Vuoto per pieno
Non si può pregare Dio e disprezzare il fratello.
Non ci si può rivolgere a lui e giudicare il peccatore.
Non si può entrare nel tempio ed adorare il proprio ego spirituale.
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Non si può stare al cospetto di Dio e non riconoscerlo e amarlo nel volto del peccatore.
Non si può dirsi discepoli e augurare la morte ai profughi che annegano nel nostro mare Mediterraneo.
Non scherziamo.
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Chissà se troverà ancora la fede quando tornerà, il Signore. Non le devozioni. E le parrocchie. E i movimenti e i gruppi (sani e santi).
Chissà se troverà ancora la fede.
Anche poca, come quella di un granello. Quello che c’è, che vedo, che ammiro, contemplando foreste cresciute negli oceani del nostro mondo inospitale.
Una fede, però, che parte dal riconoscersi peccatori. Mendicanti.
Una fede che si nasconde dietro i meriti. Perché davanti a Dio non esistono meriti.
Solo la gioia di essere trapiantati in Dio, nascosti in Lui.
Tenaci e ostinati cercatori di senso.
Il fariseo e l’ingombro del cuore
I farisei erano devoti alla legge, cercavano di contrastare il generale rilassamento del popolo di Israele, osservando con scrupolo ogni piccolissima direttiva della legge di Dio.
Bella gente, davvero.
Certo, il fariseo ci sembra arrogante ma, in realtà, è solo pieno di zelo. Troppo pieno.
L’elenco che il fariseo fa, di fronte a Dio, è corretto: per zelo il fariseo paga la decima parte dei suoi introiti, non soltanto, come tutti, dello stipendio, ma finanche delle erbe da tisana e delle spezie da cucina! La legge prevede un giorno di digiuno all’anno, ma lui digiuna per due giorni a settimana, anche per coloro che non digiunano.
Ogni buon parroco vorrebbe avere, tra i suoi parrocchiani, almeno un fariseo: il decimo dello stipendio riempirebbe in fretta le casse della Parrocchia!
Ma alla fine nelle sue parole non c’è Dio. C’è solo il suo io.
Ipertrofico. Ingombrante.
È talmente pieno della sua nuova e scintillante identità spirituale, talmente consapevole della sua bravura, talmente riempito del suo ego (quello spirituale, il più difficile da superare), che Dio non sa proprio dove mettersi.
Non ha bisogno di essere salvato, non riconosce la lebbra che lo abita (che abita tutti), ma ostenta davanti a Dio il suo luccicante stato di buona salute spirituale.
Il suo cuore è ingombro.
Il ricco epulone di qualche domenica fa, aveva il cuore ingombro di beni e di lusso.
Il fariseo di oggi è pieno della sua devozione, diventata un piccolo idolo.
Peggio
Peggio: invece di confrontarsi con il progetto (splendido) che Dio ha su di lui (e su ciascuno di noi), si confronta con quel pubblicano, lì in fondo, che non dovrebbe neanche permettersi di entrare in chiesa.
Non sono magari migliore degli altri, ma certamente non peggiore. Cosa sono i miei peccatucci al confronto delle cose orribili che fanno gli altri? Che idiota.
Siamo pezzi unici, come potremmo mai confrontarci con gli altri?
Perché? Eppure gran parte della nostra vita si gioca in questo modo: siamo colmi di giudizio, di invidie, di opinioni. Sempre pronti a confrontarci con chi sta peggio di noi, con chi è peggiore.
Quando l’unica persona con cui confrontarci dovrebbe essere il capolavoro che potremmo diventare.
Se solo ci credessimo.
Non è solo il problema dell’orgoglio. È proprio una complicazione dell’esistere, una vita che non riesce ad uscir fuori dal buco nero in cui si è infilata.
Vuoto
Il pubblicano, invece, di spazio ne ha tanto.
Il denaro che ha guadagnato con disonestà, l’odio dei suoi concittadini (è un collaborazionista!), l’impressione di avere fallito le sue scelte, creano un vuoto dentro di lui, un vuoto che Dio saprà riempire. Consapevole dei suoi limiti, li affida al Signore, chiede con verità e dolore, che Dio lo perdoni. E così accade.
Esiste un modo di vivere e di essere discepoli pieno di arroganza e di ego smisurato, pieno di certezze da sbattere in faccia agli altri (basta vedere il livello dello scontro politico ed ideologico in cui viviamo!) Esiste un modo di vivere e di essere discepoli colmo di ricerca e di umiltà, di voglia di ascoltare e di capire, di continuare a cercare, pur avendo già trovato il Signore.
Il desiderio di Lazzaro, la sola cosa che possiede, lo spinge nelle braccia di Abramo. Il ricco, invece, ricordate?, ha il cuore ingombro, pieno di preoccupazioni, è imperatore e signore del suo tempo, delle sue cose. Solo un’assenza produce il bisogno di cercare. Solo il desiderio ci spinge.
E il pubblicano desidera.
Paradossale: il grande peccatore, lo è sul serio!, sopravanza il fariseo. La consapevolezza del peccato e del limite può essere il trampolino che ci spalanca l’universo di Dio.
Suggerimenti da pubblicano
Se non riesco a ritagliare nella mia giornata un quarto d’ora di assoluto relax, di vuoto mentale, magari dopo una bella corsetta, o una passeggiata nel parco, se non faccio silenzio intorno (spengo la tivù, stacco il cellulare), se non prevedo, almeno d’ogni tanto, una pausa di una giornata non passata, al solito, in coda in autostrada per andare a riposare farò fatica a trovare un luogo in cui Dio sta.
Lo so, coppie che leggete, oggi resistere costa fatica: la giornata è stracolma di impegni indispensabili per sopravvivere e i figli piccoli complicano ulteriormente le cose.
Non abbiamo spazio per l’interiorità, questo è il problema.
Il Vangelo di oggi ci ammonisce a lasciare un po’ di spazio al Signore, a non presumere, a non pretendere, a non passare il tempo a elencare le nostre virtù.
Siamo tutti nudi di fronte a Dio, tutti mendicanti, tutti peccatori.
Ci è impossibile giudicare, se non a partire dal limite, se non dall’ultimo posto che il Figlio di Dio ha voluto abitare.
Ancora una volta, il Signore chiede a ciascuno di noi l’autenticità, la capacità di presentarci di fronte a lui senza ruoli, senza maschere, senza paranoie.
Dio non ha bisogno di bravi ragazzi che si presentano da lui per avere una pacca consolatoria sulle spalle, ma di figli che amano stare col padre, nell’assoluta e (a volte) drammatica autenticità.
Questa è la condizione per ottenere, come il pubblicano, la conversione del cuore.
Per scoprirsi amati, a prescindere.
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