Paolo Curtaz – Commento al Vangelo di domenica 27 Novembre 2022

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Siamo attesi

Arriva il diluvio, e facciamo finta di niente.

Oppure è già arrivato, l’acqua ci arriva alle ginocchia, e speriamo che smetta di piovere.

O saliamo su un gradino o chiudiamo gli occhi, parlando d’altro.

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Arriva il diluvio e pensiamo di non esserne coinvolti, la colpa è degli altri, e poi cosa mai potrei fare? La pandemia, la guerra, il gas, i migranti. Che ansia. 

Meglio trovarsi un rifugio protetto, arrampicarsi su un albero, che so. Sperare che passi.

Arriva il diluvio.

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Diluvio di parole grevi, di rabbia, di contrapposizioni, di sospetti, di ignoranza, di frasi gridate, di disinteresse, di disonestà, di narcisismo. 

Arriva il diluvio.

E possiamo continuare a non vedere, a mangiare e bere, a flirtare, a figliare, come ai tempi di Noè, a scrollare lo schermo per vedere i like, a pensare che il mondo sia quella roba lì che ci arriva dai social.

Guardando con commiserazione qualche esaltato che si costruisce una gigantesca arca per galleggiare e cercare una terra nuova. E immaginare che ci sia qualche interesse nascosto. Qualche affare losco e putrescente.

Arriva il diluvio e possiamo fingere. E scomparire.

Oppure.

Oppure fermarci a riflettere. Oppure alzare lo sguardo. Oppure trovare una soluzione.

Oppure dedicarci qualche tempo per fare spazio, per accogliere una Parola che giunge da lontano e porta lontano. Per accogliere un vagito.

Benvenuti in Avvento.

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Attese

Arriva il Signore.

Non siamo qui a far finta che poi nasce Gesù.

È nato nella Storia, tornerà nella gloria e qui, in mezzo, ci siamo noi.

Ci diamo un tempo per fermarci, per lasciare che la nostra anima ci raggiunga, per smettere di far finta di niente. Ancora una volta. Ancora un Natale.

Per nascere. Per rinascere. Per farlo nascere ancora e ancora questo Cristo, questo Dio, questo atteso.

Questo Dio che chiede ancora di essere accolto nella vita di ciascuno di noi. 

In noi che da tanti anni lo accogliamo e che rischiamo di abituarci allo stupore. Ma anche in chi vi ha rinunciato, travolto dal dolore o dal peccato. In chi crede di credere e ancora non ha incontrato il Dio bellissimo di Gesù. In questa Chiesa talora stanca e spenta, confusa e affannata. In questa Chiesa che si interroga, che si apre allo Spirito, che prende sul serio la missione affidatale.

Sì, abbiamo bisogno di una scrollata. Di una profezia.

Profezie

Arriva la pace.

L’arte della guerra si è fatta precisa e scientifica, Isaia.

E preferiamo forgiare armi, fondendo gli aratri.

E deponiamo le falci, per affilare le lance.

Dopo tanti anni di odio e di guerra, nonostante tutto, nonostante le cataste di cadaveri dell’ultimo secolo, l’uomo non cambia. Le diversità diventano divisione, le opinioni altrui una minaccia, il modo di vedere le cose un ostacolo. L’altro è avversario, nemico, pericolo. Duecentomila morti fra russi e ucraini. Ma ancora in Siria come in Libia, nelle mille guerre dimenticate, nell’agone politico come sugli spalti degli stadi, come, che tristezza sconfinata, fra i cattolici. Diversità non come opportunità ma come sfida e aggressività.

Cosa vede Isaia? Non il futuro, ma interpreta il presente. Accogliere Dio, accogliere questo Dio, il nostro Dio, il Dio di Israele definitivamente manifestatosi in Gesù, vediamo oltre, non dopo. 

Oltre le nostre divisioni, oltre le nostre piccole battaglie, oltre l’evidenza.

È una sfida, certo. 

Ma come ricorda Paolo ai Romani: la notte è avanzata, indossiamo le armi della luce.

Più è buio, più splendo della luce del Vangelo. Più è notte, più splendono le stelle.

Uno preso, uno lasciato

Arriva Dio.

L’Avvento ci viene donato per alzare lo sguardo. Per costruire l’Arca. Per indossare Cristo.

Gesù viene, continuamente, nelle nostre vite.

Nella quotidianità del lavoro, della donna che macina, dell’uomo che lavora nei campi.

Viene furtivamente, il Signore e ci avverte: uno è preso, l’altro lasciato. 

Uno incontra Dio, l’altro no. 

Uno è riempito, l’altro non si fa trovare.

E leggendo questa pagina, che non capiamo, che pensiamo parli di disgrazie e di fine del mondo, gridiamo: speriamo di essere lasciati! 

No, affatto: speriamo di essere presi.

Presi dall’amore. Rapiti dall’amore. Riempiti.

Dio è discreto, modesto, quasi timido, non impone la sua presenza, come la brezza della sera è la sua venuta. A noi è chiesto di spalancare il cuore, di aprire gli occhi, di lasciar emergere il desiderio.

Viene come un ladro, perché sa che siamo preziosi. 

Sa che dentro la cassaforte del nostro cuore brilla il diamante del desiderio e dell’amore ancora da scoprire, ancora da donare.

Prende, rapisce, svuota. Perché, come ci siamo ripetuti nelle ultime domeniche, solo dalla consapevolezza del nulla scaturisce il desiderio, si innesca la ricerca.

Voglio essere preso, Signore, ancora.

Voglio scoprirmi amato, diventare felice, imparare ad amare. Vieni, ti prego, in me.

Arriva. Ci sei?

Stai sveglio, amico che leggi. Svegliati.

Smettila di fare la vittima. Smettila di proiettare addosso a Dio le tue paranoie, non farti divorare dalla paura, dalle paure.

Viene, davvero, oggi, adesso.

Trovati il modo di esserci. Stai sveglio nella tua anima.

Prega, ama, medita.

Ritagliati uno spazio quotidiano alla preghiera, per meditare la Parola. Magari regalati una domenica pomeriggio per fare un paio d’ore di silenzio e di preghiera, fai una piccola deviazione andando al lavoro, per entrare in una chiesa e salutare Dio che ti aspetta. 

Se vissuti bene, aiutano anche i simboli del Natale cristiano: prepara un presepe, addobba un albero, partecipa alla novena. Fai qualcosa, una piccola cosa, per chiederti se Cristo è nato in te, per non lasciarti travolgere dal diluvio di parole e cose che ognuno vive.

Come dice splendidamente Bonhoeffer: «Nessuno possiede Dio in modo tale da non doverlo più attendere. Eppure non può attendere Dio chi non sapesse che Dio ha già atteso lungamente lui».

Attendiamo: siamo attesi.

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