10,27-30

La sua mano

Come pecore al macello, centinaia di civili inermi, di fratelli nella fede, sono uccisi da una guerra non menzionata, da ideologie ancorate al passato, da ragioni geo-politiche che non danno peso alla vita delle persone, danni collaterali dei loro progetti di potere. 

Sì, davanti alla follia omicida di chi usa la guerra come aggressione, che viola ogni regola, in spregio al buon senso e, in questo caso, di una (presunta) fede condivisa, siamo come pecore condotte al macello. Inutili. Perdenti. Confusi.

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Non siamo soli, però.

Un altro condotto al macello, che abbiamo celebrato solennemente durante la Settimana Santa, ora si erge vittorioso. E questa certezza è il nostro orizzonte: non abbiamo paura, il Signore ha vinto il mondo (Gv 16,33).

Con l’amore, col dono di sé. E questo possiamo fare, ostinatamente, condividendo quella pace del cuore che ci dona i risorto e che diventa scelta di vita, pensiero, azione.

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Insieme, seguendo il pastore.

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Un pastore guerriero

Tutti abbiamo in mente la splendida immagine del pastore che lascia le novantanove pecore nell’ovile per andare a cercare la pecora che si è persa e, dopo averla trovata, se la carica sulle spalle e la conduce con le altre (Lc 15,4-8). 

Bene, ora resettate quella immagine.

Perché il pastore di Giovanni è fatto di un’altra pasta.

Non è il buon pastore, è il pastore autentico.

È un vero e proprio combattente che difende le pecore dall’assalto dei lupi e dall’ignavia dei mercenari. Molto simile all’eroico adolescente Davide che non aveva paura di cacciare con la sua fionda il leone e l’orso che assalivano il gregge (1Sam 17,34-35).

Una sottolineatura che completa quella di Luca. Gesù è il misericordioso, il compassionevole, rivela il volto tenerissimo di Dio, certo. Ma è anche determinato, disposto a morire per le proprie pecore, come abbiamo avuto modo di celebrare nei giorni della Pasqua di resurrezione.

La fede è per i forti, non per i deboli. È colma di tenerezza, ma anche di pacifica convinzione e determinazione. Necessita di convinzione, di costanza, di fermezza.

Così si presenta il Signore: come un alleato, l’uomo forte che ci difende dalla disperazione, dal caos, dal vittimismo.

E annuncia solennemente come far parte del suo gregge.

Ascoltare la voce

Per far parte del suo gregge occorre anzitutto ascoltare la sua voce con costanza, conoscere e farsi conoscere dal Signore, seguirlo.

In questo tempo pasquale la liturgia pone al centro della nostra riflessione ancora l’accoglienza della Parola, quella Parola capace di scuotere i cuori dei rattristati discepoli di Emmaus, quella Parola che, accolta con l’intelligenza dello Spirito, aiuta a leggere gli eventi della Storia nella logica di Dio.

Parola che va accolta, conosciuta, pregata, vissuta.

Perché quella Parola ci permette di leggere la nostra vita e gli eventi anche conflittuali e incomprensibili che stiamo vivendo, la violenza, il dominio del liberismo disumano, l’indifferenza, nella logica di Dio. 

Ma questa lettura meditata va fatta con costanza, per imparare a riconoscere la voce del Signore e va accolta con autenticità, col desiderio profondo di adeguarsi a quanto dice.

Riportando al centro la meditazione della Parola di Dio e una lettura orante della Scrittura. Come tentiamo di fare da questo pulpito virtuale da molti anni.

La vita eterna

Ascoltare la voce del Signore, seguirne le indicazioni, ci fa prendere coscienza della vita eterna che è in noi. La vita eterna, cioè la vita dell’Eterno, la vita stessa di Dio. 

Il gregge è composto da uomini e donne che hanno scoperto la propria anima, che la custodiscono, che la coltivano.

In questi termini, Dio solo conosce da chi è composto il gregge.

Anche persone che non sentono di appartenere ad una Chiesa, o che vivono apparentemente lontano da essa, possono coltivare la propria interiorità con passione e verità, e sentire, forte e tenace, la presa del Signore.

Seguire Cristo significa, ad un certo punto, fare esperienza della radicalità espressa dal Maestro, un’affermazione piena di impegno: nessuno ci può rapire dalla sua mano.

Non gli altri con i loro giudizi. 

Non la violenza di tutti i terroristi del mondo. 

Non la delusione delle nostre vite. 

Nemmeno i nostri sbagli e i nostri peccati.

L’amore di Dio è più forte di ogni cosa. Nulla ci separerà da lui (Rm 8).

Ci siamo scoperti amati, abbiamo scelto di amare. Sappiamo in chi trovare forza e amore.

Per conoscere il Padre

Seguiamo Cristo, il pastore autentico, forte, ci fidiamo di Lui, ci facciamo condurre.

Da lui, non da altri. Da lui, non da altro.

Non dai nostri appetiti, non dalle mode, non dalle paure, non dai sensi di colpa, non dalla visione sbagliata di noi stessi, non dai limiti, non dalle ombre.

Da lui. E farlo ci conduce alla conoscenza piena di Dio.

Perché solo Cristo conosce Dio in pienezza.

Noi non crediamo in Dio, ma nel Dio di Gesù Cristo.

Qualche anno fa gli amici aquilani mi hanno portato a vedere la splendida chiesa di Bominaco. 

A lato del pulpito, il lato che guarda il celebrante, un anonimo scultore medievale ha rappresentato una pecora aggredita da un lupo. E un cane che azzanna il lupo.

Come a dire ai pastori: fate il vostro lavoro. Oggi, purtroppo, abbiamo visto cani azzannare le pecore, non i lupi.

E in questa domenica la Chiesa ci invita a pregare per i nostri preti e molti accolgano la chiamata a mettersi a servizio delle comunità, soprattutto in questi tempi fragili (e non servono uomini forti ma uomini anche fragili che conoscono l’Uomo forte, il Cristo).

Allora bisogna essere molto molto chiari: l’unico pastore, nella Chiesa, è Cristo.

E tutte le pecore lo seguono, anche coloro che hanno nella Chiesa dei ministeri, cioè un servizio per l’utilità comune. 

E al vostro prete non chiedete di essere un super-uomo, un iper-coerente, ma un discepolo, anzitutto. Perché anch’egli possa dire: “Fatevi miei imitatori come io lo sono di Cristo” (1Cor 11,1).

Di questo abbiamo bisogno, ora più che mai: di preti che siano prima seguaci di Cristo.

Cristiani con noi. Preti per noi.

Per dire al mondo che siamo amati.

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