Diventare discepoli
Gesù, nel vangelo di oggi, letteralmente, indurisce il suo volto.
Ora punta verso Gerusalemme. La Gerusalemme che uccide i profeti.
Sa, e Luca l’evangelista lo rimarca, che a Gerusalemme si giocherà tutto.
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Sa e dice, e restiamo allibiti, di essere disposto a morire pur di non rinnegare il volto del Dio che ha conosciuto e che annuncia.
E noi, ora, qui, se vogliamo, siamo chiamati a dire di Dio. Del suo Dio.
Il Dio innamorato. Il Dio bellissimo.
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Il Dio comunione, il Dio che si fa pane.
Lo Spirito ci conduce a capire, alla verità tutta intera.
Il mondo si sfalda, divorato dall’odio e dalla bramosia, ubriacato dagli idoli, immemore del suo destino e della sua chiamata. La Chiesa, nella sua attuale forma storica, non quella nel cuore di Dio, fatica a trovare nuovo slancio.
A noi, discepoli inviati, noi che ci siamo scoperti amati, agapetoi, è chiesto di restare come pioli conficcati nel terreno, incendiati come una torcia, per costruire – infine – quelle comunità profezia di un mondo nuovo, di un’umanità riconciliata, che cambia il precipitare degli eventi. Non più verso il caos ma verso l’abbraccio di Dio.
È tempo di rinnovamento. Di passione. Di amare.
Il mondo ha bisogno di testimoni, non di devoti abitudinari.
È Gesù che ce lo chiede.
Il desiderio del Maestro
Gesù non è un rabbì bramoso di discepoli, né abbassa il tiro per raccogliere la folla, né cede a compromessi per suscitare consensi: diversamente dai guru di ieri e di oggi non desidera essere famoso, né di avere attorno a sé folle plaudenti, né essere votato, né avere tanti like sul profilo, né comandare.
È libero, vertiginosamente libero.
Intensamente libero.
Egli vuole solo annunciare il Regno, mostrare lo splendido e inatteso volto del Padre. Anche quando farlo costa fatica e sangue. Contrariamente a quanto avveniva con i rabbini del suo tempo, Gesù non si fa scegliere, ma sceglie i discepoli e pone loro condizioni tutt’altro che scontate…
Graffia, come ci riporta il vangelo di oggi.
Le condizioni per diventare discepoli di Gesù sono motivate dal livello della sfida: egli vuole discepoli disposti a mettersi in gioco totalmente, non soltanto nel momento mistico della vita.
Gesù è disposto a morire per raccontare il vero volto di Dio.
Dai suoi discepoli pretende la stessa convinzione.
Attenti ai mistici
Una convinzione, però, che non può mai diventare violenza, anche solo verbale, anche per una buona causa. La sconfortante figuraccia di Giovanni, il mistico, ammonisce i fratelli che, nel percorso di fede, hanno avuto la gioia di sperimentare la dolcezza della preghiera e della meditazione, del silenzio e della contemplazione, raggiungendo vette spirituali non abituali.
L’avere ricevuto enormi grazie non ci mette al riparo da clamorosi errori, tanto peggiori quanto motivati da presunte rivelazioni interiori.
Il discepolo è un amante della pace, un pacifista pacificato e pacificatore, uno che sa che la scelta del Vangelo è – appunto – una scelta, uno che sa valutare il fallimento del proprio annuncio nella paziente logica del Vangelo.
Non basta una bella esperienza di fede per avere un cuore convertito, né un’intensa vita di preghiera per non cadere nel rischio del fanatismo e dell’intolleranza.
Quante volte misuriamo la nostra pastorale dai risultati, convinti, in teoria, che ciò che a noi è chiesto è solo di seminare, depressi, in realtà, se non ne raccogliamo i frutti.
Quante volte, anche noi, invochiamo serene disgrazie su questo mondo che rifiuta il vangelo (o, piuttosto, rifiuta il nostro modo di annunciarlo?). Dio non sa che farsene di discepoli (santamente) vendicativi.
I discepoli
Il discepolo che segue colui che non ha dove posare il capo, non cerca Dio per placare la propria insicurezza. Tanti, troppi cristiani, hanno un rapporto con Dio intimista e rassicurante, si rivolgono a Dio per avere certezze, fanno della propria fede una cuccia, un nido, sono spaventati dal “mondo”, che vedono sempre come un luogo pieno di pericoli, non escono dalla propria parrocchia, dal proprio movimento, perché intimoriti da una logica anti-evangelica che non riescono ad accogliere con serenità e criticità. Il Maestro Gesù, invece, non ha dove posare il capo, non ha un comodo nido in cui nascondere i propri discepoli.
Il discepolo che segue il Signore della vita, colui che è più di ogni affetto, più di ogni relazione, più di ogni emozione, chiede di ridimensionare anche i rapporti famigliari, di appartenenza al clan, nella logica del Vangelo, sapendo che anche l’amore più assoluto, più intenso è sempre e solo penultimo rispetto alla totalità assoluta di Dio. Di scoprire che ogni realtà, affatto, passione, è realtà penultima perché di ultimo c’è solo Dio.
Perciò il discepolo di Gesù abbandona i sentimenti mortiferi, le relazioni all’apparenza splendide ma che, a volte, nascondono ambiguità e schiavitù.
Gesù sa che i rapporti di discepolato, talora, sono più intensi e veri degli stanchi rapporti famigliari. E ci invita a lasciare i morti seppellire i morti e a giocare la nostra vita nella totalità del dono di sé.
Il discepolo che segue Gesù, sempre proteso al futuro, non resta inchiodato al proprio passato, non resta tassellato alle proprie abitudini, non si nasconde dietro il “si è sempre fatto così”, guarda avanti, punta la fine del campo, è più attento a tenere in profondità l’aratro che a verificare ciò che ha fatto, voltandosi indietro. Ci si volta indietro per guardare se siamo andati diritti. Per giudicare noi stessi e gli altri. Illusi: la vita è fatta a zig-zag.
Troppe volte le nostre comunità sono più preoccupate a conservare, che a far vivere il Vangelo. Troppe volte la logica soggiacente alle nostre scelte di Chiesa è quella della tutela di un privilegio, del mantenimento disperato di uno status quo che, però ci allontana dal Maestro.
Così
Un po’ urticante, lo ammetto.
Ma vero e autentico. Gesù è così esigente perché vuole uomini e donne autentici, non animali impauriti da sacrestia o evangelizzatori fanatici. Uomini e donne riempiti dalla gioia della ricerca, dal fascino del Rabbì, che mettono le proprie energie a servizio del Regno.
Forse da qui dobbiamo ripartire in questo benedetto sforzo sinodale.
I santi cambieranno la Chiesa. Noi, se santi.
Ecco, essere cristiani è qualcosa del genere.
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