Chi sei, allora?
Nessuno ci porterà via il Natale. Quello vero, intendo. A meno di non essere noi a dimenticarlo.
Niente ci può impedire di attendere, di accogliere il Dio che, venuto nella Storia, in attesa del suo ritorno nella gloria, ora chiede di venire nella mia vita. In questa vita, in questo tempo spaventato e incerto, in questo oggi in cui Dio fa nuove tutte le cose.
Un nuovo inizio, una nuova Creazione, anche se abbiamo alle spalle molti Natali, forse troppi.
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Anche se stiamo già assistendo ai nuovi riti che, inesorabilmente, stanno riducendo questo incontro ad un’ode melensa alla bontà, in cui tutto, alla fine, si riduce a spendere, assomigliare ai modelli irrealistici delle famiglie felici radunate intorno all’albero. E guai a parlare dello scipito bambinello.
Rimango ostinatamente ottimista, in quanto discepolo: questo Natale potrò diventare il Natale.
Potrebbe, finalmente, tornare il festeggiato, dopo tante feste di compleanno in cui, semplicemente, non lo si era invitato. Dipende da me. Dipende da te.
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Perciò dobbiamo stare svegli, reagire, non lasciarci travolgere, non addormentarci. Sarebbe un bel guaio, una catastrofe, per dirla tutta.
Persone come Giovanni ci scuotono, come un pugno in pieno volto.
Anche lui è una sorpresa, una delle tante che Dio ci riserva, un modo inatteso e diretto per scuoterci dalle nostre mille abitudini, dal nostro cristianesimo che rischia di irrancidire. In un mondo che vacilla in ansia per il futuro incerto.
Questo ci è chiesto: destarci dal sonno. Ritrovare l’anima. Osare.
Osare.
Osare.
Per farlo, però, ci è chiesta una cosa sola: non confidare nei progetti degli uomini, lasciare spazio (anche come scelta, se necessario) alla gioia. E, soprattutto, essere autentici.
Sgraditi ritorni
Il lamento del popolo in esilio in Babilonia è stato ascoltato.
Dio ha squarciato i cieli ed è sceso. La profezia si è avverata: sono i persiani, ora, a dominare la scena politica: i babilonesi sono sconfitti e gli ebrei liberati, dopo settant’anni di deportazione. Il rientro a casa è difficile e pieno di pericoli ma, la cosa peggiore, è che a Gerusalemme nessuno più si ricorda di loro. I deportati vengono confinati al margini della città, sull’altura di Sion, le loro terre sono ormai coltivate da altri, ebrei senza scrupoli approfittano della crisi finanziaria (!) per prestare a tassi di usura e un’inattesa carestia porta alle soglie della morte gli scampati.
Dio ha squarciato il cielo ed è sceso. Sono gli uomini che hanno chiuso agli uomini la terra.
Sopravvissuti alla prigionia, i deportati ora rischiano di morire di stenti nella città che li ha dimenticati. E Isaia, il cosiddetto terzo Isaia, profetizza e invita tutti alla gioia.
Approfittare della crisi per cercare la gioia altrove, oltre, in alto.
Alzare lo sguardo per vedere negli eventi l’opportunità di una rinascita, di un modo nuovo di essere.
Vi ricorda qualcosa?
Preghiera
La gioia dell’altrove che mi permette di vivere il dolore presente con fiducia nasce dalla preghiera, afferma Paolo scrivendo ai Tessalonicesi. Un preghiera che non è l’insistente richiesta di risoluzione dei problemi, ma l’abbandono fiducioso in chi può darmi la forza per affrontare ogni notte, ogni dolore.
È possibile prepararsi al Natale nonostante tutto.
È possibile vivere con una gioia che nasce dalla fede ed è nutrita, nello Spirito, dalla preghiera.
Cristo nasce nei nostri cuori, se lo desideriamo. Lo incontriamo vegliando su noi stessi, lasciando che l’interiorità riprenda il suo spazio nelle nostre vite travolte dagli affanni.
Senza spegnere lo Spirito, senza disprezzare le profezie, vagliando ogni cosa e tenendo ciò che è buono.
Ma esiste una condizione, semplice.
Per poter accogliere Dio che nasce, dobbiamo camminare verso l’autenticità.
Chi sei?
Giovanni riceve la visita degli inviati del Sinedrio che si interrogano, loro, i detentori del potere a proposito di questo strano personaggio che non si spaventa neppure di fronte alle autorità religiose, che non ne enfatizza il ruolo, che tira diritto per la sua accidentata strada.
«Chi sei?», chiedono. Giovanni è chiaro: lui non è il Cristo.
Potrebbe pensarlo: gli altri lo pensano di lui (bisognosi come siamo di Cristi).
Potrebbe approfittarne, cedere alla più subdola delle tentazioni, quella del delirio di onnipotenza. No, dice Giovanni, lui non si prende per Dio. Anche lui, come i penitenti, ne è disperatamente alla ricerca…
Giovanni ci ammonisce: solo riconoscendo il proprio limite, che è opportunità e non mortificazione, possiamo diventare liberi per accogliere il Dio fragile che nasce. Solo riconoscendo che non abbiamo in noi tutte le risposte, possiamo metterci alla ricerca. Solo entrando nel profondo di noi stessi possiamo trovare la nostra vera identità in Dio.
Voce
«Chi sei, allora?». Chi siamo, allora?
La logica mondana dice: sei ciò che produci, sei ciò che appari, sei ciò che guadagni, sei i like che ricevi, sei ciò che guidi, sei ciò che conti, sei quanto urli.
Giovanni sa che non è così, che è illusoria e menzognera questa logica, che, mai, siamo ciò che possediamo o facciamo. Mai siamo ciò che sembriamo. Mai.
Giovanni ha riflettuto e ha capito, l’attesa spasmodica di un messia ha creato dentro di lui uno spazio che saprà riconoscerlo e riconoscersi.
«Chi sei, allora?». Un mistico? Un provocatore? Un guru?
No, egli è voce.
Voce, voce prestata ad una Parola, voce che amplifica un’idea non sua, voce, che fa riecheggiare un’intuizione di cui anch’egli è debitore.
Poco, vero? O tutto?
Ci immaginiamo sempre di essere dei grandi, di compiere (o scrivere) cose memorabili, di restare nella storia o, perlomeno, nella piccola storia delle persone che amiamo.
Dio ci svela cosa siamo in profondità.
Tu chi sei? Tu cosa sei? Cosa dici di te stesso?
Forse sei pazienza, o attesa, o sorriso, o perdono, o sogno, o inquietudine.
Contrariamente alla falsa idea del cattolicesimo che mortifica e castra le ambizioni degli uomini (“Se Dio c’è io sono fregato”, pensa Erode), il Vangelo ci svela un Dio che ci aiuta a cogliere la verità di noi stessi. Solo il mio vero io incontra il vero Dio.
È tempo di fare verità in noi stessi. Di non farci definire dagli altri. O dalle nostra paure.
Ma dal nostro desiderio.
Natale è la misura di quanto siamo amati.
Gv 1, 6-8.19-28 | Paolo Curtaz 18 kb 29 downloads
Terza domenica di avvento – Is 61,1-2.10-11/ Ts 5,16-24/ Gv 1, 6-8.19-28 …Io ci sono e sono con voi. Ogni giorno alle 20 (Alle 21 la domenica) sui miei canali Facebook e Youtube non mancate la piccola lectio #FTC per far crescere la fede e la speranza.
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