Paolo Curtaz – Commento al Vangelo di domenica 16 Luglio 2023

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Seminatori di querce

Insomma, dai, siamo onesti.

Dopo duemila anni di cristianesimo, dove sono i cieli nuovi e la terra nuova in cui avrà stabile dimora la giustizia? Dove la salvezza se stiamo assistendo, inorriditi e impotenti, alla guerra fra due nazioni cristiane? Dove il Regno se l’ordine mondiale mette al primo posto il guadagno (anche fra popoli evangelizzati da secoli)?

E, nelle nostre parrocchie spaesate, dove i frutti di tanta semina, della catechesi ai fanciulli, degli oratori? Dove gli sposi cristiani? Dove la profezia di un mondo diverso nelle nostre relazioni, nei nostri gruppi e movimenti?

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E abbiamo l’impressione che sia tutto inutile. Solo una minima parte della semina porta frutto.

Bene: siamo in buona compagnia.

Sono le domande che si poneva la comunità di Matteo, travolta dalla repressione dell’Impero romano che era giunta a distruggere il tempio. Una catastrofe, la fine di un mondo, anche di un mondo di fede: Dio era stato apparentemente sconfitto dall’aquila romana.

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Matteo, come risposta, propone alla sua comunità scoraggiata, e alla nostra, la parabola del seminatore. Propone di vedere le cose dal punto di vista di Dio.

Ecco: il seminatore uscì a seminare.

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Il seme

Al centro della parabola Gesù pone il seme: è lui il protagonista, tutti i verbi usati nel breve racconto hanno come oggetto proprio il nostro seme. Seme che è la Parola rivelata dal Padre per bocca di Gesù e poi accolta e ritrasmessa da Matteo alla sua comunità e da questa al mondo.

Il messaggio è chiaro: il seme agisce da sé, a prescindere, è efficace al di là della bravura del seminatore o della qualità del terreno, come la pioggia che scende dal cielo e feconda la terra.

Se è sotto gli occhi di tutti che per tre quarti delle volte la semina è destinata a fallire, è altrettanto vero che una volta su quattro il risultato è stupefacente, ben al di là delle aspettative.

La parabola è un incoraggiamento, un invito alla fiducia, uno sguardo positivo sulla realtà.

Racconta la logica di un Dio che lascia liberi di accogliere e di ascoltare il suo messaggio.

Oppure di rifiutarlo. O di accoglierlo parzialmente, per poi lasciarlo inaridire e morire.

Il terreno

La Parola viene gettata a piene mani. Da Dio, da Cristo, da noi discepoli. Magnifico.

Poi, che accade?

Il racconto viene ripreso più avanti, in una specie di appendice al testo, una spiegazione privata ad uso dei discepoli da parte di Gesù. Una sorta di omelia ante litteram.

La parabola, allora, diventa quasi un’allegoria e l’incoraggiamento diventa un avvertimento.

Se sei un annunciatore resta sereno. Keep calm e lascia agire il seme.

Ma, prima di essere evangelizzatore e discepolo, sei uno che accoglie la Parola, sei il terreno: stai dunque attento a come accogli.

Guarda il tuo cuore: prima accogli, poi annuncia. Perché annunci solo ciò che accogli.

È Gesù stesso a parlarne e a spiegare le sue parole.

Il seme cade sulla strada, su un cuore indurito. Indurito perché calpestato da molti.

Gesù non entra nel dettaglio, constata che ci sono dei cuori apparentemente impermeabili a qualunque sollecitazione di fede, incapaci anche solo di lasciare che qualcosa scalfisca le loro incrollabili certezze. Sanno. Di Dio, della fede, dei cristiani. Sanno. Non hanno bisogno di nulla.

Su questi cuori il seme rimbalza. Poi viene Satana e lo porta via, come un corvo che cala sulle granaglie. Da brividi.

La Parola che cade sulla strada è destinata a sparire.

Un cuore indurito, pietrificato, asfaltato, è impermeabile alla Parola e, quindi, a Dio.

Apparentemente è impossibile da cambiare.

Non per Dio, che semina anche sull’asfalto. Insiste, l’inguaribile ottimista.

Poi

Gesù continua: se il seme trova anche solo un briciolo di terra, germoglia.

Ma ha bisogno di costanza, per crescere. Così accade ad alcuni discepoli.

Subito accolgono la Parola: con entusiasmo. Ce ne sono di persone così, adulti che riscoprono la fede grazie ad un viaggio, ad una giornata di ritiro, ad un’amica credente che li coinvolge. Ed è bello vedere nel loro sguardo lo stupore di scoprirsi amati da Dio e la voglia di conoscere.

Il primo cuore è indurito. Il secondo è incostante.

La fede diventa una parentesi della vita, anche felice, certo, ma una parentesi.

Ha ragione, Gesù: il seme va coltivato, va protetto dal sole troppo caldo, dalle intemperie.

La Parola va custodita, approfondita, meditata, pregata.

Gesù continua. Diversa è la situazione di chi ha costanza, di chi accoglie la Parola e la custodisce ma intorno a lui crescono altri interessi che si ingrandiscono e, alla fine, soffocano la Parola che rimane, ma non porta frutto. È presente, ma inutile.

Sopraggiungono le preoccupazioni del mondo, il pre-occuparsi, l’occuparsi prima, anzitempo; ed invece di vivere il momento presente, di assaporare il tempo, lo amplifichiamo, lo estendiamo, e così la preoccupazione continua contagia la nostra vita e la nostra anima. E la soffoca, come una pianta infestante.

E anche la bramosia soffoca il seme, cioè il desiderio smodato, auto-referenziale, fuori controllo. Dei soldi, della casa, del cibo, del sesso… Ogni cosa rischia di diventare un idolo e di ingigantirsi fino a prendere il controllo di noi stessi, fino a mettere ai margini la nostra anima.

Ma esiste un’ultima possibilità. Meno male.

Frutti

Il tono della parabola cambia. È un finale colmo di speranza.

Esiste un terreno buono che accoglie e porta frutto, tanto frutto. In cui la Parola scava i cuori, cambia la vita, modifica le scelte. Converte.

E produce un gran raccolto: trenta, sessanta, cento per uno. Gesù usa un’iperbole per indicare che il seme produce molto più di quanto immaginiamo o speriamo.

Ed è proprio ciò che accade: a fronte di tanto insuccesso, agli occhi degli uomini, resta il fatto che milioni di persone, accogliendo il vangelo, hanno radicalmente cambiato la propria vita.

Noi fra questi. Io, fra questi.

Chi è il terreno buono? Chi si è ritrovato nei terreni precedenti, meditando la parabola. Chi, leggendo, ha ammesso davanti al Dio di ogni tenerezza di essere impietrito, asfaltato, di avere un cuore scostante.  Chi ha sentito il desiderio immenso di portare frutto, di diventare terreno fecondo che fa fiorire la vita.

Vale la pena di riflettere su questo aspetto: leggere la nostra vita, le nostre vicende, il nostro passato per vedere quanto l’incontro col vangelo ci abbia cambiati. E anche noi possiamo dire che avere accolto il vangelo della nostra vita ha comportato qualche rinuncia. Ma ci ha dato cento volte tanto (Mt 19,29).

Viviamo tempi difficili, pare.

Ma straordinari. Di verità, di conversione, di passione.

Brucia, Cristo, nei nostri cuori.

Siamo seminatori di querce alla cui ombra non riposeremo.

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Mt 13, 1-23 | Paolo Curtaz 312,48 kB 31 downloads

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