Paolo Curtaz – Commento al Vangelo di domenica 17 Luglio 2022

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Hic Christus

Capita, sì. Mi è capitato.

Capita che Dio ti faccia visita quando meno te lo aspetti.

Quando sei stravolto dal caldo e non ha più speranze. Quando hai tenuto duro per tanto tempo, hai conservato la fiducia, hai osato credere. E proprio quando sei in riserva di futuro arrivano le piaghe bibliche: la peste, la carestia, la siccità, la guerra. Solo che Dio non c’entra.

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Capita che Dio ti visiti nel momento in cui vorresti non esistere, non essere, non esserci.

Come accade ad Abramo.

Dalla promessa di una discendenza sono passati dieci anni. E avventure degne di una fiction. Ma il figlio no, non è arrivato.

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Abramo siede, rassegnato, all’ombra delle querce di Mamre, nell’ora più calda della giornata.

E quando meno se lo aspetta, Dio lo visita. E gli porta la notizia, infine, dell’arrivo di un figlio.

Dio c’è. E ti visita. Accorgitene.

È quanto siamo chiamati a raccontare ai tanti scoraggiati, arrabbiati e sconsolati che incontriamo.

Come ministri cui Dio affida la missione di rivelare agli uomini il segreto della sua amorevole presenza, come scrive san Paolo.

Anche se costa fatica, patimento.

Perché in questo momento le persone hanno il cuore indurito e rassegnato, come quello di Abramo.

E ai pellegrini alle querce di Mamre, invece di aprire la casa come fece padre Abramo, la gente, snervata,  intimerebbe loro di andarsene.

Che tristezza.

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Oltre il samaritano

L’invece del samaritano risuona ancora nelle nostre orecchie.

Amare si declina a partire da chi abbiamo accanto. Da chi scegliamo di amare. Da chi abbiamo il coraggio di caricare sul nostro asino. Da chi ci fa compassione (non pena). Da chi ci facciamo carico. Da chi scegliamo di prenderci cura.

Ma per non incorrere nel rischio di cadere nell’efficientismo, di confondere la comunità cristiana con un’organizzazione (meritoria, ci mancherebbe) di aiuto sociale, per non diventare gli applauditi infermieri della Storia che fanno ciò che la società non riesce (e vuole) fare, allora dobbiamo imparare a metterci seduti ad ascoltare.

Come fa Maria, sorella di Marta.

Betania

Dio ha bisogno di lasciare le risse teologiche del tempio, le inutili contrapposizioni di chi si prende a scarpate in nome dell’Altissimo, per trovare una famiglia, una casa, una cena.

Per poter essere se stesso, rincuorato, accudito. A Betania.

Il nostro è il Dio del pane, del buon profumo della pietanza che cuoce, del fiore di campo messo in centro al tavolo per festeggiare l’ospite.

Il Dio delle piccole cose.

Il Dio dei dettagli che allargano il cuore, che lo allagano.

Che ci aiutano a vivere, che ci aiutano a capire l’orizzonte alto e altro.

Mi commuove alle lacrime vedere Dio intessere una relazione, che chiede ascolto, che ama sedersi con semplicità intorno ad un tavolo e ridere e scherzare.

Se potessimo, di quando in quando, invitare Dio e ascoltarlo, preparare per lui, come Abramo, un buon pasto e dello yogurt fresco!

Facessimo diventare Betania la nostra vita!

Il Dio di Gesù è, anche lui, un invece.

Non il Dio che abita in fastosi templi costruiti dall’ingegno umano, ma il Dio dei bilocali, delle periferie arroventate, dei borghi che si svuotano.

Sorprendente.

Sessimo

Come è sorprendente, politicamente scorretto, eccessivo, quello che accade a Betania.

Accogliere l’ospite era il compito del capo famiglia. O, comunque, del maschio.

E un maschio, in quella casa, c’è: Lazzaro, che conosciamo bene grazie all’evangelista Giovanni.

Ad ascoltare i rabbini, seduti a gambe incrociate, nella rinata Gerusalemme, c’erano solo uomini. le donne non erano considerate adatte a leggere la Torah, meglio bruciarla che darla in mano ad una donna.

Una donna, Marta, accoglie il Maestro. Una donna, Maria, lo ascolta, come discepola.

Una pagina così forte che anche le prime comunità cristiane dovranno in qualche modo mitigare, lasciar cadere, armonizzare all’imperante maschilismo.

Gesù, invece, ribalta questa logica maschilista e come già fatto con sua madre, propone come modello dell’ascolto una donna.

Ascolto e azione

Maria e Marta rappresentano le due dimensioni della vita interiore: la preghiera e l’azione.

Maria ascolta con attenzione le parole del Maestro, le manda a memoria, se ne abbevera. Come molti, ancora oggi, pende dalle labbra del Signore, aspetta che egli parli al suo cuore.

All’origine di ogni fede, il cuore di ogni esperienza religiosa è e resta l’incontro intimo e misterioso con la bellezza di Dio. Dio che solo intravediamo attraverso le fitte nebbie del nostro limite ma di cui, pure, possiamo temporaneamente fare cristallina esperienza.

Rimettiamo la preghiera e il silenzio nel cuore della nostra giornata, come sorgente di serenità e di gioia. Anche durante l’estate portiamo con noi in vacanza il desiderio di entrare nella nostra anima, magari seduti ad ascoltare le onde del mare.

Marta realizza la beatitudine dell’accoglienza, la concretezza dell’amore e dell’ospitalità.

Anche lei sa che l’ascolto del Maestro è l’origine di ogni incontro, ma sa anche che se questo incontro non cambia la vita, resta sterile e inconcludente.

Marta nutre il Cristo che Maria adora.

Non esiste una preghiera autentica che non sfoci nel servizio.

È sterile una carità che non inizi e non termini nella contemplazione del mistero di Dio.

Marta viene invitata a non agitarsi (non a smettere di cucinare!) e ad attingere il suo servizio dall’ascolto (non dalla clausura…). Marta e Maria sono la rappresentazione di come deve essere condotta la nostra vita di fede.

Nella mia amata Valle d’Aosta, un figlio di questa terra, Bernardo, costruì su un alto colle un ospizio che accoglieva i pellegrini di passaggio sulla via francigena.

Ai suoi monaci diede un motto: Hic Christus adoratur et pascitur. 

Qui Cristo è adorato e sfamato.

Marta e Maria.

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