Una metamorfosi
In questi giorni, due anni fa, sprofondavamo repentinamente nell’incubo della pandemia.
Due anni di paura, di lutti, di limitazione della libertà, di contrapposizione, di stanchezza, di vittimismo. Ora, però, lentamente, si vede qualche spiraglio all’orizzonte.
E poi arriva la guerra. Ombre minacciose per chi, come quelli della mia generazione, hanno visto la sfida muscolare fra le due superpotenze di allora a colpi di minaccia nucleare.
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E di nuovo titoloni sui giornali, immagini di bombardamenti, bambini uccisi.
Mai una gioia.
Sì, ho paura, e sono stanco. Lo ammetto.
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E vorrei scappare via ma non so dove.
E mi vedo Dio, il mio Dio, scuotere la testa.
Gli chiediamo di fermare le guerre, dopo averle fomentate. Teneri. Idioti.
Urge una cambiamento.
Di sguardo, di stile, di azioni. Di fede.
Urge una metamorfosi.
Seguitemi.
Sul monte
Un cambiamento. Per superare la tentazione della disperazione. O della violenza.
Come ci diceva Luca domenica scorsa, la tentazione, il cui termine significa “passare attraverso”, è la dimensione abituale in cui viviamo e ci colpisce proprio perché credenti e pieni di Spirito Santo. Paradossalmente, è buon segno essere tentati, significa che siamo nella logica della conversione.
Se siamo tentati è perché siamo credenti.
È il Tabor l’obiettivo della nostra Quaresima. La bellezza e la gioia ci attendono, lì vogliamo andare, lì vogliamo orientare la nostra vita.
Non per fuggire la realtà ingombrante, ma per trasfigurarla.
Viviamo un tempo in cui si coltiva la disarmonia. Nelle parole, nei discorsi, finanche nei nostri quartieri. Si confonde lusso con bellezza, ricchezza con splendore.
Eppure senza bellezza il cuore appassisce. Senza il bello che sfiora il bene e il giusto, l’anima si asciuga fino a seccare.
Uno sguardo nuovo
Lo conoscono da tempo, quel falegname diventato rabbino.
Ne hanno ascoltato le parole, ne hanno ammirato la profondità e la pacatezza, ne hanno amato la visione delle cose. Ma ora, sul Tabor, cambia il loro modo di vederlo.
La bellezza è nel nostro sguardo, non nelle cose o nelle persone.
E ora i discepoli lo vedono con gli occhi del cuore.
Quanto è bello vedere la bellezza di Dio! Quanto riconoscere, nell’umanissimo volto del Signore Gesù, la trasparenza sorridente del volto del Padre!
E quanta bellezza manca, alla nostra fede! Abbiamo costretto l’esperienza della fede nelle categorie della giustizia e della moralità.
È giusto e doveroso credere in Dio, pensiamo.
È bellissimo, replicano gli apostoli. Una bellezza che supera ogni altra bellezza, che illumina e ridimensiona ogni altra gioia che in Dio, e solo in Dio, acquista spessore e speranza di immortalità.
Questa bellezza cerchiamo, quando ci inoltriamo nel deserto della Quaresima.
Nella follia dell’uomo che si crede dio.
Cerchiamo il Dio bellissimo, altro che.
Nella preghiera
Luca scrive che Gesù è salito sul Tabor per pregare e che è in preghiera, mentre si trasfigura, come ad indicare che solo in un profondo cammino di interiorità possiamo scoprire la bellezza di appartenere a Dio.
Perciò è urgente riscoprire nella nostra fede l’aspetto della preghiera come incontro intimo e fecondo con la Parola di Dio, per farne una lettura orante, prolungata e feconda.
Ci parla del suo volto trasformato, che cambia d’aspetto: come quando si è innamorati, come quando si è felici, come quando torniamo da un’esperienza di fede straordinaria. Si vede, se abbiamo incontrato la bellezza di Dio, non abbiamo bisogno di parlarne troppo a lungo.
Gesù parla con Elia e Mosè, i profeti e la Legge, per dare pienezza alla sua rivelazione. Ma solo Luca ci dice che parla del suo esodo, della sua dipartita. Sono passati otto giorni dall’annuncio che Gesù ha fatto ai suoi discepoli riguardo alla brutta piega che stanno prendendo gli eventi e di una sua possibile morte all’orizzonte.
Oggi veniamo a sapere da Luca che proprio qui, nella gloria, Gesù riceve conferma di ciò e una chiave di lettura del dolore che sta per affrontare. Quando siamo sul Tabor capiamo che la vita reale è fatta anche di croci e di sconfitte, di dolore e di delusioni. Solo nella bellezza possiamo affrontare il dolore.
Sono oppressi dal sonno, i discepoli, qui come sarà poi nel Getsemani. Per vedere la bellezza di Dio dobbiamo duramente lottare, combattere, restare svegli. Oggi restare cristiani richiede uno sforzo immane, sovrumano, che solo lo Spirito ci permette di realizzare. Evitiamo di costruire delle tende per “bloccare” il Signore nel momento della gloria. Se abbiamo la gioia di vedere la bellezza di Dio è per portarla con noi nella città.
Nell’ascolto
La nostra non è la fede delle visioni, ma dell’ascolto.
E questa pagina lo conferma. Se la preghiera ci conduce nel luogo interiore dove si trova lo sguardo di Dio sul mondo, l’ascolto della Parola è l’invito che il Padre rivolge a tutti noi.
Ascolto che richiede attenzione.
Ascolto che richiede silenzio.
Ascolto che richiede desiderio.
Come quando raccogliamo le parole preziose di una persona che amiamo.
Sia, questa salita al Tabor, l’occasione per ascoltare meglio. Il nostro io profondo, anzitutto, senza vivere in superficie. Chi ci sta attorno, per migliorare la qualità delle nostre conversazioni, pesando e pensando le parole da pronunciare. Riprendendo il mano, quotidianamente, il Vangelo che ci aiuta a rileggere la vita.
Allora il nostro sguardo vedrà la metamorfosi, la trasfigurazione, che avviene attorno e dentro di noi quando prendiamo sul serio Dio.
E voglio iniziare da me: sapendomi amato, voglio costruire un metro quadrato di pace assoluta intorno a me.
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