Ci prepariamo ancora una volta al Natale. Desideriamo profondamente lasciare ancora e ancora nascere in noi la bellezza e la potenza del Signore. Lo amiamo, lo cerchiamo, lo accogliamo. Perché ci siamo scoperti profondamente amati, accolti, attesi. Vede la nostra fame, il Signore, vede la nostra stanchezza e il nostro sfinimento.
La vita è faticosa, quasi sempre, e proprio la compassione manca nelle nostre relazioni in cui prevalgono indifferenza e giudizio. Gesù ci vede come pecore senza pastore e cerca una soluzione, chiamando a sé e inviando i discepoli e le discepole.
Siamo noi ad essere inviati a portare compassione alle persone che incontreremo oggi; siamo noi, guaritori feriti, peccatori perdonati, pecore smarrite e ritrovate, a poter dire di Dio con verità, facendo nostre le fatiche degli altri, indicando loro come qualcuno ci ha raggiunti e salvati e come, se lo desiderano, possono anch’essi farsi abbracciare.
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Siamo noi il sorriso e la consolazione di Dio. Siamo come pecore senza pastore, sfiniti ed inquieti. Eppure sappiamo che il Signore ci sta accanto, ci ama, cammina con noi. Sappiamo che è diventato uomo perché potessimo incontrare Dio con facilità, usando le nostre parole, i nostri sguardi, le nostre emozioni.
Gesù sente compassione, non ha paura della tenerezza, come direbbe Papa Francesco. È questa l’esperienza di Chiesa che facciamo? Che siamo? Spesso siamo incartati nella visione di una Chiesa che deve fare, organizzare, ottenere dei risultati, non scomparire travolta dall’anonimato del mondo contemporaneo.
Invece, forse, tutto ciò che dobbiamo fare è, semplicemente, avere compassione e aprire le porte del nostro cuore e delle nostre parrocchie all’accoglienza e all’ascolto. Tornare ad essere il volto misericordioso di Dio per l’uomo d’oggi consolando gli altri con la consolazione che noi stessi abbiamo ricevuto.
Ripartire dall’essenziale, anche attraverso e grazie al cammino sinodale che stiamo vivendo.
FONTE: Amen – La Parola che salva – Il blog di Paolo
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