Paolo Curtaz – Commento al Vangelo di domenica 31 Luglio 2022

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Occhio!

Stai attento e stai lontano dalla bramosia, che è il desiderio che non si sazia mai, perché la tua vita non dipende da ciò che possiedi.

No, non è la frase appiccicosa e buonista della predica del solito moralista. Ma è l’esperienza stessa di Gesù. Che oggi aggiungerebbe: stai attento perché la tua felicità non dipende dal giudizio degli altri, dai like, dalla notorietà, dal tuo aspetto. Stai attento perché la tua felicità dipende dallo scoprirti amato, dallo scegliere di amare.

E no, il Vangelo (scomodo) di oggi non è il solito pistolotto vetero-cattolico di chi sputa sulla ricchezza perché, nella Bibbia, la ricchezza è sempre dono di Dio. Ma la povertà è sempre responsabilità del ricco che non usa i suoi beni per aiutare gli altri a vivere con dignità. 

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E no, l’uomo ricco della parabola non viene condannato e nemmeno giudicato, ma ammonito perché si preoccupa di gestire bene la sua ricchezza e i suoi affari (e fa benissimo) ma non investe un briciolo di tempo e di intelligenza per occuparsi della sua anima.

E no, Gesù non ci ha spiegato nel dettaglio come costruire un mondo equo e solidale, di cui la Chiesa (sospiro) dovrebbe (potrebbe) essere profezia. Si rifiuta di entrare nelle beghe dei due fratelli che si scontrano ferocemente per questioni di eredità.

Ecco, così il Vangelo ci scuote dall’afa estiva per aiutarci a vivere al meglio la nostra estate.

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A fare attenzione, a ragionare nella giusta direzione.

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Dì a mio fratello

Ne sa qualcosa il simpatico discepolo che, ovviamente sperando che Gesù gli dia ragione, lo coinvolge per convincere il fratello a dargli la sua parte di eredità. Lo capisco, povero. Ho visto famiglie sbranarsi per questioni di eredità. Togliersi le maschere davanti a qualche migliaia di euro. Allora vince il prepotente, cede il debole e il conciliante. Per questioni nobili e di principio, ovviamente, mica per quei quattro spiccioli.

Ma Gesù non si lascia tirare in ballo. 

Siamo capaci da soli a capire cosa è giusto.

Vabbè.

No, grazie

Gesù declina l’invito a schierarsi.

No, grazie: possiamo benissimo capire da noi cosa è giusto fare.

No, grazie: Dio ci ha creati sufficientemente intelligenti per risolvere ogni questione pratica.

No, grazie: smettiamola di chiedere a Dio di fare ciò che potremmo fare benissimo da soli.

No, grazie: Dio ci tratta da adulti, evitiamo di considerarlo come un preside che ci risolve i guai.

No, grazie: Dio non ci allaccia le scarpe, né ci soffia il naso come con i bambini piccoli, né ci risolve i problemi che riusciamo a risolvere benissimo da noi stessi. 

Il mondo ha una sua armonia, una sua logica, delle leggi che – in ultima analisi – dipendono da Dio, ma che funzionano da sé. 

Dio non si alza al mattino per dare un giro di manovella perché il mondo si metta in moto, lo ha creato pieno di intelligenza e di bellezza, a noi di scoprirne le leggi intrinseche. 

L’atteggiamento della Bibbia, a questo proposito, è adulto e maturo: riconosce in Dio l’origine di ogni cosa, ma lascia all’uomo la capacità di gestire il creato. Non occorre sfogliare la Scrittura per sapere cosa è bene per l’economia, la giustizia, la pace, la solidarietà, è sufficiente ascoltare il nostro cuore, la nostra coscienza illuminata.

Bramosia

Gesù approfitta della domanda per richiamare i due fratelli, e noi, ad una scomoda verità: la bramosia ci domina. Il desiderio di possedere, di controllare, di contenere. Un desiderio senza argine, folle, bulimico.

Possedere denari, oggetti preziosi, cose di cui vantarsi, farsi notare, farsi vedere, suscitare interesse, invidia.

Ma, anche, possedere e controllare persone. Mogli, mariti, figli, genitori. 

La cupidigia rischia di infettare la nostra visione del mondo. Di sprofondarci nell’ansia, nell’insonnia, come fa notare sagacemente il Qoelet, nella preoccupazione.

Meccanismo subdolo, quello del possedere.

Non ho mai incontrato nessuno né mai incontrerò, che mi dicesse esplicitamente di vivere per accumulare. Abbiamo sempre mille giustificazioni: uno standard di vita più elevato, la vecchiaia, gli imprevisti…

E va bene, ci sta. 

Gesù non è un pauperista, non ce l’ha con i ricchi, non è invidioso.

Ci ammonisce: attento, discepolo, la ricchezza promette ciò che non può mantenere. La felicità.

Dio solo colma il nostro cuore. Dio solo.

Gesù, paradossalmente, è molto libero a tal proposito: non dice che la ricchezza è una cosa sporca. 

Dice solo che è pericolosa. Perché il nostro cuore è forgiato per l’infinito e solo l’infinito, infine, può soddisfarlo.

Svegliamoci, amici.

Il povero ricco

Guardate al pover’uomo della parabola: un gran lavoratore, non ci viene descritto come un disonesto, né come un avido, anzi, fa tenerezza la sua preoccupazione di far fruttare bene i suoi guadagni per poi goderseli in pace… La sua morte non è una punizione, ma un evento possibile, sempre nell’ordine delle autonomie delle cose di cui sopra. 

Chissà: forse troppo stress, troppo lavoro, troppe sigarette sono all’origine della sua morte improvvisa, non certo l’azione di Dio. 

Gesù ci ammonisce: la ricchezza ci illude che possedere servirà a colmare il nostro cuore. 

Come leggiamo nell’acida riflessione del Qoelet, anche noi constatiamo come sia inutile affannarsi ad accumulare ricchezze di cui altri godranno. Accogliendo l’invito di Paolo, se davvero abbiamo incontrato Cristo, l’ordine delle nostre priorità è cambiato nel profondo.

La Parola di propone un grande esame di coscienza collettivo, senza farci inutili sensi di colpa, proponendoci essenzialità nel gestire le cose della terra, assoluta correttezza per chi, nelle comunità, deve gestire il denaro a servizio dell’annuncio del Regno. 

Andiamo all’essenziale, come il Signore ci chiede, lasciamo che siano le cose importanti a guidare la nostra vita, le nostre scelte. 

Non di soldi, ma di ben altre ricchezze ha bisogno il nostro cuore, di beni immensi, di tesori infiniti. Della tenerezza di Dio.

Dello scoprirci agapetoi, amati dal Signore, e resi capaci di amare.

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