Paolo Curtaz – Commento al Vangelo di domenica 24 Luglio 2022

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Dalle preghiere alla preghiera

Il salto lo facciamo quando scopriamo di avere un’anima. E assecondando la nostra anima impariamo a dialogare con Dio. un Dio sconosciuto, inizialmente, (e ci sembra di essere un po’ scemi a parlare con uno che ancora non sai se esiste), salvo poi scoprire, lentamente, che quel dialogo ci porta altrove, in un mondo sconosciuto.

Ci si avvicina alla fede per sentito dire, poi, passo passo, si fa esperienza del Dio di Gesù e ci si scopre amati e capaci di amare.

Ci si scopre agapetoi, amati.

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È uno sguardo lieve, sottile, libero, puro, quello che scopriamo in noi.

Vieni generato ad una vita nuova.

Tu rimani lo stesso e così la tua vita, ma il tuo cuore e il tuo sguardo cambiano, si fanno profondi, vedi oltre l’orizzonte.

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Oltre il caos, le paure, le angosce, i luoghi comuni. Vedi il disegno nascosto nei secoli.

Quando, finalmente, lasciati perdere i tanti pregiudizi, le cose che crediamo di credere, ci apriamo all’ascolto vero del messaggio evangelico. E, dopo avere seguito il Signore, dopo esserci seduti anche noi ad ascoltare la sua Parola, arriva un tempo in cui chiediamo, come fanno i discepoli: Maestro, insegnaci a pregare.

Non chiedono: insegnaci delle preghiere. 

Quelle le sanno, come noi, brevi formule mandate a memoria. Ma quello che Gesù fa è altro.

Nuovo. Intenso. Vero.

Un vero e proprio incontro.

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Ti prego!

Non siamo capaci a pregare, non scherziamo.

E trattiamo Dio come un potente da convincere. In modo che renda felice la nostra vita, che sganci qualche grazia, infine.

La preghiera, purtroppo, gode fra noi cattolici di pessima fama.

Come una cosa inutile, che deve lasciare spazio, invece, all’azione.

Dietro questa idea ci sono secoli di inviti alla devozione, alla recita di formule nate splendide e morte distratte, di rosari biascicati pensando ad altro.

La preghiera concepita come uno sfinimento per convincere Dio. Uno sfinimento che porta allo sfinimento, nostro e di Dio. Il termine stesso, preghiera, è diventato sinonimo di recita, di cantilena, di insistenza atta a convincere qualcuno delle nostre buone intenzioni.

Ti prego, fammi un favore!

È diventato il ritornello del nostro chiedere, della nostra preghiera quotidiana.

Prima di parlare di preghiera, dobbiamo compiere lo sforzo immane di cancellare tutte queste false idee e di metterci in ascolto.

Ascolta

Come Maria la preghiera è, prima di ogni altra cosa, sedersi ad ascoltare.

Ascoltare qualcuno che si ama, che stima, che si ammira.

Quel Gesù che pregava come mai nessuno aveva pregato, che stupiva e affascinava gli apostoli quando, nel cuore della notte, si alzava per parlare in cuor suo al Padre. Uno stile nuovo, diverso dalla preghiera collettiva, al tempio, in sinagoga. Una preghiera intima che gli apostoli intuiscono essere all’origine della serenità e della forza del Signore, del Maestro.

Perciò gli chiedono di insegnar loro a pregare.

E Gesù lo fa, consegnando loro la preghiera per eccellenza, il Padre Nostro che, nella versione di Luca, è ancora più essenziale. E che già ci dice cosa è preghiera: dialogo con Padre, per chiedere, sì, ma anche per agire, per cambiare atteggiamento di vita.

La preghiera è fiducia

Gesù ci svela il volto del Padre: è a lui che rivolgiamo la preghiera. Non a un despota capriccioso, non a un potente da convincere. Siamo diventati figli, ci ha detto san Paolo, Dio ci tratta come tratta il suo figlio beneamato. Un buon Padre sa di cosa ha bisogno il proprio figlio, non lo lascia penare. Molte delle nostre preghiere restano inascoltate perché sbagliano indirizzo del destinatario: non si rivolgono a un padre ma a un patrigno o a un antipatico tutore a cui chiedere qualcosa che, pensiamo, in realtà ci è dovuto.

Vi confido una cosa che ho scoperto nella mia povera vita: ho chiesto e non mi è stato dato. Allora, in quei momenti, mi sono scoraggiato. Oggi, a distanza di anni, so che ho ottenuto tutto ciò di cui avevo bisogno e che, spesso, non era ciò che chiedevo.

La preghiera è amicizia e costanza

Come quel tale che va a chiedere dei pani nel cuore della notte.

Quando preghiamo ci rivolgiamo ad un amico. E lo facciamo per chiedergli qualcosa per sfamare gli ospiti della nostra vita, non per vincere alla Lotteria.

Amicizia reciproca, come abbiamo letto nella splendida pagina della Genesi: il rapporto con Abramo si è consolidato e Dio decide di parlargli del proprio progetto di abbandonare Sodoma alla propria malvagità. Abramo ha un tuffo nel cuore: a Sodoma abita Lot, suo nipote, e inizia una serrata contrattazione. Alla fine la spunta Abramo: se Dio troverà a Sodoma anche solo dieci giusti salverà l’intera città, ribaltando la teoria della solidarietà per cui tutti pagano per colpa di uno. In questo caso tutti saranno salvati per i meriti di dieci. (Ahimé i dieci giusti non si troveranno).

La preghiera è un colloquio intimo, uno scambio di opinioni, una reciproca intesa.

Non una lista della spesa, non un tentativo di corruzione, non una litania portafortuna.

Concepiamo la preghiera come una serie di formule bene auguranti, ma la preghiera è fatta anzitutto di ascolto, l’ascolto di Dio, e di intercessione, intercessione per il mondo, non per i miei bisogni.

Perché no?

Perché non imparare a pregare?

La preghiera ha bisogno di te, anzitutto: come sei, devoto o ateo, santo o peccatore. Ma un “tu” vero, non finto, non di facciata. La preghiera ha bisogno di un tempo: cinque minuti, per iniziare, il tempo in cui non sei proprio rimbambito o distratto, spegnendo il cellulare e isolandoti. La preghiera ha bisogno di un luogo: la tua camera, la metro, la pausa pranzo. La preghiera ha bisogno di una parola da ascoltare: meglio se il Vangelo del giorno, da leggere con calma e assaporare. La preghiera ha bisogno di una parola da dire: le persone che incontri, le cose che ti angustiano, un “grazie” detto a Dio. La preghiera ha bisogno di una parola da vivere: cosa cambia ora che riprendi la tua attività quotidiana?

Venga lo Spirito promesso dal Signore, amici, lo Spirito che ci permette di vedere con uno sguardo diverso anche le cose che ci sembrano indispensabili alla nostra felicità, capendo, infine, che ciò che riteniamo un ostacolo insuperabile non è poi così importante risolverlo e – forse – non è neppure un ostacolo.

Perché, nella preghiera, scopriremo che nulla ci può impedire di dire con verità: Padre.

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