Ho ricevuto, ho trasmesso
Io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito…
Paolo scrive alla comunità di Corinto prima ancora che Marco si ingegni a scrivere un Vangelo.
E, lui, apostolo di riserva, che non ha conosciuto e vissuto col Signore, ci tiene a rassicurare i suoi parrocchiani: racconta con scrupolo, come prima cosa, come segno di autenticità della sua predicazione, ciò che lui stesso ha ricevuto. L’essenziale.
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Racconta la cena. Quella cena. Non l’ultima ma la prima.
Rievoca il comando: rifatelo, se volete che io ci sia.
E lo rifacciamo, in obbedienza.
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Noi crediamo che ripetendo quella cena, quel Seder pasquale, unico, particolare, compiamo un memoriale, uno ziqqaron. Quando i fratelli ebrei celebrano la cena di Pesah non stanno ricordando la buonanima di Mosè. Si chiedono da quale Faraone devono fuggire.
Così noi, quando ripetiamo la cena, quella cena, stiamo rivivendo il dono di Cristo all’umanità.
Il dono di se stesso.
E oggi la Chiesa, consapevole di avere il compito di dire di Dio, di annunciare il Dio di Gesù, il Dio felice che ci rende felici in questo tempo di mezzo fra la sua venuta nella Storia e il suo ritorno nella gloria, spinta e motivata dallo Spirito, immersa nella comunione Trinitaria, indica il pane del cammino, il pane del viaggio in questa stordente avventura.
Pane spezzato
Il vangelo di oggi ci racconta la moltiplicazione dei pani e dei pesci nel racconto di Luca.
Luca lo struttura lasciando intravvedere, in filigrana, la celebrazione dell’eucarestia che, probabilmente, sta vivendo con le sue comunità.
D’altronde Luca ha conosciuto la fede grazie alla predicazione di Paolo è scrupolosamente attento a tramandare alle sue comunità ciò che a sua volta ha ricevuto. Perché non crediamo ad un Gesù che ci siamo costruiti ma quello trasmesso dagli apostoli: la nostra è una fede apostolica.
Alcuni dettagli della sua versione svelano questo parallelismo: la moltiplicazione avviene all’imbrunire e non possiamo che pensare al misterioso viandante di Emmaus che viene pregato di restare perché scende la sera; Luca è l’unico che ci dice che Gesù fece dividere la folla in gruppi di cinquanta, probabilmente il numero degli appartenenti ad una comunità, di più, e lo vediamo bene!, si diventa un gruppone anonimo senza rapporti; non si spezzano solo i pani ma anche i pesci (!) cosa improbabile ma sappiamo che il pesce, nelle prime comunità, è simbolo di Cristo: è lui ad essere spezzato.
Luca, insomma, ci manda un messaggio preciso: il più grande miracolo che Gesù ha compiuto non è quello di avere sfamato le persone. Ma le loro anime.
Facendosi lui stesso cibo nell’eucarestia. Perché solo Dio può colmare l’infinito nostro bisogno di infinito.
Insegnandoci a diventare pane spezzato per l’umanità stordita e sfinita.
Alla fine della fiera
Perché, alla fine della fiera, il significato di questa domenica del Corpus Domini è tutto e solo qui: durante la celebrazione dell’eucarestia, di ogni eucarestia, anche bislacca, azzoppata, frettolosa, Gesù si fa pane spezzato, osa, rischia, si dona.
Senza misura, senza condizioni, senza reticenze.
Se è così, se ne prendiamo coscienza, se lo assaporiamo, allora non possiamo fare a meno di esserci.
E di gioirne, e di fare di tutto perché le nostre celebrazioni siano piene, belle, autentiche, solari, forti, dinamiche, oranti, fonte e culmine della nostra fede.
E questa consapevolezza, permettetemi un incoraggiamento, deve partire dal celebrante che diventa, in quel momento, pontefice, cioè ponte, strumento, passaggio.
Forse vale la pena, serenamente, oggi, chiederci se non dovremmo celebrare meno messe e ridare spazio a Dio nelle nostre messe, che non sono una buona abitudine, ma l’attuazione qui e ora della salvezza del Signore.
Forse dobbiamo osare, come Francesco chiede, e metterci in discussione, camminare insieme, fare sinodo. Senza ridurre la pastorale e l’annuncio, come spesso abbiamo fatto, alla moltiplicazione dei riti e delle celebrazioni.
Ci sono meno persone a messa, vero. E demotivate. Ma il problema non è che una volta le chiese erano piene e ora sono vuote, ma occorre chiederci di che cosa le avevamo riempite!
Ancora
Melchisedek che offre (o riceve?) il pane e il vino come segno di benedizione verso Abramo che torna vittorioso dalla battaglia contro l’Alleanza del Nord è sempre stato letto come una prefigurazione di Cristo. E ci sta.
Ma quando quell’episodio è stato scritto, probabilmente il messaggio era ancora più forte: la prima volta che si parla di un gesto cultuale ad opera di un sacerdote nella Bibbia avviene per la preghiera di un pagano, un cananeo.
Siamo chiamati a riconoscere in ogni uomo il desiderio profondo di Dio perché ognuno cerca e dona benedizione. E noi, i discepoli, gli amati, gli agapetoi, ora sappiamo chi è Dio e come si faccia pane del cammino.
Questa è l’eucarestia che celebra la presenza del Signore benedicente, che dice e fa il bene a ciascuno di noi.
Buona domenica allora. E buona Messa, ovunque siate.
Non lasciamo cadere in terra il più straordinario dono che ci ha lasciato il Maestro che si fa pane e vino.
Ci aspetta, non manchiamo.
Per riceverlo e trasmetterlo a quanti verranno dopo di noi.
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