Quanto sono impegnative e destabilizzanti le parole del Maestro! Quanto ci mettono all’angolo e ci obbligano a metterci in gioco! Ma non guardiamo subito intorno a noi, vi prego. Non cerchiamo conferma negli altri di quanto dice il Signore! Non pensiamo subito con malizia a quel prete che colleziona dalmatiche e pianete o rispolvera pratiche del passato, non pensiamo subito a quella catechista o a quel diacono saputelli e santamente arroganti che hanno sempre qualcosa da insegnare guardando gli altri dall’alto in basso.
Guardiamoci dentro, piuttosto, ognuno pensi a sé, perché quegli atteggiamenti di vanagloria, di ricerca di consenso, di apparenza che Gesù denuncia negli scribi e nei farisei, abitano in noi, abitano in me. Non chiediamo agli altri ciò che non abbiamo deciso di affrontare, non saliamo sulle cattedre dei devoti e dei moralisti che — pensandosi difensori della fede e ben consapevoli della propria umiltà — rilasciano pagelle a quanti hanno intorno! Non imponiamo agli altri pesi che noi per primi non sappiamo portare.
Osiamo chiedere solo ciò che abbiamo sperimentato e che cerchiamo di vivere. Chiedi agli altri di pregare? Significa che tu per primo hai posto le basi per una intensa vita interiore. Chiedi agli altri di perdonare? Solo perché tu per primo hai fatto pace con te stesso. Chiedi collaborazione e aiuto? Solo perché la tua vita è diventata dono e hai scoperto che vale la pena viverla come un dono.
Allora diventiamo credibili. Credenti credibili. Ma, magnifico Signore! anche chi dice e non fa va accolto per quello che dice. Anche il più incoerente fra noi cristiani può diventare strumento di una Parola che salva e libera perché parla di Dio e non di sè. Non esistono gerarchie al cospetto di Dio: lui solo è nostro Padre, e Gesù il nostro unico Maestro. Noi, tutti, siamo felicemente discepoli, mendicanti della benevolenza di Dio, stagisti della compassione.
Quanto è liberante questa cosa!
Fonte: Il mensile “Amen – la Parola che salva“
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