Paolo Curtaz – Commento al Vangelo di domenica 16 Aprile 2023

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Il credente

Gesù è vivo. Sul serio.

Lo è nelle nostre vite, nella nostra ricerca, in ogni gesto che esprime l’amore che ha cambiato il nostro sguardo, che ci ha fatti scoprire agapetoi, amati dal Signore. Lo è in questa attesa operosa, in questo tempo di mezzo fra la sua venuta nella storia e il suo ritorno nella gloria. È vivo nelle nostre comunità scassate, in quelle luminose che vivono la persecuzione, in quella profetiche di minoranza che si oppongo alla catechesi di questo mondo.

È fragile la nostra fede. È fragile la mia fede.

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Perché credo, certo che credo, Dio sa se credo, ma ho paura. Degli altri, del giudizio, dei miei limiti, della mia fragilità. Allora mi chiudo in un qualche Cenacolo, intimorito dalla violenza, dalla polarizzazione (che ha infettato anche la Chiesa), dalla logica del mondo che non è la mia. Io e il mio Gesù, chiusi in una sacrestia, sperando che non si accorgano di noi. Idioti. Idiota.

Viene il risorto, a porte chiuse. Entra comunque.

Spiazza.

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In mezzo

Viene in mezzo a noi, intimoriti. E porta dei doni, ancora oggi.

La pace che nasce dal saperci amati, dal sapere che il mondo ha un senso e un progetto.

La sua presenza discreta e nascosta che, quando avvertita, ci inebria di gioia anche se solo per un attimo.

Lo Spirito Santo che ci fa discepoli, che ci rende testimoni credibili.

E il perdono ricevuto, da dare, da predicare in un mondo rabbioso, in cui tutti sono aggressivi e si sentono vittime, in cui tutti fingono di essere felici senza essersi dati pace.

Viene il Signore, anche per i ritardatari.

Chiedetelo a Tommaso, patrono dei credenti feriti e fragili. 

Chiedetelo in questa giornata che celebra la divina misericordia, la compassione di Dio.

Quella che converte, infine. Quella che scioglie la nostra durezza e fa piangere a dirotto. 

Gemello nostro

Grande credente, Tommaso. 

Un entusiasta, un altruista, un buono. Disposto a seguire Gesù fino alla morte, quando questi decide di andare a salvare Lazzaro, anche se la cosa, come sarà, è altamente pericolosa (Gv 11,16).

Tommaso che vuole conosce la strada per raggiungere Dio (Gv 14,6) e che scopre che Cristo è la vita, la verità, la vita.

Un entusiasta. Un generoso. Uno che getta il cuore oltre l’ostacolo.

Che si è rimboccato le maniche in parrocchia, che ha tenuto duro quando tutti hanno mollato, che ha sopportato i chiari di luna del nuovo parroco, che è rimasto fedele quando la chiesa si è progressivamente svuotata e i suoi amici, crescendo, gli hanno dato del sempliciotto da compatire.

Poi è arrivato l’uragano.

Quell’arresto inatteso, improvviso che tutto ha devastato. E il processo. E la croce. E la morte.

La paura, l’orrore, hanno lasciato spazio ad un’altra emozione: la vergogna.

Vergogna per essere fuggiti. Dodici ore dopo avere ricevuto il pane del cammino, la presenza eucaristica. Vergogna per non averlo difeso. Per non essere rimasto. Almeno come le donne.

Tutto evaporato. Ma quale fede? Quale cambiamento?

Gli altri, poi…

Voi?

Quando Tommaso trova il coraggio e riappare nella stanza superiore ritrova tutti gli altri.

Non fa in tempo a parlare che viene assalito dal loro entusiasmo.

Lo abbiamo visto. È lui. È davvero risorto!

Il cuore di Tommaso è un pezzo di ghiaccio.

Cosa? Come? Chi?

Proprio loro gli parlano del risorto. Proprio i suoi compagni che, come lui, hanno fallito.

Orribili ed inutili discepoli. 

Non crederò, sentenzia Tommaso.

Non può credere alle parole dette da persone tanto incoerenti. Come molti non credono più alle parole del Vangelo perché siamo noi a pronunciarle. Perché la Sposa ha sporcato la sua veste bianca, perché ferite putrescenti ne hanno devastato il volto.

Pedofilia, scandali economici, incoerenza, arroganza. Che tutti stiamo sperimentando, che, a volte, abbiamo contribuito a creare. Tommaso non crede alla parole dei suoi compagni perché non riesce a perdonarli, non riesce a perdonarsi, perché il suo sguardo è intorbidito e il suo cuore sperso e rabbioso.

Eppure resta. Non se va sbattendo la porta o, peggio sentendosi diverso, superiore, migliore.

Resta, nonostante tutto. Lo troviamo ancora con i discepoli dopo una settimana, proprio come oggi. E fa benissimo a rimanare in quella comunità scassata.

Eccolo

Viene apposta per lui, il Signore.

Perché ogni pecora perduta è importante, perché Tommaso è importante.

Viene appositamente per lui e gli mostra le ferite dei chiodi, il colpo di lancia.

Come a dire: so che hai sofferto, Tommaso. Anch’io ho sofferto. Guarda.

E Tommaso cede. Primo fra gli umani a professare Dio quel Cristo.

E piange di gioia perché ogni dubbio, ogni dolore scompare quando è condiviso col risorto.

Perché vede il suo dolore redento, il suo peccato scordato, la sua fragilità colmata.

Perché si sente amato esattamente per quello che è: povero.

Siamo noi Tommaso. Sono io.

Entusiasta e fragile, contraddittorio e inutile, appassionato e incoerente.

Sono io, Tommaso, mio gemello.

Io ferito dall’incoerenza della Chiesa. Io che ferisco con la mia incoerenza.

Eppure, con chi osa, con chi crede, libero e vero.

A voi, fratelli e sorelle smarriti,

discepoli e discepole scossi dal dolore, dal lutto, dalla paura.

A voi che state resistendo nelle parrocchie, che amate nonostante tutto.

A voi che costruite invece di distruggere.

A voi che volete tornare al Vangelo e vi siete scoperti amati.

A noi tutti, oggi, come a Tommaso,

il Risorto dice: “coraggio”.

Credo, Signore.

Tu sostieni la mia incredulità.

Io ti amo, Signore, e mi so amato.

***

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