Paolo Curtaz – Commento al Vangelo di domenica 2 Aprile 2023

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Per Crucem

Per questo siamo arrivati sin qui.

Per questo abbiamo seguito il Nazareno nel deserto, e sul Tabor. Per questo ci siamo identificati nella sete della samaritana, nella cecità del mendicante di Siloe, nell’angoscia profonda delle sorelle Marta e Maria per la morte di Lazzaro.

Per questo. Per essere qui, un po’ defilati, un po’ affannati. Come siamo sempre nella nostra caotica vita.

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Affanno cui ha cercato di porre un argine questo tempo di verità e di essenzialità.

Ci mischiamo fra la folla, lo vediamo scendere da Betfage, in mezzo agli ulivi, attraversa il torrente Cedron. Cavalca un piccolo ciuchino, che ha chiesto di slegare per condurlo a lui. Slega anche me, Signore, usami, se hai bisogno, sono solo un povero asino che tu rendi un destriero. Slegami da ogni legame di morte e di tenebra che mi impedisce di scoprirmi amato.

Ecco che scende per la ripida mulattiera, seguito e preceduto dai bambini che ridono e corrono come dei matti. Qualche adulto prende dei rami d’ulivo e li agita davanti a lui.

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Osanna! Grida qualcuno.

Osanna! Rispondo altri. Sorridono i discepoli. Sorride, il Maestro.

Non ci sono i sommi sacerdoti, né i farisei. Nessuno scriba, né dottore della Legge.

Nessun sapiente. Nessun dotto.

Sorride, Gesù. E noi con lui, passeggiando accanto alla strada.

Osanna mite Messia. Osanna re che non ti prendi troppo seriamente.

Guerriero da burla, condottiero da barzelletta. 

Osanna Dio che accetti di entrare nelle nostre vite. Osanna Dio che stai per morire.

Osanna mio re mia speranza, mia certezza.

Osanna mio Tutto.

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Misura

È questa la misura, il segno, il vertice.

Il compimento di quel percorso assurdo che da Nazareth lo ha portato fino a qui. Un percorso che dalla folla plaudente è arrivato a infrangersi contro la durezza del potere religioso che non cede il passo, che non si commuove, che non si converte.

È lontana la Galilea. Lontani gli amici.

I pochi rimasti, qui, non contano nulla. Quelli che lo seguono ancora non conoscono la posta in gioco.

Meglio che muoia uno per tutti, aveva sentenziato il Sommo Sacerdote. 

Meglio far fuori questo scapestrato ed irrequieto profeta improvvisato piuttosto che vedere Roma riprendere in mano il bastone. 

Idiota di un Caifa. Davvero Gesù morirà per tutti. Per me.

Ha fatto ciò che poteva fare, Gesù. Parlato, amato, guarito, condiviso.

E convertito, abbracciato, sorriso.

Cos’altro può dare per convincerci di sé e di Dio?

Solo una cosa. Far vincere i suoi avversari.

Rilanciare. Morire.

Per farci superare la paura della morte. Per farci entrare in una nuova dimensione, pavidi credenti scossi da un’epidemia, canne incrinate e fiammelle tremolanti che siamo.

È Lui che prende tutto in mano. Lui che rincuora, salva, scuote. Si dona.

Altro

Altro è predicare, altro pendere da una croce.

Altro convincere o fondare una religione, altro restare appesi fino ad esalare l’ultimo respiro.

Gesù è disposto a morire per mostrare la verità dei suoi gesti. Morire per mostrare ad ogni uomo chi è veramente Dio.

Il suo amore ci salva, non il suo dolore. Un amore che manifesta, che mette a nudo, che scuote e stupisce.

La croce diventa, allora, l’ultimo sì detto al Padre. E all’uomo.

L’ultimo tentativo gravido e fecondo di manifestare Dio.

Capirà l’uomo? Capiremo?

Sincrono

Ora dopo ora, questa settimana, seguiremo l’ultima settimana del Maestro.

Mettendoci al suo fianco, accanto, senza far rumore.

Silenziosi, riflessivi, stupiti, storditi, commossi.

Consapevoli che possiamo rimetterci in gioco, tutti, riappropriarci del cristianesimo come discepolato, come esperienza che conduce a Dio

La Chiesa che faremo, la Chiesa sinodale parte dall’esperienza dello stesso Cristo che colma i cuori.

Una Pasqua di rinascita. Inattesa, forte, destabilizzante.

Per dire che la Chiesa è viva. Ma solo se la teniamo viva. Solo se sapremo leggere la Parola, meditarla, scrutarla.

E pregare. 

Passio

Non ci avviciniamo alla croce per solleticare le nostre emozioni e giustificare i dolori che, invece, Dio ci chiede di superare. Non lo facciamo per proiettare sul crocefisso le nostre frustrazioni che acquistano dignità se condivise con Dio. Non offendiamo la croce di Cristo pensando di essere anche noi dei cirenei solo perché affrontiamo qualche inevitabile difficoltà.

Restiamo ai piedi della croce per imparare ad amare.

E a fuggire il dolore inutile.

E a lasciarci convertire dallo spettacolo di un Dio che muore per amore.

Buona settimana santa.

Così intensa. Così vera.

Fatevi trovare.

***

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