Paolo Curtaz – Commento al Vangelo di domenica 13 Novembre 2022

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Mi fido. Mi affido.

Siamo alla fine dei tempi, che scoperta.

Dal tempo della resurrezione siamo alla fine dei tempi. 

Nel senso che attendiamo la conclusione di questa scena, ma senza botti e catastrofi, piuttosto come la visione dell’innamorato che finalmente incontra la sua amata adorna come una sposa (Ap 21,1-11). E che ammira cieli nuovi e terra nuova.

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Perché questo accadrà. Questo accade in questo tempo per chi, come noi, ha imparato a non farsi travolgere dal quotidiano ed alza lo sguardo.

In questa penultima domenica dell’anno liturgico Luca parla alla sua e alla nostra comunità degli ultimi tempi. Quelli che sono già iniziati.

Non parla della fine ma del fine. Non della clamorosa implosione del mondo ma del senso della storia.

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A capirla e saperla leggere. Alla fine dell’anno parliamo del fine della realtà. Del senso di quello che (ci) sta accadendo. Luca sta evangelizzando una comunità perseguitata, impressionata dalla distruzione di Gerusalemme e del tempio, impaurita, dall’ondata di odio scatenata da Nerone.

Siamo perduti?, si chiedono i suoi parrocchiani, È la fine?

Non ve lo chiedete mai? Io sì.

Me lo chiedo dopo la paura del Covid, dopo quella sui vaccini. Me lo chiedo davanti agli scenari di guerra, non solo l’Ucraina. Me lo chiedo davanti ad una crisi energetica dove tutti, ormai, siamo interdipendenti. Me lo vedo girando sui social, me lo chiedo davanti all’impoverimento di linguaggio, di pensiero, che sta svuotando il nostro Occidente. 

E se Dio si fosse sbagliato? E se la vita fosse davvero un coacervo inestricabile di luce e di tenebre che mastica e tritura ogni emozione e ogni sogno? E se Dio – tenero! – avesse esagerato con l’idea della libertà degli uomini e del fatto che l’uomo può farcela da solo?  Che peso hanno le nostre piccole comunità, travolte dalla rabbia, dalla violenza, dal vittimismo di un mondo sempre più contrapposto?

È la fine? Dobbiamo arrenderci?

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Esagerato

Incontro due tipi di cristiani nel mio magnifico pellegrinaggio della speranza in giro per l’Italia.

Quelli che imperterriti guardano alle belle pietre del tempio e ai doni votivi, dicendo che in fondo le cose non vanno poi così male e bisogna tenere duro rispetto ai “nemici della Chiesa” e quelli che, invece, vedono il tempo presente come la fine del cristianesimo, e vivono con disagio e cupezza la profonda crisi che sembra avere colpito le nostre comunità europee, povere di fede e di speranza.

È una questione di sguardi e di segni dei tempi.

Per decenni ci siamo lamentati che eravamo una minoranza. Solo perché il pluralismo si stava diffondendo. E tutti a fare le finte vittime, a rimpiangere ipotetici tempo d’oro. Idioti.

Ora stiamo vedendo che davvero siamo diventati una minoranza.

Le chiese ci sono ancora e le feste e i simboli.

Manca la fede. Manca il fuoco. Manca la passione.

Il cristianesimo, in Italia, sta diventando un pacco ben confezionato. Ma vuoto.

Allora si grida al mondo nemico e crudele. Si vagheggia di ritorni al passato, come se fosse possibile, come se fosse utile.

Forse dovremmo, semplicemente, fidarci di Dio. E credere, finalmente.

Il Signore fa nuove tutte le cose, non ce ne accorgiamo?

Alzate lo sguardo

Nessuna catastrofe, dice Gesù, state sereni.

Non sono questi i segni della fine, come qualche predicatore insiste nel dire. Non sono questi i segnali di un mondo che precipita nel caos.

E, sorridendo, il Maestro ci dice: cambia il tuo sguardo. Cambia te stesso. Cambia il mondo.

Guarda alle cose positive, al tanto amore che l’umanità, nonostante tutto, riesce a produrre, allo stupore che suscita il Creato e che tutto ridimensiona, al Regno che avanza nei cuori, timido, discreto, pacifico, disarmato. Guarda a te stesso, fratello mio, a quanto il Signore è riuscito a compiere in tutti gli anni della tua vita, nonostante tutto. 

A tutto l’amore che hai donato e ricevuto, nonostante tutto. 

Guarda a te e all’opera splendida di Dio, alla sua manifestazione solare, al bene e al bello che ha creato in te. Guarda e non ti scoraggiare.

Di più: la fatica può essere l’occasione di crescere, di credere. 

La fede si affina nella prova, diventa più trasparente, il tuo sguardo si rende più trasparente, diventi testimone di Dio quando ti giudicano, diventi santo davvero (Non quelli zuccherosi della nostra malata devozione!) e non te ne accorgi, ti scopri credente.

Se il mondo ci critica e ci giudica, se ci attacca, non mettiamoci sulle difensive, non ragioniamo con la logica di questo mondo: affidiamoci allo Spirito. 

Quando il mondo parla troppo della Chiesa, la Chiesa deve parlare maggiormente di Cristo!

E del suo magnifico Dio.

Un Dio che sa. Che conosce. Che conta i capelli del tuo capo.

Ancora non ti fidi?

Mannaggia

Lo dico ufficialmente e pubblicamente: a me questa cosa non piace affatto. 

Preferisco crogiolarmi nelle mie vere o presunte disgrazie, preferisco lamentarmi di tutto e di tutti, vivere nella rabbia cronica. 

Preferisco cento volte lamentarmi del mondo brutto sporco e cattivo, dei nemici della Chiesa, ed eventualmente 

costruirmi una piccola setta cattolica molto devota in cui ci troviamo bene (Almeno all’inizio poi, è statistico, facciamo come il mondo cattivo!). 

Preferisco fare a modo mio, accipicchia!

Mi affatica l’idea di dover cambiare me stesso. E il mio sguardo. E il mio cuore.

Ma se proprio devo fare come vuoi tu, Signore, allora libera il mio cuore dal peso del peccato, dall’incoerenza profonda, dalla tendenza all’autolesionismo che mi contraddistingue e rendimi libero, in attesa del tuo Regno.

Fammi scoprire amato, agapetoi, dammi la forza di amare, me stesso e gli altri. Con libertà e verità.

Alla fine, Signore, aiutami tu a non pensare che sia la fine.

Ma a trovare il fine di tutto questo.

Il mondo non sta precipitando nel caos ma fra le tue braccia per un abbraccio infinito e definitivo d’amore.

Forse convertirmi, credere, infine. Bruciare d’amore.

Prenderti sul serio.

Aiutami, non capisco, davvero. Ma mi fido. Mi affido.

***

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