In Dio siamo
È l’ora.
Ora di prendere in mano la nostra vita. Ora di metterci allo specchio. Ora di lasciarci guardare. Non dallo sguardo impietoso e giudicante degli altri, ma da quello sincero e amabile di Dio.
Ora di chiederci chi siamo veramente.
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Non chi pensiamo di essere o come gli altri ci vedono.
Ma come siamo sul serio, senza esaltarci e senza abbatterci.
E, in questo frangente le altre persone che amano ci aiutano, si svelano a noi stessi.
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Non quelle che si avvicinano a noi e ci identificano in un ruolo.
Non quelle che, drogate di invidia o di malizia, vedono sempre e solo il male negli altri.
Ma, piuttosto, quelle che frequentiamo, che amiamo, che ci amano. E che, spesso, si fanno un’idea di noi più convincente e precisa di quanto noi stessi riusciamo a fare.
Così è accaduto anche per Gesù, che si scopre Cristo.
E per Simone, che si scopre roccia.
Cesarea di Filippo
Rieccola, questa pagina così densa, caustica, vera, stordente.
Sono passati due anni da quando il Maestro li ha radunati sulle rive del lago. Lo hanno seguito, accolto, ascoltato, interrogato.
Ora Gesù chiede loro di scoprire le carte.
Di dire cosa pensano veramente di lui.
Di non giocare a fare i devoti, ma di aprire il proprio cuore alla verità.
Per passare dal si dice al ti dico.
E lo chiede anche a noi.
A proposito di Gesù
Non è sorprendente? Non è incredibile che si parli ancora di un ebreo marginale vissuto duemila anni fa? Che milioni di uomini e donne, ogni settimana, si radunino (più o meno, sempre meno) per ascoltare le sue parole? E che altri, addirittura, giungano a morire nel suo nome?
Diamo per scontato che Gesù faccia parte del nostro orizzonte. Che ci sia. Che esista il cristianesimo. Che faccia parte del paesaggio immutabile delle cose.
Ma non è così. Non è detto che la sua presenza permanga per sempre.
Cosa dice la gente di me? chiede il Signore.
Ancora si parla di Gesù, nonostante tutto.
Si spettegola.
E ciò che si dice di lui, a grandi linee, è ciò che riportano gli apostoli.
È un grande uomo, un profeta, un innovatore, un idealista…
Salvo rare eccezioni di Gesù ci si ostina a parlare bene, a difenderlo.
Ad amarlo. Anche chi non si professa suo discepolo.
Per la sua vita, la sua coerenza, la sua forza interiore, la sua spiritualità.
Poi, certo, i cristiani sono un altro paio di maniche. Scucite.
Oltre
Siamo cristiani, presumo. O vorremmo esserlo. O siamo cercatori di Dio.
Comunque sia, frequentiamo quel rabbì. Lo ascoltiamo. Lo seguiamo.
E, ad un certo punto, se abbiamo il coraggio di lasciarci interrogare, proprio il Signore ci chiede di cambiare livello, di osare, di metterci in gioco.
Non importa cosa gli altri dicono di lui.
A lui importa cosa ne penso io. Proprio io.
Possiamo vivere tutta la vita frequentando messe e sgranando rosari. Senza mai lasciarci scuotere, smuovere, interrogare.
Perché altro è dire di essere credenti, altro credere.
Altro argomentare di donne e di uomini, di affetti e conquiste. Altro innamorarsi.
Chi è per me Gesù? Oggi, ora. Qui.
State attenti a non rispondere in fretta. Regalatevi dieci minuti seri.
Fatevi raggiungere.
Cortesie
«Chi sono io, per te?».
Simone il pescatore osa, si schiera.
Gesù è uomo pieno di fascino e di mistero.
Di più. È un profeta.
Di più. È il Messia.
Facile dirlo, per noi, che sappiamo come è andata a finire la storia. Ma per chi stava lì con lui, con il falegname di Nazareth, è un’affermazione sconcertante. Gesù non era un uomo di cultura, e neppure religioso. E non era neanche tanto devoto, permettendosi di interpretare liberamente la Legge (riportandola all’essenziale, in verità).
Per Simone, dire che Gesù è il Cristo è un salto mortale.
E Gesù gli restituisce il favore.
Simone dice a Gesù: “Tu sei il Cristo”, che significa: “Tu sei il Messia che aspettavamo”, una professione di fede bella e buona e, decisamente, ardita.
Pietro, riconoscendo nel falegname l’inviato di Dio, fa un salto di qualità determinante nella sua storia, un riconoscimento che gli cambierà la vita.
Gesù gli risponde: “Tu sei Pietro”.
Simone non sa di essere Pietro. Sa di essere cocciuto e irruente. Ma, riconoscendo in Gesù il Cristo, scopre il suo nuovo volto, una dimensione a lui sconosciuta, che lo porterà a garantire la saldezza della fede dei suoi fratelli.
Pietro rivela che Gesù è il Cristo, Gesù rivela a Simone che egli è Pietro. Scambio di cortesie.
Quando ci avviciniamo al mistero di Dio, scopriamo il nostro volto; quando ci accostiamo alla Verità di Dio riceviamo in contraccambio la verità su noi stessi.
Confessare l’identità di Cristo ci restituisce la nostra profonda identità
Il Dio di Gesù non è un concorrente alla mia umanità.
Se volete scoprire chi siete veramente, specchiatevi nello sguardo di Dio.
Uno sguardo amabile, amorevole, amante.
E se fosse questa la chiave di svolta della nostra vita?
Smetterla di inseguire i nostri sogni, di fuggire dai nostri incubi, per scoprire che in Dio, siamo?
Stranezze
Marco, evangelista discepolo di Pietro, non parla della famosa frase sull’incarico affidato a Pietro.
Matteo sì. E anche Luca che, pure, è discepolo del “concorrente” Paolo. E pure i discepoli di Giovanni che aggiungono un capitolo al vangelo per rimarcare l’importanza di Pietro.
Che ha un compito: essere segno di unità della Chiesa multiforme. E custodire il deposito della fede. Questo deve fare un Papa, non piacermi o dispiacermi. Garantire che quanto vi sto scrivendo ha a che fare con la fede dei primi discepoli.
Siamo chiamati a spalancare, ad aprire i cuori alla verità di Dio, a condurre i cercatori alla pienezza. Non siamo la dogana di Dio ma le guide verso la luce che abbiamo ricevuto.
Così scopriamo chi siamo: dei portatori di gioia.
Perché amati, amanti.
Mt 16, 13-20 | Paolo Curtaz 17 kB 8 downloads
Ventunesima domenica durante l’anno Is 22,19-23/Rm 11,33-36/Mt 16,13-20 …***
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