Umiltà
Si urla, sempre. Sempre più spesso, sempre più forte.
E, finalmente, senza remore, senza vergogna, senza ipocriti perbenismi.
Diciamolo, infine, sveliamo il segreto di pulcinella: l’uomo è fogna putrida.
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Inutile giocare a fare i democratici, i tolleranti, i dialoganti.
Ovunque, nel mondo, cresce la voglia della prova di forza, fra i potenti, fra le nazioni. Altro che dialogo, altro che mondo pacificato, altro che giustizia e sostenibilità. Ma non scherziamo.
Viva l’uomo forte, le parole forti, le scelte forti.
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Viva l’opinione urlata, le scelte nette, le frasi assertive.
Poco importa se la realtà è complessa e va accolta e capita per poter essere cambiata: chi c’è c’è e pazienza per gli altri.
È una giungla, il mondo, impone una lotta senza quartiere.
Per essere visibili, per essere notati, o anche solo per sopravvivere.
O forse facciamo parte dell’altra parte, di quella che vorrebbe e non potrebbe.
Di quella, direbbe il filosofo Niestche, che non potendo essere dalla parte dei vittoriosi esalta i perdenti, dicendo beati i poveri.
Ma vorremmo, o sì se vorremmo, essere visibili. Ci sfiniamo di selfie, siamo inquieti se non abbiamo sufficienti like, seguiamo i vari influencer pensando che siano loro i nuovi modelli.
Uno su mille ce la fa, d’accordo. E gli altri novecentonovantanove?
E su questo minestrone che ribolle, su questi tempi infangati e rissosi, irrompe una Parola sussurrata.
Un Parola capace di orientare. Di svelare. Di far capire. Di illuminare.
Di chi dice che non esiste una classifica, se tutti sono unici.
E che rivela che siamo figli del gran Re, tutti, ognuno, ciascuno.
Emergere
Non cerchiamo salvezza, ma salvatori, dicevamo nelle scorse domeniche.
Qualcuno che risolva al posto nostro, senza farci fare troppa fatica, se possibile.
Gesù osserva la realtà, molto simile alla nostra.
Vede come, durante un banchetto ufficiale, alla presenza di persone importanti, molti si sgomitino per accedere ai primi posti, per avvicinarsi alla star, vera o presunta, della festa. E, pieno di buon senso, ammonisce: attento a non fare figure meschine.
Atteggiamento che portiamo incistato nel cuore.
La voglia di emergere, di apparire, di contare.
Nel mondo e nella Chiesa, sia chiaro.
Che porta in sé una fragilità sconcertante: far dipendere dagli altri il valore di ciò che siamo.
Appesi
Troppe volte siamo appesi dal giudizio che gli altri danno delle nostre azioni.
Dipendiamo dal giudizio: sarò capace? Avrò fatto bene?
Ci sforziamo di essere come gli altri si aspettano che siamo. Bravi genitori, bravi figli, bravi preti.
Speriamo, prima o poi, di ricevere un diplomino colorato e timbrato che attesti la nostra bravura.
E se questo non accade sprofondiamo nella depressione o facciamo una scenata terribile per non avere visto riconosciuti i nostri sforzi, dopo tutto quello che ho fatto per te!
Mendichiamo un apprezzamento, elemosiniamo un buffetto.
Perché fondiamo la nostra autostima fuori da noi.
Siamo dei capolavori. Dio ci ha creati tali. Pezzi unici.
Inutile pensare di essere delle fotocopie.
Volgiamo lo sguardo all’Unico che sa davvero chi siamo.
E cosa possiamo diventare.
Vai a te stesso
Gesù ci rivela un mondo altro: non hai bisogno di mostrarti, di apparire, tu vali.
L’autostima che nasce nel tuo cuore non è misurata dalle tue abilità, no, ma dal fatto che sei pensato, voluto e amato dal tuo Dio. Anche se non vinci nessuna medaglia. Anche se la tua vita è fatta di piccoli passi.
Ti sei agapetoi, amato. Non dubitarne.
Tu vali, questo è il messaggio della Scrittura: sei prezioso agli occhi di Dio.
Non importa il tuo limite, né la misura della tua paura.
Non importa cosa gli altri pensino di te: tu vali, sei prezioso agli occhi di Dio. Perciò non hai necessità di ostentare, di cercare ossessivamente una visibilità che il mondo ti nega o riserva a pochissimi eletti.
Tu vali, anche se non vincerai mai nessuna medaglia d’oro e la tua piccola vita si perderà nei ricordi di una generazione.
Tu vali, non svendere la tua dignità, coltiva il dentro e se coltivi il fuori, e coltivalo, che sia sempre e solo trasparenza del dentro.
I tuoi limiti? Un recinto che delimita lo spazio in cui realizzarti.
I tuoi peccati? Esperienza della finitudine e della libertà ancora da purificare, da accogliere da adulto e da mettere nelle mani di Dio.
Non hai bisogno di metterti ai primi posti: solo Dio conosce il tuo cuore, lo conosce più di quanto tu lo conosca, non lasciarti travolgere dai falsi profeti del nostro tempo.
E, nel cuore di Dio, sei già al primo posto. Insieme a tutti gli altri, perché l’amore non si divide, si moltiplica all’infinito.
Siamo chiamati
Il mio nome è scritto nei cieli, cioè nel cuore di Dio. mi sono accostato all’assemblea dei santi, fratelli e sorelle che, come me, sono stati toccati dalla presenza del Mistero.
Non ho bisogno di urlare se non di gridare con la vita quanto siamo amati. E vivere da salvato. No, non urlo, non litigo, non penso di essere più furbo o migliore.
Sono creta nelle mani del vasaio.
Ecco da dove nasce l’umiltà.
Termine che deriva dall’humus, la terra, che diventa feconda.
Una concretezza che dona vita, questa è l’umiltà.
Che non è la depressione di noi cattolici, ma l’esperienza gioiosa e feconda di ciò che possiamo realisticamente essere. Sappiamo di essere preziosi agli occhi di Dio. Abbiamo conosciuto la nostra ombra ma, infinitamente di più, la luce della sua presenza.
Quella vogliamo raccontare e vivere.
Perché sperimentiamo di essere amati in totalità, e questo amore ci spinge a superare ogni ostacolo.
Davvero vi interessano ancora i primi posti?
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