Paolo Curtaz – Commento al Vangelo di domenica 5 Febbraio 2023

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E se

Non abbiamo incontrato il Signore per tenerlo chiuso dentro ad un cassetto.

Non siamo diventati discepoli per accamparci dentro una sacrestia o all’ombra del campanile, armati e vittime del nemici della Chiesa.

Abbiamo incontrato il fuoco del Vangelo per bruciare.

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Abbiamo lasciato le reti che ci legavano per diventare pescatori di umanità.

Abbiamo visto, fra la folla che ingombra le nostre giornate, quel neonato luce per le Nazioni.

Per raccontare ciò che abbiamo visto e udito, a volte anche con le parole.

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Per dire di Dio. Per contagiare con la luce.

Non per illuminare, non scherziamo, nessuno converte nessuno. Ma per vivere da illuminati.

Per essere sale che dona sapore alla vita.

Per essere un lume acceso che inonda di luce la stanza.

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Beati

Il Vangelo che abbiamo letto oggi conclude la pagina più folle e magnifica del vangelo di Matteo.

Quella in cui Gesù, come un nuovo Mosè, parla delle Beatitudini che portano a pienezza le Dieci parole date ad Israele sull’Oreb.

Il segreto per vivere una vita felice. Quanto la desideriamo! E quanto inutilmente la cerchiamo nelle direzioni sbagliate!

Gesù è stato chiaro: sei beato, cioè felice, se il tuo cuore è puro, mendicante, giusto, bramoso di pienezza, disposto a lottare anche se perseguitato, capace di superare il pianto e il dolore.

Sei beato perché ti scopri amato.

Beato perché hai scoperto di non essere frutto del caso, ma hai scoperto di essere amato.

Esattamente come sei. E se ti scopri amato a prescindere, senza meriti, senza qualità, senza condizioni, diventi ciò che non pensavi di poter essere.

Capace di amare. Sono beato, sì. Sono felice, certo. ho scelto di amare , ogni santo giorno, e la mia vita si è illuminata, accesa, incendiata, anche se nessuno se ne accorge, anche se sono sempre io, infarcito di limiti e difetti. 

Non perché sono giunto a destinazione. Ma perché, ne sono certo, sto camminando nella giusta direzione, quella della compassione. Quella della misericordia. Quella dell’abbraccio di Dio.

Guaritori feriti

So già cosa molti di voi hanno pensato.

Non sono capace, non sono in grado, non posso farcela. 

Troppe ferite, troppi limiti, troppi difetti, troppa paura, troppa poca fede. 

No, non è così. il discepolo sempre e per sempre resta ferito, sempre e per sempre deve combattere contro le sue paure, le sue ombre. Ma, paradossalmente, siamo scelti esattamente perché feriti.

Diventiamo dei guaritori feriti, peccatori perdonati, non brilliamo di luce propria, non scherziamo, non siamo diversi o migliori. Siamo stati accesi.

Come scrive Paolo ai Corinzi: io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso. 

Non dobbiamo convincere, ma essere. 

Non dobbiamo vendere un prodotto, ma accogliere e vivere una novità di vita. 

Non dobbiamo far luce, ma restare accesi attingendo alla fiamma viva della Parola. 

Non portiamo noi stessi ma un Dio donato. 

Guaritori feriti che sanno riconoscere il dolore di chi incontriamo, compatirlo, e orientarlo verso la guarigione profonda operata dal Maestro. Peccatori perdonati, proprio per avere conosciuto la tenebra e l’ombra, sanno incoraggiare i peccatori, senza giudicarli e senza ingannarli.

Come?

La candela non sa di far luce, è accesa.

Brucia. E si consuma.

Isaia ci indica il percorso, il modo concreto di restare sale, di brillare della luce di Dio.

Vivere nella giustizia, anzitutto. Senza compromessi, senza pigrizia, senza cedimenti. 

Coerenti senza diventare fanatici, misericordiosi, non intransigenti. Ed evitare di giudicare e di vivere schiavi del giudizio altrui. Purificare il linguaggio sempre più violento, anche fra cristiani bramosi di dividersi in (assurde e incomprensibili) partigianerie. Aprire il cuore alla compassione verso chi ha fame (di pane, di attenzione, di giustizia), saziare chi è afflitto nel cuore dedicandogli tempo e ascolto. 

Tutte cose che Cristo per primo ha vissuto. E che possiamo vivere nella Cafarnao in cui siamo, tirando fuori l’umanità dal nostro cuore e dalle persone che incontriamo. E che possiamo portare alle tante Zabulon e Neftali esistenziali che incrociamo nel nostro cammino.

È così povero di verità e di umanità questo nostro mondo! 

Così insipido e scuro! Così rassegnato e pieno di rabbia!

Così ripiegato su se stesso e vittimista. Inutilmente autorefernziale!

Persone scontente, sempre, di tutto, che alternano momenti di cupa rassegnazioni a scatti d’ira e di follia!

A tutti possiamo dare sapore, a tutti possiamo indicare una strada, un percorso.

Perché noi per primi lo abbiamo ricevuto.

Allora

Anni fa, alle saline di Margherita di Savoia, ho scoperto una cosa che mi ha destabilizzato: il sale non può perdere il suo sapore.

Sono rimasto spiazzato. Ma allora cosa intende dire il Maestro?

Se hai perso il sapore, è perché non sei mai stato sale.

Che sia questa l’origine della profonda crisi che sembra attraversare la fede delle nostre comunità? Se fosse, semplicemente, questa la ragione di tanta stanchezza, di tante inopportune contrapposizioni, di tanto vittimismo? Se fosse, questa presa di coscienza, questa verità inconfessabile, il punto di partenza per una nuova conversione?

E se, allora, questo magnifico tempo di grazia, non di disgrazia, ci fosse donato per tornare alla sorgente della luce? All’origine del sapore delle nostre vite?

Possiamo essere un enorme e svettante cero pasquale, o un piccolo lumino scaldavivande. Ma se non siamo accesi siamo solo un pezzo di cera.

Seguire Gesù agnello di Dio, accogliere come reale possibilità di vita le beatitudini, accendono il nostro cuore, danno sapore alla vita.

Alla nostra e a quella degli altri.

Così, senza nemmeno saperlo, la luce che ci abita illumina il cuore degli altri. Che rendono gloria a Dio, non a noi, che lodano la luce, non la fiamma o la candela.

E così, tutti, accesi, illuminati, insaporiti, costruiamo il Regno.

Come il sale, ne basta un pizzico per dare sapore.

Come la fiamma, basta una candela per illuminare una grande Cattedrale.

Forza.

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