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Paolo Curtaz – Commento al Vangelo di domenica 31 Marzo 2024

Commento al brano del Vangelo di: Gv 20, 1-9

Voi sapete

Voi sapete.

È irriconoscibile, Pietro. Non è più il pavido discepolo che ha negato di conoscere il Maestro davanti alle serve del sommo sacerdote. Non più l’arrogante e spaccone apostolo che riesce sempre a dire la cosa sbagliata nel momento sbagliato, suscitando grande imbarazzo. Non è più spaventato, nascosto con gli altri dentro alla sala al piano superiore, quella della cena, come se tutti si aggrappassero a quell’ultimo brandello di felicità.

Voi sapete.

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Lo Spirito promesso è arrivato. Lo ha colmato. Lo ha incendiato, scosso, smosso, spinto ad uscire. E ora parla davanti alle persone da cui fuggiva. Insieme a loro ripercorre quegli ultimi mesi, quelle ultime settimane. E annuncia: quel Gesù che avete crocefisso, Dio lo ha resuscitato.

Possiamo allontanare Gesù dalla nostra vita, spegnerne la memoria e la presenza, metterlo ai margini, finanche chiuderlo devotamente in qualche tabernacolo. Poi arriva Dio e lo resuscita. Perché Gesù è vivo, è qui, ora.

Voi sapete.

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Sì: sappiamo. So.

Cadaveri 

Maria di Migdal si reca al sepolcro che è ancora buio.

La città non si è ancora svegliata. E lei non vuole incontrare nessuno. 

Giovanni, diversamente dai sinottici, non ci parla di altre donne presenti, né dell’intenzione di pulire il cadavere del Maestro, sepolto in fretta e furia.

Corre, ora, Maria, va da Pietro.

Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!

Anche per noi è così: fatichiamo a trovare il Signore, ad avere speranza, a guardare oltre questo tempo di violenza e di guerra, di rabbia ee di vittimismo. 

Dove sei, Signore? Dove? Forse anche noi stiamo ancora cercando un crocefisso.

È tempo di cambiare. Tempo di accelerare il nostro passo. Di correre.

Corse 

Corrono anche loro, ora.

Corrono mentre il sole accarezza le bianche pietre di Gerusalemme.

Calpestano i vicoli che cominciano a rianimarsi dopo la grande festa di Pesah.

La paura che li ha spinti a nascondersi come dei topi si è liquefatta.

Lo stupore per quella notizia inattesa li ha spinti a correre. E ancora corrono finché escono dalla porta della città che conduce verso Giaffa. Alla loro destra, lugubre, il calvario con i segni del sangue rappreso dei crocefissi. Atroce vendemmia dell’odio e della violenza.

Arrivano al sepolcro scavato nella roccia, ultimo prezioso dono fatto da Giuseppe di Arimatea.

La pesante pietra che ne bloccava l’accesso, per impedire agli animali selvatici di fare scempio dei cadaveri, è ribaltata.

Si fermano, ora, i due discepoli.

Riprendono fiato.

Guardano senza entrare.

È risorto!

Non è statica la fede, non impaludata, non inchiodata. È una corsa a perdifiato per andare a verificare. Anche ora, proprio ora che tutto sembra più faticoso e difficile.

Per misurare la verità delle parole che altri testimoni ci hanno comunicato.

Una donna, in questo caso. Maria di Migdal, l’apostola degli apostoli.

Quando qualcuno ci racconta di avere incontrato un Dio che gli ha ribaltato la vita si corre.

Eccome se si corre. L’amore mette le ali e fa volare.

Lasciando alle nostre spalle tutte le paure e le incongruenze, i limiti e i peccati.

Ancora non sanno. Ancora non immaginano.

È solo la notizia di un’assenza. Spiegabile in mille, ragionevolissimi modi.

Un furto da parte del Sinedrio. Un furto da parte degli avversari. O qualche discepolo esaltato.

Spiegazioni plausibili. Tutte. Meno una.

La più assurda: Gesù è risorto, come aveva detto.

Non rianimato, risorto. Non come Lazzaro, ma in una nuova dimensione a noi totalmente sconosciuta. È vivo.

Nessun segno

Corrono, e prima arriva il discepolo che Gesù ama, tradizionalmente indentificato con l’evangelista Giovanni. È più giovane, certo, ma è anche un modo delicato per dire che l’amore corre e arriva sempre prima. Che l’amore si fida e crede.

Prima di Pietro, dell’autorità, della Chiesa, del ministero, dell’istituzione.

C’è sempre questo duplice aspetto nella vita di fede: intuizione e istituzione, carisma e magistero, Giovanni e Pietro. Ma è l’amore che precede.

Nessuno si converte al risorto sul ragionamento o grazie al buonsenso.

È anarchico l’amore, creativo, intuisce, arriva subito alla conclusione. Corre.

Ma, è questo è bellissimo, Giovanni si ferma e lascia passare Pietro.

Lo rispetta. Sa che entrambe le dimensioni sono essenziali.

Il carisma brucia, l’esperienza pondera.

L’amore è folle, la prudenza lo incarna.

Segni

Piccoli segni. Il lenzuolo, le bende, il sudario.

Alcuni azzardano una descrizione anomala, come se il lenzuolo si fosse svuotato. Possibile.

Ma sono segni poveri quelli che indicano la verità della resurrezione.

Nessun segno eclatante, porte ribaltate, esplosioni atomiche, luci abbaglianti.

Niente.

Perché la resurrezione è così: spinge a credere. Ma senza obbligare.

Anche noi, se vogliamo, possiamo imitare Giovanni.

Vedere e credere.

Non vedere il risorto, ma i segni della sua assenza.

Nascosta

La nostra vita è nascosta in Cristo, dice magnificamente san Paolo. Perché quella resurrezione ci ga contagiato, ci ha illuminato, ci ha colmato. E cerchiamo le cose del cielo, le cose di Dio, per cambiare quelle sulla terra. Vivendo da risorti perché risorti con Cristo.

Così inizia il nostro cammino di Pasqua. Così, nonostante la paura che attanaglia le nostre vite, lo facciamo fiorire, diventa il luogo dell’innamoramento, non del vagare.

Cinquanta giorni, dieci in più della quaresima!, per convertirci alla gioia.

Per passare dalla visione crocefissa della fede ad una luminosa e gioiosa.

Da una fede dolente e spenta, rassegnata e claudicante, ad una forte e piena di gioia.

Non è evidente e se ne accorgeranno i discepoli.

Ma questa è un’altra storia.

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Gv 20, 1-9 | Paolo Curtaz 18 kb 13 downloads

Domenica di Resurrezione At 10,34.37-43/Col 3,1-4/Gv 20,1-9 …

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