Paolo Curtaz – Commento al Vangelo di domenica 27 Febbraio 2022

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Saldi e irremovibili

Non ho nessun maestro, non scherziamo.

Sono libero, decido io, ragiono e poi scelgo. 

E poi sono fatto così. 

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E c’è un sacco di gente peggio di me, quindi, insomma, anche se non sono un santo non sono poi così tanto male. Pensa ai delinquenti, ad esempio. O agli stupratori. O ai politici ladri. E i banchieri? 

Giusto, per carità.

Ci mancherebbe altro. Mettersi in discussione non va molto di moda, di questi tempi.

Eppure Gesù insiste, dopo averci regalato qualche provocazione di troppo tipo le beatitudini e la radicalità pacifica del suo messaggio (è la prima volta che aspetto con ansia la Quaresima come se fosse la ricreazione…), oggi ci provoca ulteriormente.

Insiste: tutti seguiamo delle guide, più o meno consciamente.

Le regole che abbiamo interiorizzato da bambini, le buone abitudini, il senso comune.

Ma, sempre di più, seguiamo l’opinione dei social, la pancia, il politico di turno, il guru, il cantante.

Una pletora di maestri e di guide. Anche se non lo ammettiamo.

Ci sta, dice il Signore, l’importante è scegliere la guida giusta. Quella che non ti porta diritta dentro una buca.

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Non seguitemi

Non seguitemi: mi sono perso anch’io, recitava un simpatico adesivo che qualche buontempone piazzava sul paraurti posteriore della propria auto, prima della benedetta invenzione dei navigatori.

A volte faccio così: mi fido di qualcuno di simpatico, di realizzato, di assertivo. 

Perché, siamo onesti, la vita è un po’ una fregatura visto che nasciamo e non ci danno le istruzioni per l’uso.

E Gesù si propone come Maestro. Come unico Maestro.

L’unico che sa dove condurci; nella pienezza di noi stessi alla luce di Dio. In un percorso faticoso, certo, ma che ci porta verso la vittoria su tutto ciò che ci conduce alla morte, come annota magnificamente san Paolo.

E sì, io mi fido. Provo a seguirlo.

Il problema, però, non è lui. Siamo noi.

Quando pensiamo di diventare maestri degli altri. Quando ci sentiamo migliori, o almeno non peggiori. Quanto, novelli giustizieri, vediamo sempre il male dietro le parole e le azioni degli altri. E tutto sprofonda in un fetido sparlare, giudicare, criticare. Anche fra credenti, anche fra discepoli.

Ahia.

Pagliuzze e travi

No, amici, Gesù non sta parlando solo dei farisei che si sentivano i primi della classe. E nemmeno degli scribi, quelli che, avendo studiato, un po’ maestrini si sentivano. E nemmeno dei sadducei, conservatori e tradizionalisti che non amavano certo le novità. E nemmeno dei focosi esseni.

Luca riprende questa parola del Maestro per scuotere la sua comunità.

Perché accade, inutile nasconderci dietro un dito.

Appena abbiamo fatto un tratto di strada, o abbiamo messo un carisma a disposizione degli altri, o veniamo investiti di un ministero, ecco che, magicamente, diventiamo tutti maestri.

Ci sta, nella comunità funziona che alcuni ricevono doni per l’utilità comune, li chiamiamo ministeri..

Il problema è quando diventiamo giudici degli altri, scordandoci i travi che ci impediscono di vedere chiaramente.

Il problema è quando ci sostituiamo al Maestro. E confondiamo le nostre idee con le sue Parole.

E pensiamo di possedere la Verità.

Gesù non ha detto io posseggo la verità, ma io sono la verità.

Il nostro è il tempo della accuse acide rivolte a tutti, di moralisti rabbiosi che appena uno fa notare qualcosa replicano ma allora tu? Di complotti mondiali.

Ci sta, abbiamo cancellato la morale, non resta che il moralismo.

Ma questa è una logica mondana: non può contaminare la Chiesa. Non deve.

E quello che abbiamo visto (e vediamo) in questo tempi difficili e che tanto ci scandalizza non è forse la logica del mondo, della contrapposizione, della partigianeria che ha infettato la comunità in tutta la sua ampiezza?

Ma allora?

Dobbiamo rassegnarci a tacere, allora?

Per non correre il rischio di giudicare male, dobbiamo evitare di giudicare, permettendo alla tenebra di intorbidire ogni cosa?

No, certo. Gesù stesso ci offre un criterio: giudichiamo noi e gli altri dai frutti che l’albero della nostra vita produce, assumendo lo stesso sguardo benevolo (non bonaccione o buonista) di Dio.

Se il nostro cuore è buono, e Dio così lo ha creato, possiamo trarre da esso parole che costruiscono, azioni che incoraggiano, gesti che donano speranza. 

Come causticamente annota Ben Sirach nella prima lettura, la parola rivela i pensieri del cuore.

E se i nostri pensieri sono cupi, giudicanti, aspri, negativi, le nostre parole li rivelano.

Si fa fatica, tanta, si. Pecore in un mondo di lupi. 

Ma la nostra fatica non è vana, scrive Paolo, restiamo saldi e irremovibili nella scelta di amare sempre e ovunque.

Animo, allora.

Preferisco una Parola come quella di oggi, che mi infastidisce e mi scuote, a chi accarezza sempre nel verso del pelo. Anche perché a pronunciarla non è uno qualunque.

È il Maestro di cui mi fido.

E dal suo cuore sovrabbonda ogni grazia e ogni tenerezza.

Anche se a volte destabilizza.

Bene.

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