Siamo così attenti a come gli altri ci vedono! Fisicamente ma anche moralmente, intellettualmente, spiritualmente. Vogliamo, giustamente, che gli altri colgano il nostro spessore umano e religioso, le nostre qualità. E se abbiamo difetti tendiamo a sminuirli, a soprassedere, a evitare di parlarne…
Solo che davanti a Dio non possiamo nasconderci a noi stessi, non possiamo fingere che non ci siano ombre (ombre che Dio vuole illuminare se solo le riconoscessimo!). Gesù smaschera l’ipocrisia, cioè l’apparenza di coloro che si appellano a minuziose prescrizioni alimentari e a scrupolosa osservanza delle regole per apparire e sentirsi migliori al cospetto di Dio. L’impurità parte dal nostro cuore, non dalle nostre azioni. E le azioni o sono il riflesso di un’anima luminosa o sono solo finzione.
Così, continuando la polemica contro chi accusava i suoi discepoli di non fare i lavaggi rituali per diventare puri, Gesù argomenta sul senso profondo della purezza. Non è lavandosi o cibandosi di cibi particolari che si resta puri: quelle prescrizioni, storicamente nate in ambito di igiene sanitaria ed alimentare, non possono essere assolutizzate. È dal cuore dell’uomo, argomenta Gesù, che escono pensieri e parole offensive, giudicanti, aggressive. I padri della fede, nella loro saggezza spirituale, ci invitano a vigilare sui nostri pensieri.
Quando appare un pensiero nella nostra mente, un giudizio malvagio verso una persona, per esempio, siamo invitati e chiedergli: da dove vieni? Dove mi porti? È normale essere aggressivi, o fare le vittime, è evangelico scegliere di andare in un’altra direzione. Non siamo chiamati a fare le belle statuine, ad apparire migliori agli occhi degli altri per strappare un like (quanta falsità imperante sui social!) ma a convertire i nostri pensieri perché si convertano le nostre azioni e la nostra vita. Viviamo una profonda sintonia fra la vita interiore e la sua manifestazione.
Dio non ci chiede di essere migliori ma veri.
Fonte: Il mensile “Amen – la Parola che salva
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