Paolo Curtaz – Commento al Vangelo di domenica 10 Luglio 2022

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Invece

Come devo fare per essere felice? Per avere in me la vita di Dio, l’Eterno?

Come leggi la Parola?, chiede Gesù al dottore della Legge. E a me.

Amerai, ha letto.

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L’amore declinato al futuro. L’amore proiettato in avanti. L’amore che diventa consapevolezza di essere agapetoi, amati da Dio e la scelta di ricambiare, di amare Dio con forza, con intelligenza, con passione. Per essere colmati di quell’amore divino per poterlo donare agli altri.

Come un’eccedenza, come il cuore che tracima.

Ha letto bene, ha capito, sa.

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Ora basta vivere in quell’amore, giorno per giorno, un piccolo passo possibile alla volta.

È in imbarazzo, ora, il teologo. Sa ma non sa come vivere ciò che sa.

La sua fede è chiusa nella sua bella teoria.

Amare è fatica, libertà, dono, rinuncia, concretezza. Tanta roba, forse troppa.

Allora cerca di svicolare, di restare nella mente, nelle sue piccole categorie.

Come se l’amore si potesse comprimere e organizzare.

Amare quale prossimo?

L’ebreo che vive i precetti, come dicono i rabbini farisei, escludendo i superficiali?

O amare tutti i fratelli ebrei come osavano i più aperti?

(ovviamente amare i non ebrei non era un’opzione contemplata)

Sorride, ora, il Maestro.

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Briganti

Nel tratto di ventisette chilometri che separano la capitale dalla città di Gerico, mille metri di dislivello nel roccioso deserto di Giuda, si viaggia in carovana per non cadere in mano ai briganti.

Un tale, imprudente, viaggia da solo, viene rapinato e ferito, lasciato morente a bordi della strada.

È un uomo che scende da Gerusalemme. Non sappiamo nulla di lui né nulla sapremo.

Di che religione è, se è una persona onesta o un malandrino, se è una vittima o un carnefice.

Per caso passano di là prima un prete, poi un cantore/lettore.

Per caso: l’incontro col fratello bisognoso è sempre casuale, lo incrociamo mentre prendiamo il treno o per strada.  I due, probabilmente, hanno appena concluso il servizio al tempio. Un’intera settimana passata a lodare Dio e a chiedere misericordia.

Misericordia che negano al malcapitato.

Fanno finta di non vedere, tirano dritto.

Non si fermano perché passano per caso. Il malcapitato non rientra nel loro progetto, è un intralcio, una scocciatura.

Ipocriti

Non fate gli ipocriti: anch’io avrei fatto lo stesso. Anche voi.

Che ne sanno di chi è quel tale e cosa è successo? E se fosse un regolamento fra bande? E se avesse l’AIDS? E se i briganti tornassero?

Meglio chiamare soccorsi, se la vedranno i paramedici e le forze dell’ordine, meglio non immischiarsi. Poi magari ti becchi pure una coltellata.

Hanno Dio nel cuore, sulle labbra, fanno discorsi sensati, prudenti. 

Non sono malvagi, brava gente. Sono solo paurosi. Far finta di non vedere è meglio.

Gesù non li biasima, né li condanna: sono figli del loro tempo. 

E del loro Tempio.

E del loro Dio da venerare e omaggiare con incensi e olocausti. Nel Tempio.

Perché fuori il mondo non esiste, è brutto e cattivo, è un covo di vipere.

Come troppo spesso facciamo noi.

Invece

Invece un samaritano.

È viaggi non passa per caso. Ha una meta. Perché il viaggio non è definito dal punto di partenza ma da dove si desidera arrivare. È in cammino, è per strada, come sono i discepoli veri.

Irrequieti per grazia.

Un samaritano. Ma dai!

Tutti si aspettavano che Gesù facesse entrare in scena un pio devoto laico, un credente adulto e motivato, non bigotto e formale, magari simile a qualcuno presente fra la folla. 

Chiunque, ma non un samaritano.

Dire “samaritano” ad un ebreo era un insulto e l’odio fra i due popoli era radicato.

Siamo noi ad averlo chiamato “buono”. Non sappiamo nulla di lui, magari è un delinquente, un miscredente, un opportunista.

Ma è ciò che fa che è “buono”.

Non va a cercarsi la persona da aiutare, è la vita che ce la mette in mezzo ai piedi continuamente. Il samaritano vede un uomo, non un nemico, non uno dell’altra squadra. 

Un uomo che ha bisogno. E il suo è anzitutto un bisogno di compassione.

Cum-patire, patire insieme. Sa che potrebbe essere lui, esangue, al bordo della strada. 

Si ferma, agisce, si prende cura di lui e all’albergatore, pagato, chiederà di fare lo stesso.

Il sentimento diventa azione. Azione che gli fa perdere tempo, soldi, che gli fa correre dei rischi.

Non fa il salvatore della patria, ha la sua vita, continua il suo viaggio impegnandosi, di ritorno, a fermarsi per saldare eventuali debiti. Accompagna ed affida. 

Piccoli passi possibili

Non può risolvere tutti i problemi.

È l’obiezione che mi sento rivolgere continuamente: come faccio a fermare la guerra se nessuno mi ascolta?

Vero: io, però, posso ostinarmi a costruire un metro quadrato di pace intorno a me.

Cosa vuoi che faccia la mia protesta di cittadino se intorno tutti rubano e se ne fregano?

Giusto: io, però, voglio consegnare a mio figlio un mondo migliore e mi comporto onestamente.

Ha ancora senso cercare di accogliere i nostri ragazzi, ora che il mondo occidentale disprezza il cristianesimo?

D’accordo: io, però, continuo a parlare del magnifico volto di Dio sperando che qualcuno se ne accorga.

Come faccio a difendere una Chiesa sempre più demotivata e stanca, attenta a difendere il fortino piuttosto che ad uscire a dire di Dio?

Vero: ma la Chiesa è ciò che costruisco insieme a chi vuole vivere sul serio il Vangelo.

La mia è solo una goccia nell’oceano. Una sola.

Ma questa non è una buona ragione per non farla cadere nell’acqua.

Se ci siamo scoperti amati, se abbiamo una strada da percorrere, facciamo la differenza.

È normale scoraggiarsi, avere paura, difendersi, far finta di niente.

È evangelico farsi prossimo a chi incontreremo in questa settimana.

Compiendo piccoli passi possibili.

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