Paolo Curtaz – Commento al Vangelo di domenica 14 Agosto 2022

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Fuoco

Gesù è venuto a portare il fuoco. È lui che lo dice.

Non il buon senso, non la pace dei cimiteri. Il Vangelo non è il manuale dei bravi ragazzi, il bon-ton dei tiepidi con il capo reclinato e la voce melensa.

Perché la Parola ha a che fare con l’amore che brucia e consuma.

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E chi incontra Cristo si incendia il cuore. E questo, in qualche maniera dovrebbe in qualche modo potersi intravvedere nella nostra pastorale, nelle nostre comunità, nelle nostre vite.

Vite accese. Cuori accesi. Parole accese.

Non violente o melense, non usurate e stanche, non ripetitive.

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Perché a salvare la Chiesa, come scrive papa Benedetto, come sempre, saranno i santi. Noi santi. E la Chiesa che faremo, semplicemente, tornerà ad ardere d’amore perché accesa dal Cristo.

Gesù è venuto a portare il fuoco. Troppo spesso la nostra fede a malapena sembra un forno a microonde che riscalda una minestra.

Che sia questo l’obiettivo del Sinodo? Accostarci a Cristo per riaccendere in noi la fiamma?

Allora, e solo allora, torneremo a fare luce.

Luce in queste fitte tenebre.

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Fango

Quando è accaduto che, seduti sulle nostre piccole certezze acquisite, abbiamo abbassato la guardia così che l’ombra ha prevalso sulla luce e si è unita alle ombre della altre persone fino a diventare un drago che guardiamo indifferenti, affatto spaventati o consapevoli, come se fosse un cagnolino da compagnia?

È così da sempre, direte.

Forse è vero, forse la fragilità che portiamo nel cuore è la radice di ogni male.

Ed è inutile illudersi di combatterlo, quel male, solo con le nostre forze.

Abbiamo bisogno di un Salvatore, oggi più che mai.

Perché, sprofondati nel quotidiano, ci stiamo abituando al Male.

A quello che si manifesta con la violenza, la rabbia, la prevaricazione, la delinquenza.

E quello ancora più pericoloso di chi risponde alla violenza con santa rabbia, santa prevaricazione, santa ferocia, appellandosi alla giustizia, giustificandosi, ammantando di eroismo la bile che finalmente può uscire e avvelenare ogni parola, ogni giudizio.

Stiamo giocando col fuoco, tanto.

E i nodi vengono al pettine.

Dio non è più la via che ci porta alla verità, per donarci la vita.

Poco più di un riferimento ancestrale, brandito per sostenere le diverse posizioni.

Rabbia che deborda, che acceca, che imbarbarisce.

Finalmente possiamo essere cattivi senza sentirci in colpa.

Anche nella Chiesa.

Siamo sprofondati nel fango, come Geremia.

Ma quel fango l’abbiamo creato noi, prosciugando la sorgente d’acqua viva che è Cristo.

Me infelice!

Nato vicino a Gerusalemme, appassionato di Dio e del suo popolo, Geremia passerà la sua vita a convincere il re di Giuda e la popolazione di Gerusalemme a non opporsi alla nascente potenza di Babilonia.

Soffre duramente di questa situazione, l’inquieto profeta, che vorrebbe annunciare pace e deve redarguire, che vorrebbe profetare il bene e vede la tragedia avvicinarsi. Purtroppo le previsioni di Geremia si avvereranno; Gerusalemme cadrà sotto il re Nabucodonosor e oltre ottomila capifamiglia saranno deportati in Babilonia.

Essere discepoli porta ad amare teneramente le persone destinatarie dell’annuncio, essere discepoli significa cercare in sé la verità per poi offrirla agli altri, essere discepoli significa non essere capiti proprio dalle persone che ami.

Anche se sprofondati nel fango, siamo chiamati a gridare sui tetti l’annuncio del Vangelo.

Con la vita.

È vero: esiste una violenza insita nella vita.

Ma non è quella che vi raccontano.

Lotta

L’annuncio del Vangelo è segno di contraddizione, il mondo, così amato dal Padre da dare il Figlio, vive con fastidio l’ingerenza divina e preferisce le tenebre alla luce.

E l’avversario si veste di luce, di ragionevolezza, di buoni propositi.

Di santi propositi.

Sì, il Vangelo porta in sé una carica di violenza e di incomprensione.

Violenza subita, però.

Per amore della verità, per fedeltà al Vangelo.

Padre contro figlio

Gesù lo dice, parlando di sé, immaginando l’evoluzione che avrà il suo messaggio.

Dopo la caduta di Gerusalemme ad opera dei romani e la rovinosa distruzione del Tempio, i seguaci del Nazareno, i nazrim, saranno “scomunicati” dai rabbini e questo provocherà una frattura dolorosissima ed insanabile all’interno della neonata comunità giudeo-cristiana.

Ancora oggi molti sperimentano la contraddizione di scoprire in Cristo una nuova famiglia, nuove e durature relazioni con fratelli credenti e, nel contempo, un impoverimento di relazione e una crescente incomprensione con i famigliari di sangue.

Ho visto genitori scagliarsi con ferocia contro le scelte radicali dei propri figli che decidevano di consacrare la propria vita al Regno.

Ma, senza arrivare a questi eccessi, credo che anche a te, amico lettore, sia successo di vedere cambiare atteggiamento nei tuoi confronti in ufficio o a scuola proprio a causa della tua scelta evangelica.

Se davvero siamo discepoli mettiamo in conto qualche contrasto, qualche fatica di troppo: nessuno di noi è più grande del Maestro: se hanno perseguitato lui perseguiteranno anche noi.

 

Cristo è fuoco.

Fuoco che brucia, che divampa, che illumina, che riscalda, che consuma.

Cristo è fuoco e traspare dalla nostra vita.

Se è dal fuoco che si misura il discepolato, i pompieri della fede possono stare tranquilli. Purtroppo.

Lasciamolo divampare.

Incendiamo il mondo.

D’amore.

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